
Si pongono al servizio degli altri, della difesa della loro comunità, assecondano il destino, gli ideali o l'ambizione, intervengono sul corso della storia con le armi, la fede e il valore: sono gli eroi della guerra. Dalla violenza bruta di Achille al sacrificio consapevole dei soldati del nostro tempo, passando attraverso la lucida follia degli Arditi, il carisma e la visione dei grandi condottieri come Alessandro, la sconfitta e la resurrezione del generale Dallaire, capo della missione Onu in Ruanda, queste pagine ci descrivono l'evoluzione dei modelli esemplari forgiati dai campi di battaglia, i luoghi dove gli eroi della guerra cadono per la gloria degli dèi e il profitto dei padreterni, sopravvivendo nella memoria collettiva per il bisogno dell'umanità.
Quanto concreta è oggi la prospettiva di un conflitto su scala globale? Secondo l'autore la vera domanda non è se ci sarà una guerra (sì, ci sarà), ma che guerra sarà. La tecnologia ha introdotto nuovi armamenti, i sistemi di comando e i metodi operativi si sono affinati e specializzati, i combattimenti a controllo remoto e le piattaforme robotizzate sono già una realtà. Anche la disumanizzazione dei conflitti è un dato di fatto: il soldato non fa più domande e il robot dà solo risposte programmate. Meno prevedibile è invece l'atteggiamento mentale di chi ha ed avrà il potere di usare questi strumenti. Ma anche qui le alternative sono poche: o la strategia seguirà la tecnologia fino a farsene schiava o la oltrepasserà, con esiti inimmaginabili. Nel bene o nel male.
La guerra in Ucraina è il risultato della difesa di un Paese membro delle Nazioni Unite dall'attacco della Russia. Poteva essere evitata, ma non l'ha voluto nessuno. Anzi, la patente di giustizia e legittimità è servita a inasprire il conflitto e ad allargarlo. Proprio la legittimità è un dogma dell'Occidente, che rappresenta un quarto delle terre emerse e un settimo della popolazione mondiale. Che produce il 50% del Pil globale e consuma parte di quello del resto del mondo. Gli Usa cercano di limitare lo sviluppo economico dell'Occidente europeo, negando qualsiasi strumento militare indipendente. E, fortunatamente per gli States, l'Europa è gestita da organi burocratici che ne riconoscono l'egemonia. Gli Stati Uniti esercitano quindi la supremazia globale e si oppongono alla Cina e alla Russia. E il vero ostacolo è rappresentato dalla potenza nucleare di Mosca, e non da quella commerciale della Cina. L'Ucraina è quindi uno dei passi statunitensi verso la sistemazione definitiva di una vecchia faccenda: il depotenziamento militare della Russia e quello economico dell'Europa. Ed è l'anticipazione del contrasto politico, economico e militare nei confronti della Cina. Tutto questo può giustificare un conflitto? Il pacifismo risponderebbe di no. La prassi politica risponderebbero di sì. Anzi, sono bastati eventi meno gravi per indurre l'Occidente a scendere in guerra: nei Balcani, in Iraq, in Siria, in Afghanistan, in Libia. È questa costante geopolitica e mentale a rivelare l'ennesimo e ipocrita segreto di Pulcinella: siamo in guerra.
Il 29 dicembre 1991 il ministro algerino dell'Interno entra nella sala stampa e annuncia sbigottito i primi risultati della consultazione elettorale: si delinea una clamorosa e imprevedibile vittoria degli integralisti islamici del F.I.S. Dopo ventisei anni di un regime a partito unico, le prime elezioni democratiche vedono l'affermazione di un movimento che vuole introdurre una nuova forma di dittatura. E' a partire da questo evento, verificatosi paradossalmente nel paese arabo più occidentalizzato, che prende le mosse la riflessione dell'autore. Sul filo di una narrazione che è insieme testimonianza personale e analisi, Mimouni ricostruisce la storia recente del potere politico in Algeria.
Mentre lentamente scompaiono le generazioni che hanno vissuto gli anni del fascismo, riemergono di tanto in tanto nostalgie e "riabilitazioni". Ma cos'è stato davvero il fascismo? Cosa ha rappresentato nella storia civile e politica dell'Italia? Una "parentesi", come pensava Benedetto Croce? Espressione di un capitalismo in crisi di crescita? Fu causato dalla guerra e dalla crisi economica o fu una reazione alla rivoluzione bolscevica? Fu una forma esemplare della controrivoluzione europea o un colpo di mano riuscito di una banda di avventurieri? Questi e altri temi cruciali, essenziali anche per comprendere l'Italia di oggi.
Descrizione
Traduzione di Marcella Uberti-Bona
Intorno alla fine di Benito Mussolini e alle tante, contrastanti versioni che nel corso del tempo hanno tentato di ricostruire gli ultimi giorni del Duce, dalla disperata fuga sino all’esecuzione e alla macabra esposizione del cadavere a Milano, molto resta ancora da chiarire. Se già nell’immediato dopoguerra si erano levate le prime voci dissenzienti intorno alla vulgata ufficiale, a partire dagli anni Sessanta ha iniziato a diffondersi una vasta letteratura sull’argomento, ricca di spunti d’indagine e misteri irrisolti. Dalla sparizione del «tesoro di Dongo» all’ipotesi della «doppia esecuzione», dalla caccia ai «diari del Duce» sino all’inquietante ruolo (adombrato, tra gli altri, dall’ultimo De Felice) che potrebbero aver giocato i servizi segreti stranieri nella fine del dittatore, tutto è stato rimesso in discussione e sottoposto a inchiesta.
E, al di là del furore ideologico che in passato ha animato alcune ricerche, ciò si deve anche alla pubblicazione di documenti d’archivio prima indisponibili, e quindi all’emergere di nuove e credibili testimonianze che contraddicono molte delle precedenti. Pierre Milza, storico del fascismo e autore di una monumentale biografia su Mussolini, traccia oggi un bilancio (quasi) definitivo sulla questione, guidandoci con autorevolezza nell’appassionante labirinto delle interpretazioni.
L'Autore
Pierre Milza è un esperto di storia italiana e uno degli storici stranieri più tradotti in Italia. È professore emerito a Sciences-Po, l’Istituto di studi politici di Parigi, e autore di numerosi saggi, fra cui Storia d’Italia, Mussolini, Europa estrema, Italiani di Francia, Verdi e il suo tempo, Dizionario dei fascismi.
Originario di una famiglia di modesti marinai e marinaio lui stesso, Garibaldi è forse l'italiano la cui figura è stata più celebrata e mitizzata all'estero. Ma quanto sappiamo davvero di questo personaggio così fortemente radicato nella storia e al tempo stesso così intriso di leggenda, che scelse fin da giovane di consacrare la propria esistenza alla causa della libertà? Restituendo appieno il colore, le ansie e le speranze di quel periodo burrascoso e controverso che è stato il nostro Risorgimento, Pierre Milza ripercorre in modo brillante e documentato l'epopea avventurosa e rocambolesca del generale che ebbe come campo di battaglia il mondo e come bandiera la libertà: dall'infanzia nizzarda al "buen retiro" di Caprera, dalle scorribande corsare nel Rio Grande do Sul alle campagne in Uruguay, dall'impresa dei Mille al ferimento in Aspromonte, dalla morte dell'intrepida Anita all'incontro di Teano, da "Roma o morte" a "Obbedisco". E poi ancora gli amori e gli esili, i rapporti ambigui con Mazzini da una parte e i Savoia dall'altra, il proverbiale disinteresse per il potere e le ricchezze personali, in un libro in cui traspare un grande amore per l'Italia e che l'autore spera possa contribuire a "scacciare lo spettro dell'implosione di una grande nazione che ha dato tanto all'Europa e al mondo". Una nazione che, centocinquant'anni dopo i turbinosi accadimenti che portarono alla sua nascita, si scopre malconcia e sfiduciata, priva di slanci e mai come adesso orfana di eroi.
Tra il 1934 e il 1944 Adolf Hitler e Benito Mussolini si sono incontrati diciassette volte. Molto si è scritto sulle relazioni fra i due dittatori, ma fino a oggi nessun libro aveva tracciato un resoconto dettagliato di tutti i loro colloqui. Che cosa si sono detti? Di cosa hanno discusso? Su quali presupposti si fondava il loro rapporto? Basandosi sui documenti conservati negli archivi diplomatici di Italia e Germania, Pierre Milza racconta passo dopo passo tutti gli incontri, rispondendo a queste e ad altre domande. Ma ancor più importanti per la ricostruzione sono state le testimonianze di chi ministri, diplomatici, interpreti - ha partecipato a quei colloqui. Pagina dopo pagina, l'autore rivela le intese, i bruschi voltafaccia, i dubbi e i segreti che hanno alimentato il lungo sodalizio. E grazie alla rievocazione di questi momenti, così importanti per il destino dell'Europa e del mondo intero, possiamo comprendere meglio come e perché due personaggi tanto diversi siano stati in grado di trovare un accordo e una complicità nel crimine più mostruoso che abbia mai macchiato la storia dell'umanità.
Per gli studiosi che affrontano il problema della storia italiana esiste un problema cronologico. Occorre cominciare dalla caduta dell'Impero romano? È preferibile assumere come punto di partenza la formazione, in epoca medioevale, delle libere città e delle repubbliche marinare? O addirittura iniziare dagli anni, nella seconda metà del Settecento, in cui i primi segni di un nascente sentimento nazionale lasciano intravedere la grande stagione del Risorgimento. Fu quest'ultima, quando si aprì un grande dibattito sul tema negli anni Venti, la tesi prevalente. Pierre Milza, invece, ha deliberatamente adottato la prospettiva del lungo periodo e ha deciso che la protagonista della sua storia sarebbe stata la penisola dalle sue vicende più antiche agli avvenimenti degli ultimi decenni. Ma questa scelta (dagli etruschi a oggi) è possibile soltanto se la prospettiva dello storico si allarga sino a comprendere, accanto agli eventi politici e militari, tutto ciò che concorre a definire la vita di un territorio nell'arco di tremila anni: i costumi domestici e civili, i conflitti intestini, le credenze religiose, l'organizzazione sociale, le tendenze demografiche, le condizioni sanitarie, le scoperte scientifiche, l'agricoltura, l'industria, l'artigianato, il pensiero filosofico, le influenze straniere, l'arte nobile e quella popolare, insomma la cultura nel suo significato più largo.