
«È dunque così che il ciclista incontra il mondo: dall'alto! Corre, corre a folle velocità senza toccare terra con i piedi, essere un ciclista è per lui qualcosa che significa quasi: sono il padrone del mondo» Thomas Bernhard Chi monta in sella a una bicicletta prova sentimenti di appagamento e pienezza: l'affrancamento dai limiti del corpo, l'ebbrezza della velocità e dell'indipendenza, la fuga dalle tristezze della vita. È così per i primi ciclisti, e poi sempre per ogni nuovo bambino che conquista la sua due ruote. «Sentivo di navigare nell'aria», ricordava un grande intellettuale come Ezio Raimondi. Ed è felicità per la donna, per la quale la bicicletta è strumento di emancipazione, così come per l'operaio di «Ladri di biciclette», che grazie alla bici può trovare lavoro. Oggi è anche la felicità della fuga dalla civiltà moderna, il sogno di un mondo lento a misura d'uomo. Poeti, scrittori, filosofi e gente comune hanno testimoniato la loro gratitudine per la bicicletta fonte di felicità: in questo libro, felice a sua volta, Pivato tesse il racconto di un inscalfibile amore collettivo per le due ruote.
Testimonianza della adesione a un ideale, espressione di una fede politica, modalità che conferma ed esalta il senso di appartenenza e comunione a un gruppo: il canto è una delle manifestazioni più significative di condivisione di un credo sociale. Cadenza lo svolgersi della politica, ne sottolinea gli eventi principali, ne accompagna l'evoluzione. Se è uno dei segnali più significativi della partecipazione della gente comune, il canto risulta un documento utile per capire la storia. Il libro, con un'ampia antologia di brani, racconta una storia d'Italia inedita, dal Risorgimento a oggi, attraverso la colonna sonora dei canti di protesta.
Testimonianza della adesione a un ideale, espressione di una fede politica, modalità che conferma ed esalta il senso di appartenenza e comunione a un gruppo: il canto è una delle manifestazioni più significative di condivisione di un credo sociale. Cadenza lo svolgersi della politica, ne sottolinea gli eventi principali, ne accompagna l'evoluzione. Se è uno dei segnali più significativi della partecipazione della gente comune, il canto risulta un documento utile per capire la storia. Il libro, con un'ampia antologia di brani, racconta una storia d'Italia inedita, dal Risorgimento a oggi, attraverso la colonna sonora dei canti di protesta.
Nel 2013 Gino Bartali viene riconosciuto dallo Yad Vashem come Giusto fra le nazioni: da dopo la sua morte, infatti, si racconta che fra il 1943 e il 1944 "Ginettaccio", già vincitore di due Giri d'Italia e un Tour de France, abbia collaborato alla rete clandestina che consentì a molti ebrei di sfuggire alla deportazione. È una delle storie simbolo della Giornata della Memoria, eppure - priva com'è di documentazione e testimonianze dirette - non è solo storicamente infondata: è palesemente falsa. Ma com'è che abbiamo finito per crederci tutti? Alla fine del Novecento si è avviato un processo che oggi sembra compiuto: il divorzio fra storia e memoria. La ricostruzione del passato non è più compito esclusivo degli storici, ma si affida a memorie ripescate a distanza di decenni, a voci di seconda o terza mano, al sentito dire; le informazioni false, grazie alla rete, si rincorrono fuori dal ritmo prudente e meditativo della storia. E così può succedere che la favola del campione coraggioso che usa la sua bicicletta per salvare vite diventi, nell'immaginario degli italiani, una realtà.
Con un taglio di lettura che analizza funzioni, soggetti e tecniche, e non prevede discussioni su personalità artistiche, cronologie e stile, i contributi del volume fanno emergere il forte radicamento storico dell'arte medievale, cioè il suo contesto. Pur senza carattere di rigida sistematicità, il volume - che non è rivolto a una tipologia di lettore in particolare, ma insieme a studenti, studiosi e cultori della materia - costituisce un ampio sguardo scientifico sul millennio medievale in Occidente.
Questo volume presenta la Storia dell'Arte medievale con un approccio innovativo, incentrato sulle origini culturali, sul contesto storico e sui presupposti tecnici dell'opera artistica e architettonica. L'obbiettivo è di restituire il più fedelmente possibile le intenzioni di costruttori, artisti e committenti, il loro retroterra culturale, il loro orizzonte di significato, le condizioni materiali che definivano la loro azione. Il coordinatore del volume, Paolo Piva, ha coinvolto eminenti studiosi italiani e tedeschi in un progetto in cui fossero condivisi questi orientamenti metodologici di fondo. Il risultato di questo lavoro è un libro capace di offrire illuminanti chiavi di lettura al millenario percorso dell'arte medievale (dal 300 al 1300 d.C.) senza la pretesa di descriverne puntualmente ogni fase ma con l'ambizione di rivelarne le fondamentali coordinate.
Per quasi novecento anni, l'establishment militare romano ebbe a disposizione una potente marina, inizialmente composta da poche unità, che nel tempo aumentò in termini qualitativi e di dimensioni, sino a diventare un efficacissimo strumento nelle mani della prima vera superpotenza dell'antichità. Sia nell'era repubblicana sia nel successivo periodo imperiale, i romani utilizzarono flotte forti di centinaia di navi dalle caratteristiche diversificate, suddivise in gruppi presenti in tutte le province dell'impero. Il piano di rafforzamento navale si adeguò ai teatri operativi tra i più disparati, nonché alle diverse caratteristiche dei nemici che Roma affrontava nel corso della sua espansione territoriale. Il margine di sicurezza garantito dalle flotte imperiali consentì uno sviluppo dei commerci marittimi senza precedenti; le navi da guerra romane costituivano di per sé una "proiezione di forza" che si rivelò fondamentale nello sviluppo dell'impero e nel mantenimento delle conquiste territoriali. Lo studio delle unità navali nel contesto descritto trova la sua prima analisi esauriente in questo libro, che ne esamina nel dettaglio lo sviluppo e l'evoluzione.
Sebbene si tenda a pensare all'Impero romano come a un'organizzazione principalmente terrestre, realizzata con la forza delle straordinarie legioni della fanteria, in realtà esso fu anche una potenza marittima, paragonabile all'Impero britannico del XVIII secolo. In termini puramente numerici, la marina di Roma fu la forza navale più imponente che sia mai esistita. Le flotte romane difesero le comunicazioni e i traffici commerciali, senza i quali non vi sarebbe stato sviluppo. Grazie alle sue navi, la "caput mundi" poté sfidare in combattimento nemici irraggiungibili ed espandere il suo potere in terre fino ad allora inaccessibili, diventando una potenza senza uguali nel Mediterraneo: possedeva basi nell'Europa occidentale, nell'Africa settentrionale e nel Medio Oriente, e nel momento di massimo splendore contava decine di migliaia di marinai, fanti e artigiani che lavoravano al servizio di una flotta numericamente superiore a qualsiasi forza navale moderna. Questo saggio segue la cronologia della nascita, della crescita e del declino delle forze navali di Roma e analizza il ruolo della guerra sul mare nella costruzione del primo grande impero europeo.
II cofanetto riunisce i due studi di Michael Pitassi dedicati alle flotte di Roma e alle navi da guerra di Roma. In queste due opere vengono esaminati tutti gli aspetti dell'affermazione marittima romana, ripercorrendo le vicende belliche, l'utilizzo strategico e gli aspetti tecnici della navigazione, nell'ampio arco di secoli tra le guerre puniche e la fine dell'Impero.