
L'Inquisizione fu una delle armi più potenti e controverse impiegate dalla Chiesa per eliminare l'eresia e salvaguardare l'unità dei fedeli cattolici. Anche se in epoca medievale giudici della fede delegati dai papi furono già attivi in Boemia, in Francia e in Italia, l'Inquisizione spagnola - istituita nel 1478 sotto la regina Isabella I, e soppressa nel 1834 da Isabella II - ha lasciato un segno indelebile nella storia della civiltà occidentale. Sulla base di aggiornate ricerche il volume traccia una nuova, equilibrata storia di questa istituzione, di cui ci mostra un'immagine non scontata. Al di là del mito negativo l'Inquisizione spagnola non fu solo uno strumento di repressione e di controllo ideologico, ma svolse anche un ruolo nel rafforzare i legami tra lo Stato e la Chiesa di Roma e nell'uniformare e disciplinare il comportamento dei fedeli di una terra in cui avevano convissuto ebrei, mori e cristiani.
Un'accurata e accorata biografia di un autentico eroe civile. Non un poliziotto, non un militare, non un politico ma un imprenditore che osò sfidare la mafia e fu ucciso per questo, nel silenzio delle istituzioni e delle associazioni di categoria. Un libro che racconta, con la passione della grande narrativa e il rigore del giornalismo d'inchiesta, la vita di Libero Grassi, l'imprenditore ucciso dalla mafia nel 1991 per il suo ostinato, pubblico rifiuto di pagare il pizzo. "Libero Grassi non è più l'industriale che ha negato il suo consenso alla mafia, ma l'emblema di una ribellione possibile. I quotidiani ripetono ossessivamente gli stessi termini. Su tutte spiccano due parole: simbolo ed eroe. Il 29 agosto del 1991, secondo l'Eurispes, è nata una figura imprevista, destabilizzante per la mafia e per lo stato che la combatte: la figura dell'eroe. Un eroe diverso da quelli belli, prepotenti e rampanti celebrati nei film, nelle riviste patinate e persino dai partiti politici degli anni ottanta. Un eroe, privo di particolari superiorità, che smaschera la pochezza dei finti coraggiosi, paladini del lusso, cultori dell'immagine ed esperti della comunicazione di massa. Uomini e donne normali il cui rigore morale individuale diviene, nella latitanza di personaggi pubblici carismatici, punto di riferimento sostanziale a cui affidare la difesa del bene comune." Postfazione di Davide Grassi.
Il miracolo economico ha cambiato il destino di migliaia di italiani: famiglie con storie di sofferenza e marginalità hanno avuto per la prima volta accesso al benessere. Un passaggio epocale che viene ricostruito in un dialogo costante tra Storia, memoria e immaginario collettivo. L’autore intreccia la vicenda di una famiglia meridionale a quella di un’intera nazione stravolta e affascinata dalla “secolarizzazione dei consumi”. L’ascesa sociale del capofamiglia è l’emblema di un Paese in cui la retorica della povertà ha ceduto il passo al pragmatismo della ricchezza. Nel sogno americano all’italiana si coglie con nettezza una distanza tra le prospettive dei partiti e i desideri dei cittadini: i primi si scontrano sulle riforme strutturali e sulle manovre congiunturali, i secondi sono attratti dal benessere come conquista materiale e riconoscimento civile. Un’aspirazione che diventa visibilmente concreta analizzando le fonti audiovisive di quegli anni. Immagini, parole, canzoni e personaggi definiscono il magmatico divenire del boom economico: l’urbanesimo della speculazione edilizia e delle periferie dormitorio; i profili delle auto che mutano il paesaggio urbano; le ciminiere che lambiscono il cielo; la famiglia che modifica usi e costumi; i giovani e le donne che vogliono essere protagonisti della modernità; i braccianti che sciamano verso le città; gli operai che agognano il possesso della casa, dell’utilitaria, della televisione e degli elettrodomestici, senza dover rinunciare alla villeggiatura estiva. Il miracolo raccontato dai media è la storia di un’unificazione materiale, di una “comunità immaginata” in cui ognuno può identificarsi in una nazione moderna in cui sono saltate tutte le vecchie gerarchie di potere dell’Italia rurale. L’unica riforma strutturale possibile è accettare la nuova realtà.
MARCELLO RAVVEDUTO
Insegna Public and Digital History all’Università di Salerno. È componente del Comitato direttivo dell’Associazione italiana di Public History. Ha scritto diverse monografie tra le quali Libero Grassi. Storia di un’eresia borghese (2012), da cui è tratta la docufiction andata in onda su Rai Uno Io sono Libero (2016); per Castelvecchi ha curato l’antologia Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia (2012). È editorialista del gruppo «L’Espresso» e di Fanpage.it.
Pirro è un bellicoso monarca greco che confidando nelle sue eccezionali doti militari concepisce progetti rischiosi, ma non privi di prospettive realizzabili: la creazione di un dominio personale e dinastico in Sicilia, il protettorato sulla Magna Grecia, la conquista del regno macedone, l'egemonia sulla Grecia. Nella sua storia sogno e miraggio del potere, visione e illusione di regalità si coniugano con la dimensione del possibile, e quando fallisce in Sicilia e in Grecia, fallisce per poco.
La storia dell'Impero di Bisanzio fu in buona parte la storia di Costantinopoli e della sua corte. Per più di mille anni, fra il IV e il XV secolo, i sovrani della Roma d'Oriente furono l'incarnazione di un'autorità assoluta che si riteneva voluta da Dio e superiore a ogni altra. Alla figura dell'imperatore bizantino si legò così con una sfarzosa ritualità che coinvolgeva in primis l'imperatrice e poi tutta la corte, e che esprimeva in forma visiva l'omaggio dovuto a chi era ritenuto contemporaneamente l'erede dei cesari romani e il sovrano deil mondo cristiano. Ma com'era veramente la vita di un imperatore bizantino? Il volume ci mette in contatto con la complessa scenografia del cerimoniale (gerarchie, uniformi, feste, titoli) di cui vengono accuratamente ricostruiti i significati, connessi in particolare con la concezione del potere e i sistemi di successione.
Il secolo di Giustiniano fu segnato da una lunga serie di grandi guerre combattute in Oriente, nei Balcani, in Africa, in Italia e nella Spagna visigota, guerre nel corso delle quali i generali di Bisanzio seppero dare prova di abilità, sfruttando tutti gli elementi a loro favore: la migliore qualità delle truppe, la conoscenza del territorio per condurre una guerriglia estenuante e il controllo dei mari. Ma, nonostante l'esercito bizantino, erede della tradizione romana, fosse una formidabile macchina da guerra, il contemporaneo impegno in diverse regioni rappresentò uno sforzo immane per l'impero, da sempre a corto di soldati e con un'organizzazione militare spesso indebolita da crisi interne. Il libro ripercorre in una documentatissima sintesi le campagne di riconquista e quelle difensive combattute da Bisanzio, descrivendo gli assedi, le battaglie di terra e di mare, la diplomazia, le formazioni militari e le tattiche, senza tralasciare i costi della guerra.
Iniziate nel 1095, quando papa Urbano II durante il concilio di Clermont decise di intraprendere la guerra santa per la liberazione di Gerusalemme, facendo appello ai fedeli, le crociate divennero un aspetto caratterizzante della cristianità occidentale. Delle otto spedizioni che ebbero luogo fra l'XI e il XIII secolo, le prime quattro coinvolsero direttamente l'impero bizantino. Il volume dà conto dei riflessi pesanti che ebbero su di esso: saccheggi e devastazioni culminarono infatti nel 1204 nella conquista stessa di Bisanzio e nella formazione di un impero latino.
L'arrivo dei Visigoti nel 376 segnò l'inizio dell'agonia dell'impero romano. Altre orde di barbari dilagarono poi in Gallia e altrove: nell'impossibilità di respingerli, Roma fu costretta a cedere sempre più terreno. Nonostante l'energia dispiegata dagli ultimi grandi generali di Roma, come Stilicone, Costanzo ed Ezio, alla metà del V secolo il territorio sotto il dominio imperiale era ridotto a poca cosa, con la perdita di gran parte delle province. Nel 476 il barbaro Odoacre depose l'ultimo sovrano, Romolo Augustolo, mettendo così fine alla successione imperiale in Occidente.
Se una parola riassume in sé la singolarità di Venezia, evocandone gli splendori, questa è "Doge". Sorta nell'ambito del dominio bizantino, la città si ispira a Bisanzio anche nelle sue originarie forme di governo: il Dux, istituito intorno al 697, è un governatore generale a cui i Veneziani avrebbero poi dato il nome di "Doge". Dall'elezione alle funzioni pubbliche, dal cerimoniale al palazzo, il libro illustra la storia e il ruolo secolare di questa prestigiosa figura che incarna la straordinaria ascesa della Repubblica veneziana, fino al declino con l'arrivo di Napoleone nel 1797.
Fra il IV e il VI secolo la società antica subisce grandi cambiamenti, legati all'affermazione del cristianesimo, alla divisione definitiva dell'impero in due parti, con l'emergere della nuova città di Costantinopoli nella metà orientale, e infine alla caduta dell'impero romano d'Occidente, travolto dalle invasioni barbariche. Com'era la vita quotidiana in quella turbolenta epoca di transizione? Il libro ce la restituisce in tutta la sua ricchezza e in rapporto ai diversi strati sociali.
Venezia, che conserva ancor oggi un'evidente impronta bizantina, nacque bizantina nel VI secolo e tale rimase nell'alto Medioevo almeno fino al IX secolo. Poi il legame con Costantinopoli si fece via via più lento, ma all'interno di questo si scrisse la vocazione commerciale di Venezia. L'autore traccia la storia del rapporto millenario che nel corso del Medioevo ha unito la città lagunare all'impero bizantino fino alla caduta di questo, nel 1453. Dalla fondazione di Venezia sotto la pressione dell'espansione longobarda alla dipendenza da Bisanzio, all'indipendenza entro la sfera dell'impero all'aperta ostilità che condusse Venezia a partecipare, nella quarta crociata, alla conquista di Costantinopoli.