
Generalmente si intende per terrorismo la deliberata volontà di diffondere terrore colpendo la popolazione inerme considerata nemica. Terrorismo, dunque, come creazione di terrore. Francesco Benigno contesta tale approccio ricorrendo alla storia. La produzione di “terrore” non è stata infatti storicamente l’unica dimensione del “terrorismo” e anzi esso può essere meglio compreso come la costruzione di un evento clamoroso, capace di risvegliare le masse dal loro sonno politico, qualcosa che “parla” anzitutto al proprio popolo e che gli anarchici chiamavano “propaganda col fatto”. Allo stesso tempo però la storia ci insegna che il terrorismo è anche una tecnica bellica usata in tempi di pace, la continuazione della politica con mezzi esplosivi. In questo senso esso è quindi uno spazio di opportunità aperto ad una pluralità di attori, statali e non statali, che usano il terrore (e il contro-terrore) come strumento di lotta politica interna e internazionale.
Cos'è il potere? Come nascono le rivoluzioni? Esiste l'opinione pubblica? Come si formano le generazioni? Per poter porre domande come queste occorre conoscere i concetti fondamentali attraverso cui diamo senso al mondo, e alla storia. Il libro approfondisce questi concetti ed altri ("identità", "cultura popolare", "violenza", "Stato moderno", "Mediterraneo") analizzando il modo con cui sono stati usati nel pensiero storico-sociale e delineando un loro possibile utilizzo al tempo d'oggi. In un momento di profonda trasformazione della concezione della storia, sfidata sul piano mediatico dall'ascesa della cosiddetta memoria storica, c'è bisogno di una maggiore consapevolezza dell'uso dei concetti che usiamo, che sono poi quelli che ci consentono di orientarci, di capire il presente, e il passato. Ecco perché è cruciale conoscerli, questi concetti. Per non usarli senza sapere. Per non obbedirgli senza volere.
«Noi scrittori» - disse Thomas Mann esule in America dal 1938 - «siamo impegnati nella guerra contro Hitler con le armi delle parole». Queste armi presero la forma efficace di cinquantanove messaggi registrati a Los Angeles dallo scrittore stesso e trasmessi in Germania dalla BBC di Londra dal 1940 al 1945. Fino alla fine del 1942 Thomas Mann incitò i tedeschi, ritenuti schiavi rassegnati, a ribellarsi all'orrore del nazismo, ma prese poi coscienza che i suoi connazionali si impegnavano per la sua vittoria. Si sentì quindi non più solo esule, ma anche nemico della patria. Le trasmissioni radiofoniche e le note del suo diario, qui tradotte per la prima volta, sono la testimonianza di un'immensa illusione e della disperazione per una patria amata e perduta.
Esiste da sempre in Italia, dai tempi della Roma dei Cesari e dei papi, un modello politico, sociale ed economico basato su clientele e corruzione, ingiusto e parassitario, che ancora oggi ostacola l'Italia del lavoro e delle competenze, del "saper fare" e della laboriosità dei nostri territori: è il sistema che si sviluppa nel rapporto tra patrono e cliente, che determina forme di dipendenza e che ostacola la capacità d'agire. Questo è il modello cortigiano del potere. È un vizio antico, in cui gli italiani si rifugiano soprattutto nei periodi di decadenza, e che anche ai giorni nostri costituisce il principale scoglio per lo sviluppo. "Italia cortigiana" racconta la storia secolare del carattere cortigiano del potere italiano, valutando l'efficacia dei diversi sistemi di organizzazione della politica e dell'economia rispetto al criterio del merito, dell'onestà e della professionalità, e offre alcune indicazioni su come superare i limiti del sistema cortigiano e i suoi condizionamenti, per affermare pienamente, nella società e nell'economia, l'autonomia e il valore delle persone. Un confronto che prende spunto da tre precise fasi della storia italiana, in cui in diversi modi lo stile cortigiano del potere è prevalso attraverso clientele, caste e privilegi che hanno determinato un degrado culturale, sociale ed economico. Si tratta della Roma imperiale, della Roma rinascimentale e della Roma dei giorni nostri. Una vicenda che parte dalla capitale, città nata come sede del potere..
Le 19 "tesi" Sul concetto di storia, risalenti al 1942 ma pubblicate nel 1950, costituiscono una tappa fondamentale nell'evoluzione del pensiero di Benjamin. Il volume ne offre l'edizione critica, con il testo tedesco nelle sue successive stesure e varianti, una nuova traduzione italiana e un ricco materiale illustrativo. Agli apparati dell'edizione tedesca si sono infatti affiancati estratti da altre opere, frammenti o appunti inclusi nel "Passagen-Werk". Sono testi che documentano stadi significativi della riflessione di Benjamin in ordine ad alcuni concetti o figure centrali ripresi nelle "tesi". Il volume offre anche alcuni testi provenienti da una piccola cerchia di intellettuali, amici e interlocutori.
Dall'autore de 'Il trionfo del re' e 'Vieni ruota! Vieni forca!, un romanzo-ritratto di Maria Tudor, la famigerata Maria "la Sanguinaria" calunniata da secoli di propaganda anticattolica. " Dopo aver narrato le persecuzioni anticattoliche in Inghilterra in 'Il trionfo del re' e 'Vieni ruota! Vieni forca!' durante i regni di Enrico VIII e Elisabetta I, Benson racconta in questo romanzo la dolorosa storia di Maria Tudor, passata alla storia con l'appellativo di Sanguinaria" in quanto cattolica, dopo secoli di stereotipi e pregiudizi che ne hanno deformato la memoria. Non un ritratto idilliaco, anzi contraddistinto da molte ombre che caratterizzarono il regno di questa sovrana: l'incapacità di farsi amare e trovare affetto, il ristabilimento della religione cattolica tramite l'eliminazione di ribelli e dissidenti, il fallimento del suo matrimonio con Filippo II di Spagna, la rabbia di dover lasciare il trono alla sorella Elisabetta con il rischio di una nuova politica di protestantizzazione dell'Inghilterra. Un acuto ritratto psicologico finalizzato all'incontro con Cristo, l'unico in grado di donare autenticamente la pace. "
Intrighi politici, conflitti religiosi e drammi umani in questi due romanzi di ambientazione Tudor di Robert Hugh Benson per la prima volta riuniti insieme: il primo,Il trionfo del re, è ambientato alla corte di Enrico VIII e vede il conflitto di due fratelli di famiglia aristocratica, il primo sacerdote fedele alla Chiesa di Roma e intenzionato a rispettare la sua vocazione fino alle estreme conseguenze, il secondo ambizioso e servo del potere alle dipendenze del potente cancelliere Thomas Cromwell, vero artefice della spoliazione dei monasteri cattolici in nome di una pretesa “purificazione” della religione”. La tragedia della regina è invece incentrato sul personaggio della sfortunata regina Maria la Sanguinaria, figlia di Enrico VIII, incapace di comprendere l’umore del suo popolo e della sua corte nel ristabilimento della religione cattolica, frustrata per il fallimento del suo matrimonio con Filippo II di Spagna e sicura di dover lasciare il trono all’intrigante sorella Elisabetta con il rischio di un drammatico ritorno al passato.
"Sionista. L'aggettivo suona come un insulto. Il termine oggi è talmente svalutato che la realtà cui si applica ha finito per sparire sotto i sedimenti della stigmatizzazione e persino, come in certe occasioni internazionali, della demonizzazione. Alla realtà di una fede e di una cultura, il discorso antisemita ha risposto con fantasie tremende (l'omicidio rituale, tra l'altro), soffocando nella paura un oggetto di conoscenza. Alla realtà di un'ideologia e di un movimento nazionale sostanzialmente atipico, il rifiuto risponde con il marchio d'infamia, ma non ci dice che cosa esso sia e, ancora meno, che cosa sia stato. Il sionismo è a tal punto sepolto sotto strati e strati di riprovazione che oggi è difficile determinare serenamente che cosa fu, in quali condizioni nacque, l'humus che lo nutrì e la pluralità dei suoi significati. Posto di fronte ai problemi della modernità politica, imboccando in particolare la strada della nazione, della laicità, dell'utopia sociale e della cultura come nuova forma della dimensione religiosa in società secolarizzate, il sionismo, lungi dal rivolgersi solo agli ebrei, contribuisce a porre le domande capitali del XX secolo. Che ne è dei rapporti tra la lingua e la nazione, tra popolo e territorio, cosa succede a una fede nazionale nel processo globale di laicizzazione del mondo? Cosa accade alle forme culturali del politico nelle società massificate in cui il sionismo iniziò a prendere forma più di un secolo fa?" (dall'introduzione)
Tante (forse troppe) volte commemorando lo sterminio degli ebrei perseguito dal regime nazista concludiamo con un "mai più" pericolosamente sospeso, impreciso. L'immensa barbarie della Shoah spesso ci ammutolisce, riduce le nostre parole a una balbettante invocazione e trascura di spiegare con chiarezza quanto accaduto. Ma ciò di cui la storia ha assoluto bisogno non è uno sterile "dovere della memoria": "la memoria di Auschwitz è una memoria viva, non legata al solo martirologio. La commemorazione, come l'insegnamento, non portano da nessuna parte se si limitano a far riflettere sull'orrore. La loro importanza consiste nel riesame politico e non moraleggiante della nostra civiltà", scrive Georges Bensoussan. In occasione del Giorno della Memoria, un libro fondamentale che ci invita a eludere la retorica e ad adottare un approccio critico più lucido e diretto, perfino provocatorio: la Shoah è stata un'aberrazione imprevista e unica nel corso della Storia, o piuttosto una sua inevitabile evoluzione? Postfazione di Mauro Bertani.
Chi ha reso possibile la formazione intellettuale degli architetti dell'annichilimento? Chi furono i maestri dei medici nazisti? In quale brodo culturale sono stati immersi coloro che hanno concepito l'assassinio di massa? Dal momento che gli uomini sono nutriti dalle credenze delle generazioni precedenti, si deve procedere a un'archeologia intellettuale del disastro del secolo appena trascorso. Convinti che la cultura fosse sinonimo di "progresso" e di "ragione", abbiamo occultato l'immensa storia dell'anti-illuminismo, quella parte della cultura europea che si dedicò a fare degli ebrei una questione. L'immaginario antiebraico non si limita a qualche figura rinomata, ma impregna la storia dell'intera Europa. Chi potrebbe negare che l'antiebraismo, mutato in "antisemitismo", costituisca il sottofondo di questa catastrofe? Ma lo sfondo non esclude una cerchia più ampia: come poter capire le leggi di Norimberga prescindendo dagli statuti di 'limpieza de sangre' del XV secolo spagnolo? Come poter capire il comportamento genocida dell'autunno 1941 senza correlarlo al programma "T4" nazista di soppressione dei malati mentali? Gli anni 1880-1914 sono stati la matrice di una brutalizzazione della società che la Grande Guerra avrebbe esacerbato con una morte di massa. Privata del suo terreno di coltura, la storia senza precedenti ma non senza radici della Shoah rischia alla lunga di apparire come un incidente nella "marcia continua del progresso".