
I principi costitutivi della sociologia di Luigi Sturzo, proprio nello spinoso campo dei rapporti tra Chiesa e Stato, raggiungono un approdo felice, inquadrando gli elementi peculiari della socialità politica e religiosa quali parti vitali e interdipendenti di un unico e armonioso sistema. Per il prete siciliano, Chiesa e Stato sono una diarchia sociologica che, dall'apparizione del cristianesimo a oggi, pur con una straordinaria variazione di fasi e possibilità di adattamenti, si è dimostrata costante. Il confronto tra i due poteri, nella visione sturziana, non è altro che uno sviluppo del dualismo cristiano che sulla base del «rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», ha reso possibile una nuova storia della civiltà umana. È merito dell'autore aver investigato per primo, nel testo che qui riproponiamo, l'esatta inquadratura della teoria sociologica di Sturzo, «con una trattazione rigorosa e ampia, tutta riscaldata da un ardore devoto per il Maestro, senza sacrificare i criteri della ricerca scientifica, ma vivificandola e potenziandola con efficacia tutta particolare e costruttiva». Un volume che, come è stato riconosciuto, è stato utilizzato per approfondire lo studio della sociologia sturziana e che, di sicuro, anche oggi, potrà essere di riferimento per valutare e riconsiderare i rapporti tra Chiesa e Stato.
Nell'immaginario occidentale, il Tibet è associato al volto sorridente del Dalai Lama, a film come "Sette anni in Tibet", o alla tragedia dell'occupazione cinese consumatasi a partire dalla metà del XX secolo. Questo paese remoto e misterioso viene spesso percepito come il luogo per antonomasia della pace e dell'introspezione, della ricerca interiore. Tuttavia, talune di queste visioni, dove la storia si intreccia saldamente al mito, possono diventare una gabbia per i tibetani, e rischiano di nuocere alla conoscenza sia della loro cultura, e alla sua divulgazione, sia del loro travagliato passato, segnato da numerose invasioni, guerre e dominazioni straniere. Questo volume ricostruisce i processi storici, politici e sociali che hanno modellato nel corso dei secoli la complessa e affascinante cultura tibetana, e si rivolge soprattutto a un pubblico non specialista ma curioso di conoscere una delle civiltà più suggestive dell'Asia.
Il nazismo ha costituito una terribile sfida per la Chiesa cattolica, che, in un certo senso, continua fino a oggi: molti giudizi sul cattolicesimo contemporaneo ruotano ancora intorno al rapporto di Pio XI e di Pio XII con Hitler. Innanzitutto, il nazismo ha disorientato la Chiesa tedesca, stretta tra minacce gravissime e crimini che non tolleravano il silenzio. Alessandro Bellino ricostruisce l'accidentato percorso di questa Chiesa, ripercorrendo un vasto dibattito storiografico e mettendo a fuoco vicende poco conosciute, come i processi per scandali finanziari e sessuali del clero, che il regime usò come pesanti mezzi di pressione. Ciò che accadeva in Germania coinvolse subito anche la Santa Sede. Dai documenti vaticani, qui ampiamente esplorati, emerge una gestione quotidiana della sfida nazista, che non seguì inizialmente un disegno chiaro e organico, ma che poi acquistò un orientamento sempre più severo. Lungo questa strada, la condanna della Mit Brennender Sorge non è stata un punto d'arrivo definitivo, ma la base di una sistematica strategia diplomatica finalizzata a contrastare l'influenza nazista nel mondo. La Santa Sede agì come un collettivo al cui interno non c'era spazio per contrapposizioni radicali, tuttavia dai documenti emergono differenze di giudizio, di atteggiamento, di azione. Il Segretario di Stato Eugenio Pacelli appare pienamente coinvolto nel progressivo indurimento della linea vaticana e il pontificato di Pio XI si chiuse con una ferma presa di posizione, proposta dal Segretario di Stato a sostegno del card. Mundelein, contro l'«imbianchino austriaco e per giunta inetto». Prefazione di Agostino Giovagnoli.
Una lettura controcorrente di Elisabetta I d'Inghilterra volta ad abbattere tutti i miti artefatti dalla propaganda protestante e anticattolica. Sopravvissuta alle interminabili faide per il potere in seno alla Corte Tudor e trovatasi sul trono alla morte della sorella Maria, Elisabetta I d'Inghilterra (1533-1603) fu abilissima a mantenere il potere con ogni mezzo, soprattutto appoggiandosi alla Riforma protestante e alla classe dei nuovi ricchi sorta dalla confisca dei beni della Chiesa cattolica e dallo smantellamento dell'intero sistema monastico inglese. Una minoranza che contribuì a creare tutta una serie di miti, da quello della Regina Vergine a quello dell'Inghilterra nuova potenza navale, passando per quello dell'epoca d'oro elisabettiana da utilizzare in chiave di esaltazione politica e religiosa di ciò che nel paese si opponeva alla Chiesa cattolica. In questo libro, a metà strada tra il saggio storico e il pamphlet di polemica, Belloc analizza e confuta teorie e leggende sull'epoca elisabettiana, da lui designata come vero e proprio passaggio dal Medioevo alla società moderna.
La Rivoluzione francese vista da un’ottica nuova e spiazzante, quella di un cattolico fervente ammiratore dei principi che la animarono: secondo Belloc non c’era alcun conflitto tra i principi rivoluzionari e quelli della Chiesa cattolica. Piuttosto, gli sconvolgimenti che interessarono la Francia tra il 1789 e il 1795 derivano dalla decadenza del clero, dalle sue compromissioni storiche con la nobiltà, dall’accettazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali. Ammiratore di Rousseau e del suo Contratto sociale (alla base dello Stato moderno), Belloc traccia il profilo di Robespierre, Saint-Just, Danton, Marat e degli altri protagonisti della Rivoluzione, mostrandone il carisma, la passione e le contraddizioni, i buoni propositi e gli errori. Anche il periodo del Terrore viene inquadrato dall’autore come tentativo di evitare l’anarchia e di rispondere in maniera efficace alla guerra proveniente dall’esterno e agli estremismi interni.
La vita e le imprese di Napoleone Bonaparte da un punto di vista insolito: dando un grande spazio alla storia militare e facendoci sentire partecipi di avvenimenti terribili, Belloc racconta con entusiasmo ma rigore storico la storia di un tiranno che distrusse una repubblica per farsi imperatore, senza tuttavia quei pregiudizi contrari che contraddistinguono gli inglesi e l’entusiasmo che caratterizza i francesi. Napoleone cercò, come generale e legislatore, di unificare l’Europa e restituirle la pace, pur a costo di tante battaglie: un progetto che, se fosse riuscito, avrebbe cambiato l’intera storia di un continente condannato ai moti nazionalisti dell’Ottocento e alle Guerre Mondiali del Novecento.
L’Europa è nata dal cristianesimo ma la sua storia è stata caratterizzata dall’affermazione di diverse eresie che si sono susseguite e ne hanno frammentato l’originaria unità: l’arianesimo, l’islam, il catarismo, la Riforma protestante e il modernismo (di cui un risultato è il comunismo). Il tramonto della teologia, il trionfo dell’opinione personale, la mania dell’innovazione, la messa in discussione di tutto, il rifiuto del dogma e del principio di autorità hanno portato a un regime di eresia generalizzato che ha conseguenze pratiche sulla politica, la società e l’economia di oggi. Lo storico Hilaire Belloc dice che solo identificando e chiamando con il proprio nome ogni deviazione dalla retta dottrina sarà possibile contrastare efficacemente ogni attacco anticristiano.
In poche parole: La vita e l’opera del grande statista che contribuì a scavare un solco tra cattolici e protestanti e a fondare i moderni nazionalisti che hanno contribuito a distruggere l’Europa.
La fortuna nell’immaginario popolare del cardinale Richelieu è dovuta in gran parte al ritratto che ne fa Alexandre Dumas ne I tre moschettieri, presentandolo con un cinico e amorale doppiogiochista quasi in aperta concorrenza con il re Luigi XIII. In realtà, Richelieu fu uno dei grandi sostenitori dell’assolutismo monarchico e si adoperò per consolidare il potere del re contro tutti i localismi interni e i potentati esteri, non esitando a schierarsi dalla parte dei protestanti per accrescere il prestigio e le conquiste della Francia. Lo storico cattolico Hilaire Belloc traccia una biografia del personaggio individuando nel grande statista il fondatore dell’Europa moderna: a suo giudizio, Richelieu rese permanente la divisione tra la cultura cattolica e quella protestante e contribuì più di ogni altro a gettare i semi del nazionalismo aggressivo del XX secolo. Belloc rimpiange l’unità cattolica dell’Europa precedente alla “catastrofe del Cinquecento” e identifica nella Riforma la madre dei nazionalismi moderni, perché “alla distruzione di questa unità compiuta dalla Riforma successe (poiché gli uomini devono pur venerare qualcosa) un nuovo entusiasmo mistico: ciascuno si mise ad adorare il suo Paese natale”.
Le radici dell’Europa sono cristiane, e non può essere altrimenti: a partire dalla conversione dell’Impero Romano al cristianesimo, la fede ha rappresentato per il Vecchio Continente la salvezza e la ragione della sua crescita, influenzando e inglobando anche gli altri popoli a Nord del Mediterraneo. In questo saggio lo storico e polemista Belloc ribadisce la sua convinzione che ogni tentativo di spiegare gli accadimenti storici del continente europeo indipendentemente dalla prospettiva cattolica sia inutile. Lo smarrimento della comune fede cattolica, coincidente con la Riforma protestante, ha frantumato anche l’identità e l’unione politica dell’Europa, consegnandola ai nazionalismi. Solo così si spiegano il razionalismo del XVIII secolo, il materialismo del XIX e le guerre del XX: l’unica terapia che Belloc ritiene efficace per l’Europa è il ritorno alla fede che, attraverso la Chiesa cattolica, l’ha storicamente plasmata.
Domenica 7 novembre 1915, al largo di capo Carbonara, Tirreno meridionale. Verso le ore 13, il sommergibile tedesco U-38, inalberando la bandiera austroungarica, affonda il piroscafo Ancona diretto a New York con a bordo 164 uomini di equipaggio, 626 passeggeri, in gran parte donne e bambini, e un carico segreto: 12 casse di sovrane d'oro per un valore di 50 milioni di euro. Tra le 208 vittime, un funzionario del ministero dell'Agricoltura che accompagnava il tesoro con cui l'Italia avrebbe pagato la partecipazione all'Expo tenutasi quell'anno a San Francisco. Le cancellerie di Washington (nel disastro sono morti nove cittadini americani), Roma, Berlino e Vienna si scambiano messaggi di accusa o di giustificazione, ma solo le prime due conoscono la verità: le 133.000 sovrane rappresentano una franche di un colossale contrabbando di cavalli, muli, foraggio, armi e munizioni che l'Italia - entrata in guerra da sei mesi contro l'Austria-Ungheria - ha acquistato dagli Stati Uniti per "girarlo", forse, in parte alla Francia. Il comandante dell'Ancona, Pietro Massardo, non rivelò mai il punto nave dell'affondamento, e per settant'anni il relitto è rimasto indisturbato. Lo ritrovò nel 1985, integro e in buone condizioni, a 471 metri di profondità, Henri Delauze, il più grande cacciatore di relitti del dopoguerra. Da allora la caccia al tesoro è diventata un'autentica spy story, che ha coinvolto ministeri degli Esteri e tribunali...
Il libro ferma lo sguardo sulle categorie giuridiche nitidamente modellate nel secolo XII (furono dogmi, allora), per il coraggio di chi seppe opporsi al dominante sistema feudale e signorile. Fra tanti, i giuristi e il diritto vi ebbero parte decisiva. Per secoli è stata una partita vincente. Oggi si pone una domanda: servono le categorie giuridiche, rimodellate di epoca in epoca, per liberare l'uomo da obblighi involontari o casuali o arbitrari e per formare un ordine sociale condiviso?
In queste pagine si racconta la vicenda di Isabella d'Este, divenuta marchesa di Mantova dopo il matrimonio con Francesco Gonzaga; non di una semplice per quanto raffinata biografia si tratta, però, quanto di un vero e proprio romanzo: sia per la presenza di alcuni personaggi totalmente inventati - come Robert de la Pole, corrispondente del re d'inghilterra e innamorato platonico di Isabella -, sia soprattutto per la qualità della scrittura, che sembra avvolgere in una sorta di abbagliante pulviscolo ogni figura e ogni fatto storico. Protagonista assoluta è lei, Isabella, che ormai alla soglia dei sessant'anni rievoca la propria vita da quando, sposa sedicenne, giunse a Mantova e in un periodo tra i più tumultuosi e fulgidi della nostra storia, a cavallo tra Quattro e Cinquecento, resse le fila del piccolo stato costruendo attorno a sé una corte di ineguagliato splendore.