
Capire le coordinate storiche di quanto sta avvenendo nel conflitto israelo-palestinese è assolutamente indispensabile. Lo scenario odierno è il risultato dei cambiamenti maturati tra la seconda metà dell'Ottocento e il presente. Non solo in quelle terre contese ma nello stesso Mediterraneo, così come in Europa, Asia e Africa. È uno specchio collettivo in cui si riflettono molte situazioni di violenta contrapposizione che raccontano non solo di un astio nazionalista ed �
"etnico", ma dei fondamenti strutturali delle diseguaglianze, dei differenziali di potere, del rapporto tra libertà, giustizia, emancipazione e dipendenze, servitù, colonizzazione. Questo libro per la sua accuratezza, la sua originalità e la sua imparzialità negli anni è diventato un punto di riferimento per chiunque voglia approfondire un conflitto che sta determinando il nostro tempo e, in questa nuova edizione, si aggiorna fino a comprendere le vicende del 7 ottobre 2023 e la guerra a Gaza.
Nel Novecento alle speranze di una società migliore si sono spesso contrapposte le politiche dell'esclusione, l'annientamento fisico delle minoranze, le violenze di Stato, la condizione marginale dei tanti apolidi in fuga. La storia dei Lager e dei Gulag, la presenza dei luoghi di internamento e le vicende degli spostamenti forzati di popolazioni, si incrociano con la crisi delle società liberali e con la affermazione dei poteri totalitari. Deportare, concentrare, annientare non sono patologie del passato ma il lato oscuro dei tempi correnti, quelli che si vorrebbero governati dal diritto, ma che rivelano ancora la tentazione di cancellare quella umanità considerata un'intollerabile "eccedenza" rispetto agli interessi delle maggioranze silenziose e consenzienti.
"Ne ammazza più la penna" è la storia dei giornalisti italiani dai tempi della caduta di Napoleone - e precisamente dal primo possibile scoop, il misero fallimento dell'impresa di Gioacchino Murat fermato dalla plebe calabrese nel 1814 mentre tentava di tornare sul trono di Napoli - fino agli anni Sessanta del Novecento. Storia di giornalisti, più che del giornalismo, da Ugo Foscolo (messo a libro paga dagli austriaci) alla rivoluzione editoriale di Enrico Mattei. Giornalisti avventurieri, giornalisti scandalosi, giornalisti venduti e comprati, giornalisti eroici, disvelatori di luminose verità o occultatori di vergogne nazionali: dai grandi ai meno noti, ognuno con la precisa cifra della propria personalità. Mentre le loro carriere si adeguano alle innovazioni tecnologiche, politiche, culturali, sociali e finanziarie del mondo che cambia, sullo sfondo della vita in redazione scorre la storia d'Italia nei suoi momenti cruciali, colti nella realtà quotidiana. Così il rapporto tra i due versanti del racconto - i giornalisti e la storia d'Italia - è tessuto in modo tale che i giornalisti sembrano quello che in realtà furono: l'ombra della storia d'Italia, il suo lato meno noto, ma parte integrante, e a volte determinante, dell'intero. Patriottismi e scandali, ideali e corruzione, coraggio innovativo e conflitti d'interesse, servitù culturale e ardimento d'avanguardia, fanno da refrain a un racconto che diventa, pagina dopo pagina, una storia culturale minuziosissima di notizie...
Il 31 ottobre 1969 le telescriventi di tutto il mondo battono una notizia che ha dell'incredibile. Ralph Minichiello, marine italo-americano di vent'anni, decorato in Vietnam per le sue azioni «eroiche», sta dirottando un aereo decollato da Los Angeles. All'aeroporto di New York, dove il Boeing 707 atterra per rifornirsi di carburante, Minichiello riesce a beffare l'imponente dispiegamento di forze dell'Fbi coordinato da John E. Hoover in persona. L'aereo sembra diretto al Cairo ma all'alba del i° novembre si ferma a Roma, dove il marine, su un'auto della polizia guidata da un vicequestore, comincia una disperata fuga verso Napoli e il paese in cui è nato, Melito Irpino. Dopo rocambolesche avventure nella campagna romana, viene arrestato e condotto nel carcere di Regina Coeli. Gli inquirenti faticano a credere al suo racconto: un anno, il 1968, vissuto nelle giungle del Vietnam; il torto subito al suo ritorno negli Stati Uniti; la decisione di sfidare, da solo, il Paese per cui era disposto a sacrificare la vita. Tutto per 200 maledetti dollari. Qualche giorno dopo cominciano a giungere, da ogni parte del mondo, messaggi di solidarietà per il ragazzo capace di sfidare «l'impero» impegnato nella «sporca guerra» diventata l'emblema di tutte le proteste che riempiono le piazze dell'Occidente. Se estradato, Minichiello, che a quattordici anni era emigrato in America con i genitori per fuggire dalla miseria dell'lrpinia colpita dal terremoto, rischia la pena di morte. Ma ormai è un simbolo: la sua vicenda si intreccia, involontariamente, con una storia che parte dalle proteste nelle università americane, passa per il Maggio francese, per Woodstock, la strage di Piazza Fontana a Milano, la ritirata americana dal Vietnam e gli Anni di piombo in Italia. Non è più la bravata di un ragazzo diventato uomo sparando raffiche di mitra in Vietnam ma la parabola di un'intera generazione che mette sotto accusa i propri genitori.
Il cadavere di Giacomo Matteotti venne ritrovato a due mesi dalla scomparsa, il 16 agosto 1924, nel bosco della Quartarella, a una ventina di chilometri da Roma. Il 10 giugno precedente, il politico era uscito di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio. Sul lungotevere Arnaldo da Brescia lo aspettava un'auto. I suoi aggressori saranno identificati come membri della polizia politica fascista. Matteotti, che aveva da poco attaccato Mussolini e il fascismo in un discorso indimenticabile, a difesa della democrazia, venne ritrovato dal cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza: era già in fase di decomposizione. Questo volume riporta l'ultimo Discorso di Matteotti, quello che gli costò la vita, oltre alle lettere che, nei giorni della sua scomparsa, vennero scambiate tra gli amici Filippo Turati e Anna Kuliscioff, il Discorso di Mussolini e un testo a firma di Piero Gobetti, a ricordare la figura dello statista veneto. Un libro-documento, per non dimenticare.
Nel corso del Diciannovesimo secolo, mentre l’Europa è incendiata dai moti rivoluzionari, Londra offre rifugio a gruppi di esuli provenienti da ogni focolaio di lotta contro la Restaurazione. Patrioti, avventurieri e massoni, propugnatori dell’indipendenza nazionale o di una società utopistica, sono accolti nel grembo di una città che offre libertà e anonimato, ma produce anche isolamento, povertà e spleen. Lungo le sponde del Tamigi, tra taverne fumose e alberghi, salotti aristocratici e quartieri popolari, si dipanano le esistenze in fuga dei protagonisti del Risorgimento italiano e dei costruttori immaginari paradisi socialisti. In particolare è su Giuseppe Mazzini, sconfitto dal mondo eppure mai domato nell’animo, che si appunta lo sguardo del narratore. Con minuziosa ricostruzione storica, Enrico Verdecchia scandaglia una messe di documenti editi e inediti, restituendone gli slanci ideali, i palpiti per una nazione unita e indipendente, ma anche il tormento interiore per un grande amore romantico e per un figlio segreto, morto prematuramente. Sono numerosi però i “cospiratori” che sono protagonisti di queste pagine. C’è Garibaldi che, unificata l’Italia, fa il suo ingresso trionfale a Londra, acclamato dalla folla. Ci sono Marx ed Engels, alle prese con la neonata Internazionale, con problemi filosofici e pratici e piccole miserie domestiche. C’è Bakunin, il gigante sognatore estremo in tutto, nella fame di vita come nella rivolta contro le ingiustizie del mondo. E poi Foscolo, i fratelli Ruffini, Prati, Berchet, i grandi intellettuali come Chateaubriand e Mill, gli esuli francesi e quelli polacchi. Sorretto da un incalzante ritmo narrativo Londra dei cospiratori è il risultato di una febbrile ricerca durata quarant’anni, un testo che inserisce il Risorgimento italiano in un movimento di passioni e ideali organicamente europeo.
Enrico Verdecchia è nato nel 1939 provincia di Ascoli Piceno. Cresciuto a Roma, dopo la laurea in Lettere con indirizzo storico ha intrapreso la carriera del giornalismo, prima nella redazione dell’Avanti! e poi in quella del settimanale Il Punto. Nel 1972 si è trasferito in Inghilterra dove ha esercitato una multiforme attività pubblicistica come giornalista radiofonico e televisivo per la Bbc, la Rai, Rete 4 e Canale 5. Ha lavorato come consulente e traduttore di soggetti cinematografici, doppiatore di documentari e pubblicità commerciali e infine, dal 1973 al 2000, in qualità di corrispondente da Londra per il settimanale Panorama e collaboratore di periodici tra cui Epoca, Grazia, Gente. Nel frattempo, mosso da un’intensa passione per i problemi della storia, ha raccolto nel corso di quarant’anni una biblioteca personale di 6.000 volumi di argomento risorgimentale, per il quale ha svolto indagini e reperito documentazione per diversi anni.
«Il re muore, ne occorre un altro; le elezioni lasciano degli intervalli pericolosi [...]. Si è resa la corona ereditaria in alcune famiglie e si è stabilito un ordine di successione che impedisca ogni disputa alla morte del re. Cosicché [...] si preferisce rischiare di avere per capi dei bambini, dei mostri, degli imbecilli piuttosto che avere da disputare sulla scelta dei buoni re» (J.-J. Rousseau, Contratto sociale). Questo saggio ricostruisce i dibattiti, gli scontri e le tensioni che accompagnarono la gestazione delle leggi di successione, tra la metà del Seicento e la metà del secolo successivo: dalla Danimarca all'Inghilterra della Gloriosa Rivoluzione, dalla Russia di Pietro I alla Francia di Luigi XIV, dalla Spagna borbonica ai domini asburgici, alla Toscana nel passaggio dai Medici ai Lorena. Nel contesto dei dibattiti sulla sovranità e sul rapporto tra sovrano e popolo, da Pufendorf a Hobbes, a Locke, il volume ripercorre la storia d'Europa tra XVII e XVIII secolo per cercare di comprendere il contributo che le leggi di successione dettero alla "costituzionalizzazione" del rapporto tra dinastia, popolo e territorio.
L'emergere del gruppo socio-professionale dei "dotti" è uno dei fenomeni caratterizzanti della società del pieno e basso Medioevo. All'argomento aveva dedicato oltre quarant'anni fa un celebre libretto Jacques Le Goff: "Gli intellettuali del Medievo". Ora in una prospettiva diversa questo libro di Verger viene a integrare e in parte a correggere il quadro tracciato da Le Goff, fornendo una sintesi organizzata in maniera tematica, del mondo della cultura medievale.
La storia di ogni confine ha sempre due facce: quella raccontata al di là è sempre diversa da quella che si ascolta di qua. I confini in quanto luoghi mutano nel tempo, si costruiscono e si cancellano, e quelli che tuttora delimitano gli Stati europei sono infatti il frutto di guerre, negoziazioni politiche e diplomatiche. Ma il loro valore simbolico è il portato degli orientamenti delle popolazioni residenti lungo i loro versanti. Condizioni favorevoli agli scambi o viceversa al conflitto sono dipese soprattutto dalle società di confine, dal loro interesse a trasformare quel limite in un passaggio piuttosto che in uno sbarramento. Il tracciato di confine che dopo la prima guerra mondiale permise di "ricongiungere" all'Italia la gran parte delle terre irredente, Trieste, Gorizia e l'Istria, creò sconforto tra vasti strati di popolazione slovena e croata residente nella stessa area, inclusa dopo il 1918 nel Regno d'Italia. Scorrono in queste pagine eventi e vicende della storia del confine italojugoslavo nel periodo tra le due guerre: i percorsi degli emigranti politici sloveni e croati fuggiti in Jugoslavia, gli intenti repressivi del fascismo di frontiera e gli obiettivi del movimento antifascista, che operò clandestinamente dagli anni venti fino allo scoppio della seconda guerra mondiale con dichiarati intenti irredentistici.
A cura di uno dei suoi più grandi studiosi, una nuova immagine del mondo greco che qui cessa di essere un inimitabile modello di perfezione, per diventare una realtà complessa, agitata da problemi e ansie in gran parte simili ai nostri. Jean-Pierre Vernant (Provins, 1914) è professore onorano al Collège de France.

