
Diversamente da altri centri italiani Firenze, incarnazione della città "libera" e centro di fioritura della cultura e delle arti rinascimentali, non si mise mai nelle mani di un condottiero, finendo invece in quelle di una famiglia di semplici cittadini. A lungo nell'oscurità, sufficientemente abili per sopravvivere alle convulsioni di una città in preda a pericolosi disordini, i Medici unirono il loro destino a quello di Firenze, esercitando il potere con raffinatezza e violenza. Conflitti tra fazioni, corruzione, tumulti, assassinii, sentenze d'esilio politico e manipolazione del popolo: sono alcune dinamiche politiche nella Firenze medicea, tratteggiate con sapienza e rigore dall'autore, che ricostruisce una società complessa e affascinante, muovendo dal Duecento per giungere sino alla fine del XV secolo.
La storia del paesaggio urbano è quasi ancora tutta da scrivere. Per lungo tempo, a proposito della nascita prima e poi della crescita della città nel Medioevo in Occidente, sono stati privilegiati i fenomeni di natura strettamente economica per render conto dell'evoluzione del paesaggio urbano. Senza negarne l'importanza, si deve considerare che ben altri fattori decisivi meritano un attento esame. In particolare, occorre porre l'accento, da una parte, sui legami molto potenti esistenti tra il formarsi, il permanere o il degradarsi dei tessuti urbani o delle forme d'urbanizzazione in generale, e dall'altra sulle strutture politiche e sociali che governano gli uomini nelle città. E non si tratta soltanto di prendere in considerazione le istituzioni governative o amministrative, ma di vedere chi, effettivamente, dirige la città, quali categorie d'individui o quali gruppi la tengono in mano, e attraverso quali mezzi dichiarati od occulti; di precisare le loro origini e ancor più le loro organizzazioni sociali, il modo in cui si riuniscono, si appoggiano o si contrastano a vicenda. Paesaggi, poteri e conflitti sono inseparabili.
La condizione dei rifugiati e dei richiedenti asilo nel nostro paese è in questo momento quanto mai al centro del dibattito pubblico: quando si parla di respingimenti, per esempio, ci chiediamo quali sono le motivazioni che ogni anno spingono migliaia di persone ad abbandonare i loro paesi d’origine, la famiglia, gli affetti per affrontare un viaggio in cui mettono a repentaglio la loro stessa vita? E una volta arrivati in qualche modo nel nostro paese, cosa li aspetta in termini di diritti, opportunità e tutele? Per comprendere quanto sta accadendo oggi in Italia, e più in generale nell’Unione europea, e quali sono le possibili risposte politiche alla questione rifugiati, non si può non risalire ai primi anni novanta, quando viene emanata la prima legge in materia, la legge Martelli, e nasce il Consiglio italiano per i rifugiati. Prima di allora il nostro non era un paese d’asilo. Accanto a una cronistoria degli arrivi e dell’accoglienza dei principali gruppi di rifugiati in Italia – albanesi, somali, bosniaci, kosovari, curdi, eritrei, iracheni e afghani –, fatta attraverso le testimonianze dei protagonisti, il volume ripercorre le più importanti iniziative promosse da parte dei governi e della società civile, anche se sempre in risposta a situazioni e casi di emergenza. Quello che tuttora manca in Italia è un approccio organico al tema del diritto d’asilo, che consenta di affrontare alla radice i problemi di integrazione attraverso una ridefinizione della figura stessa del rifugiato, un’azione sinergica con i paesi di provenienza e uno sforzo più deciso per far sì che le varie istituzioni e organizzazioni siano messe in condizione di convergere senza intralci burocratici e incertezze verso l’obiettivo comune dell’accoglienza.
L'AUTORE
Christopher Hein è il fondatore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) e ne è direttore dal 1990. È stato funzionario dell’Unhcr fino al 1989; dal 1994 al 2003 è stato membro del comitato esecutivo del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (Ecre) e nel 2003 ne è stato presidente. Insegna in varie università in Italia e Spagna, soprattutto in corsi di master in diritti umani, diritto internazionale sui rifugiati, diritto comparato, politiche sulle migrazioni e l’asilo.
Quando questa storia dell'URSS, scritta da due studiosi russi attivi in Europa e in America, uscì per la prima volta in francese nel 1982, nulla lasciava intendere che nel giro di soli dieci anni quell'immenso impero si sarebbe dissolto come neve al sole. Infatti le parole finali di questo libro così suonavano: "I successi del sistema sono evidenti" ma, aggiungevano gli autori "la storia non si è ancora fermata". Mai profezia fu più esatta: lungi dal fermarsi, la storia travolse ogni cosa con la furia di un fiume in piena. Questo libro non è antisovietico: i due autori ne ricostruiscono la storia in modo imparziale. A questa edizione si aggiunge un capitolo conclusivo che giunge fino a oggi.
Avvincente, tragica, spesso in bilico tra verità e leggenda, la storia della fine degli Incas è densa di episodi e figure memorabili. Dal tempo in cui la banda di avventurieri spagnoli messi insieme da Pizarro riuscì a penetrare nei territori degli Incas, fino all'uccisione dell'ultimo indio ribelle, il grande storico John Hemming ripercorre gli eventi che cambiarono la storia delle Americhe e, con esse, del mondo intero: le prime incursioni spagnole; lo scoppio delle ostilità; la cattura e il supplizio del potente Atahualpa; la ribellione dell'Inca Manco; la creazione di uno Stato inca autonomo sulle montagne di Vileabamba; l'ultima resistenza e la fine del leggendario Tupac Amaru; il definitivo attacco spagnolo culminato nel genocidio degli Incas. Capace di combinare alla perfezione il punto di vista degli spagnoli e degli indios, "La fine degli Incas" non è solo uno studio scientifico senza uguali, ma anche un'opera narrativa di assoluto valore. Che con ricchezza di particolari storici e ritratti indelebili dei protagonisti, restituisce tutta la complessità di quei convulsi momenti che portarono alla distruzione di un grande impero e di una favolosa civiltà.
È il racconto della vita quotidiana, del lavoro, dei viaggi, degli incontri e dei momenti più difficili e toccanti in un mondo devastato dalla guerra, diviso tra la voglia di democrazia e il ritorno dei Talebani, sospeso tra modernità e integralismo, segnato da bombe, attentati e da un conflitto che non è mai cessato. Il diario di Marco Henry narra l'anno di un civile italiano tra eserciti militari di differenti nazioni, a volte sopraffatto dalla paura e dalle forti emozioni che si possono vivere in un teatro di guerra. Un luogo in cui le precauzioni non sembrano mai sufficienti. In cui il rischio e la fortuna sono alleati con cui scendere a patti. Marco ha un compito, e intende portarlo a termine nel miglior modo possibile: deve occuparsi dei rifornimenti per i 2200 militari italiani che si trovano tra Kabul e Herat. Non si tratta dell'epopea di un eroe, ma delle gesta di un uomo che compie con grande professionalità il proprio lavoro, e che in queste pagine ricostruisce la realtà di una guerra senza fine.
Il 7 dicembre 1941, proprio mentre a Washington veniva consegnata la dichiarazione di guerra, sfruttando in tal modo il gioco del fuso orario, gli aerei dell'aviazione imperiale nipponica del capitano di corvetta Fuchida piombavano sulla baia di Pearl Harbor e annientavano praticamente la flotta americana del Pacifico, affondando sette navi da battaglia, alcune decine di altre unità minori e distruggendo oltre 200 aerei. Ma le tre portaerei USA che erano il vero obiettivo dell'attacco non si trovavano, misteriosamente, all'ancora nella baia devastata e proprio l'Enterprise, la Hornet e la Yorktown nel corso della battaglia di Midway, tra il 4 e il 16 giugno 1942, avrebbero mutato il corso della guerra del Pacifico.

