
Christopher Dawson, uno dei maggiori storici del dopoguerra, affronta in questo fondamentale saggio il tema della religione quale elemento dinamico dello sviluppo della civiltà dell'Occidente.
L'autore descrive il cammino della civiltà europea dalla caduta dell'Impero romano alla crisi del XIV secolo, individuando nella presenza della Chiesa l'elemento che, agendo nella realtà e coinvolgendosi in essa, fu capace di trasformarla e di porre i fondamenti di una civiltà che ha segnato in maniera indelebile il Vecchio Continente.
Il rapporto con i Barbari, il legame con la tradizione bizantina e con le civiltà dei popoli nordici, la tensione continua alle riforme che ha segnato la vita della Chiesa, sono le tappe descritte da Dawson, la cui lettura del Medioevo cristiano come adolescenza della civiltà occidentale risulta ancora oggi di estrema attualità.
Introduzione di Serenella Carmo Feliciani
Quanto è profondo il legame tra il cristianesimo e la nascita e lo sviluppo della società occidentale? È il tema al centro di questo testo di Christopher Dawson, uno dei maggiori storici del dopoguerra. L'autore descrive il cammino della civiltà europea dalla caduta dell'Impero romano alla crisi del XIV secolo, individuando nella presenza della Chiesa, nella sua componente culturale, ma soprattutto in quanto presenza di luoghi di vita diversa nel mondo, l'elemento che agendo nella realtà fu capace di trasformarla e di porre i fondamenti di una civiltà che ha segnato in maniera indelebile il Vecchio Continente. Il rapporto con i barbari, il legame con la tradizione bizantina e con le civiltà dei popoli nordici, la tensione continua alle riforme che ha segnato la vita della Chiesa, sono le tappe descritte da Dawson, la cui lettura del Medioevo cristiano come adolescenza della civiltà occidentale risulta ancora oggi di estrema attualità.
In questo fondamentale studio - definito dal «Times Literary Supplement» «impressionante per la padronanza dell'argomento e l'originalità delle tesi» - Christopher Dawson sostiene che i cosiddetti «Secoli Bui», il periodo storico che va dal IV all'XI secolo, non furono affatto uno sterile preludio all'energia creativa sprigionatasi dopo l'anno Mille. Al contrario, l'Alto Medioevo andrebbe descritto come un'età di rinascita perché fu allora che la complessa interazione tra l'Impero romano, la Chiesa cristiana, la tradizione classica e le società barbariche determinò la genesi di un'unitaria e vitale cultura europea. Scrivendo nel 1932, nel pieno di una profonda crisi europea - insieme culturale, politica, morale ed economica - nella quale le forze nazionalistiche sembravano aver vinto la battaglia delle idee, Dawson sosteneva che «se la nostra civiltà vuole sopravvivere è necessario che sviluppi una coscienza europea comune e la consapevolezza di una unità storica e organica». Dawson aveva chiaro che quell'unità richiedeva però soluzioni ben diverse da quelle imposte dai movimenti politici al potere e dalle teorie economiche che andavano per la maggiore. Era necessario - allora come oggi, verrebbe da dire - che l'Europa riscoprisse le proprie radici cristiane e con esse - e come loro conseguenza - l'aspirazione all'universalismo, contro ogni nazionalismo e ogni protezionismo.
Questo saggio, scritto originariamente nel 1967, raccoglie la prima parte delle lezioni tenute dall'autore per il corso di Studi Cattolici Romani tenuto alla Divinity School della Harvard University (1958-1962). Il contenuto essenziale dell'opera, che è l'ultima pubblicata da Christopher Dawson in vita, è dedicato alla descrizione della formazione, dell'apogeo e dei primi segni di dissoluzione del Medioevo, cioè della Civiltà cristiana romano-germanica, che l'autore sviluppa e completa negli altri due volumi dell'ideale trilogia The Making of Europe: An Introduction to the History of European Unity (1932) e Religion and the Rise of Western Culture (1950).
"Gli dei della Rivoluzione" (1972) è il frutto postumo delle riflessioni, anticipate parzialmente in articoli di rivista comparsi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d'America nel corso degli anni 1930 e 1950, che lo storico inglese Christopher Dawson, nell'ambito di quella storia della civiltà occidentale a cui dedica tutta la vita, sviluppa sulla Rivoluzione Francese come epilogo del processo che, partendo dal declino dell'unità della Cristianità medioevale, attraverso la Riforma protestante, un certo filone dell'umanesimo, l'illuminismo, conduce alle soglie delle ideocrazie rivoluzionarie del secolo XX. Dopo avere ricostruito la genesi culturale della Rivoluzione Francese, Dawson ne descrive efficacemente gli accadimenti, mettendo particolarmente in luce la mentalità e le modalità operative rivoluzionarie. Pur consapevole dello specifico politico della Rivoluzione, non può non coglierne gli aspetti "religiosi". Come afferma Arnold Toynbee nell'introduzione all'opera, "Nella Rivoluzione, un'antica, sinistra religione che era stata dormiente improvvisamente rispuntò con una violenza elementare. A ritornare dopo lunga assenza fu il culto fanatico della potenza umana collettiva. Il Terrore fu solo il primo dei crimini di massa che sono stati commessi durante gli ultimi centosettant'anni in nome di questa religione malvagia". Esamina quindi le reazioni intellettuali che la Rivoluzione Francese ha suscitato nel secolo successivo e la ripresa del cattolicesimo...
Questo saggio, scritto originariamente nel 1961 è frutto della riflessione di Christopher Dawson, sviluppata dal 1953 al 1958 in numerose conferenze dedicate a persuadere della necessità d'introdurre lo studio della cultura cristiana nell'istruzione superiore dei paesi anglosassoni. Il contatto dello storico britannico con la gioventù universitaria statunitense, sia cattolica che protestante, lo conferma in particolare nella convinzione che l'ignoranza dei cristiani nei confronti della loro stessa cultura sia non solo uno dei principali ostacoli sulla strada di un serio ecumenismo, ma anche causa non secondaria del fallimento dell'intero sistema d'istruzione occidentale, nonostante i pretesi progressi nei metodi educativi.
«Io porto perennemente le sbarre in me» confidava Kafka all'amico Gustav Janouch. Questo libro indaga le peculiari modalità di espressione letteraria dell'ebreo, concentrandosi su quel caratteristico sentimento del ghetto che Elena Loewenthal descrive come «un luogo che ognuno di noi porta ancora dentro di sé, che ognuno nasconde nelle pieghe del cuore, nei sogni di notte e in una strana, inappagata sete di spazi aperti». Luca De Angelis rintraccia questa cosmografia interiore viaggiando nella letteratura ebraica fra Otto e Novecento in autori come Kafka, Zangwill, Svevo, Bassani, Saba e molti altri.
La missione era nata da subito all'insegna dell'ipocrisia: «Siamo intervenuti in difesa di un alleato NATO dopo l'11 settembre», mentirono i politici. L'attacco all'Afghanistan fu invece parte dell'operazione Enduring Freedom, a iniziativa americana, non autorizzata dall'ONU. La NATO subentrò solo più tardi. Spedendo i primi soldati fuori da Kabul, in zona di combattimenti, nel 2003, il ministro della Difesa dell'epoca dichiarò: «È una missione a rischio, ma le sue finalità sono comunque di peace-keeping». In realtà già da fine 2001 i piloti del gruppo Lupi Grigi decollati dalla portaerei Garibaldi erano impegnati nelle missioni di bombardamento sull'Afghanistan insieme agli aerei americani: ne compirono 278. Non c'era pace da mantenere laggiù, lo dimostra anche l'esistenza di una unità come la Task Force 45, formata dall'élite delle forze speciali italiane, quotidianamente impegnata in azioni di combattimento, ma la cui esistenza all'inizio non era nemmeno ammessa dal governo. Numerosi 'operatori' della fantomatica TF-45 raccontano nei particolari le operazioni di guerra, portate a termine spesso senza poter contare sul supporto degli aerei italiani. In vent'anni di intervento la guerra ha portato con sé corruzione, ruberie, appetiti economici, tradimenti. E il bilancio è uno solo: la situazione in Afghanistan è peggiorata.
La donna è un abisso di mistero che gli uomini faticano a comprendere, per questo a volte ne hanno paura, e definiscono irrazionalità o isteria quello che semplicemente sfugge al loro controllo. È la femminilità stessa che spesso li ossessiona. Per quattro secoli a questa ossessione è stato dato il nome di strega. Dal Medioevo alle soglie dell'Illuminismo, e oltre, sono state centinaia di migliaia le donne torturate, processate, mandate al rogo con l'accusa di stregoneria, un olocausto misconosciuto, una follia persecutoria alimentata da cupidigia, ignoranza e superstizione. Tanto folle che Michel de Montaigne, il grande filosofo francese, si stupiva che la religione cattolica non annoverasse la crudeltà tra i peccati capitali. Non ci voleva molto a essere sospettate, e spesso erano le donne più libere, anticonformiste o esperte di medicamenti a fare le spese dell'ottusità del potere. In Italia come in Francia, Germania e Spagna, nel Vecchio Mondo come nel Nuovo. Nel racconto dei principali processi di stregoneria, ricostruiti sulla base di atti processuali e documenti dell'epoca, rivive una lunga pagina che solo l'oblio del tempo può farci avvertire folcloristica, ma che è stata una vera e propria persecuzione. Oggi lo chiameremmo femminicidio. Attraverso i ritratti di alcune di queste donne, e l'accanimento con cui sono state trattate, si possono illuminare molti aspetti dei rapporti tra i sessi nel corso della storia. E perfino del presente.
Millecinquecento anni prima di Cristo, ci furono donne che decisero di governarsi da sole. Dopo sanguinose guerre contro l'impero egiziano che decimarono gli uomini sciti, le loro donne furono costrette a farsi guerriere.
La fama di arciere abilissime, di combattenti indomite e coraggiose le precedeva ovunque e i popoli vicini si sottomisero o furono conquistati. Depositarie di poteri sciamanici e del grandioso segreto della fecondazione, gli uomini che sceglievano, stipulando lunghe tregue dedicate ai riti erotici della riproduzione, erano scacciati dopo la breve stagione dell'amore. Istituirono un regno tutto al femminile, dove trionfavano giustizia e solidarietà: il primo matriarcato che la storia ricordi. Le chiamavano Amazzoni.
Per i contemporanei, incarnavano la donna assoluta, un pericoloso miscuglio di sensualità femminile e violenza maschile, un essere indipendente e non bisognoso di protezione. Una minaccia carica di seduzione alla nascente società patriarcale. Da estirpare o sottomettere.
Ma, come un fiume carsico, l'essenza ribelle e combattiva delle Amazzoni non si è mai estinta perché nessuno è mai riuscito a soffocarla.
La biografia di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio continua a far discutere gli storici. Uno dei temi più appassionanti riguarda la sua appartenenza al Sovrano Militare Ordine di Malta (o Ordine di San Giovanni) e la sua permanenza nell'isola di Malta fino alla condanna per rissa e l'evasione. Come e perché il Caravaggio, condannato e ricercato per l'omicidio a Roma di Ranuccio Tomassoni e noto per la sua vita dissoluta, poté entrare a far parte del più autorevole consesso dell'Europa cristiana della fine del XVI secolo? Chi lo minacciò e perseguitò dopo la fuga da Malta? Furono i Cavalieri di quello che era stato il suo Ordine, oppure i fratelli dell'uomo che aveva ucciso a Roma? A queste domande, cui gli storici hanno fino ad ora prestato poca attenzione, risponde questo libro di Luigi G. de Anna, che si legge come un romanzo di avventure, ma si basa su un solido esame delle fonti storiche.