
Sulla fiaba si ormai scritto molto, e su piani e livelli molto diversi; nessun saggio però aveva finora messo a fuoco con sufficiente precisione e profondità il nesso che lega cinque sue fondamentali dimensioni: educativa, psicologica, antropologica, formale e narrativa e quella presente nel suo contenuto, il quale spesso è misteriosamente cannibalico-predatorio. In questo suo saggio Lusetti esplora il nesso fra questi cinque elementi: in particolare ci mostra come la fiaba, più che uno strumento genericamente "educativo", sia un mezzo specifico per tentare di padroneggiare quell'aggressività predatoria, e spesso cannibalica, che permea da sempre le relazioni umane, e nella fattispecie quelle genitori-figli.
Il test dei colori è stato ideato nel 1949 dallo svizzero Max Lüscher. Ha trovato subito una larga diffusione su scala mondiale per i pregi specifici che lo contraddistinguono da altri test proiettivi: rapidità e semplicità di somministrazione, validità universale, ricchezza e completezza dei dati forniti, buona attendibilità. I settori di utilizzazione sono svariati: clinica, selezione del personale, orientamento professionale, etnologia, pedagogia. In medicina psicosomatica il Lüscher test trova senz'altro una collocazione di preminenza; è infatti in grado di segnalare le zone di tensione sia fisiologica sia psicologica anche quando non abbiano ancora raggiunto l'espressione sintomatica, permettendo così al medico e allo psicologo di formulare una diagnosi più precisa e di intervenire nel modo più idoneo. Ed è proprio nel senso della terapia che, a nostro giudizio, il test dei colori trova la sua più felice utilizzazione. Ogni psicologo che intenda impostare una psicoterapia fa ricorso a tutta una serie di tecniche e di strumenti per inquadrare il caso, comprenderne le dinamiche, scegliere il tipo di intervento opportuno. È noto che più una psicoterapia è direttiva e più l'operatore deve essere in possesso di dati che gli permettano di agire con chiarezza ed efficacia sulla personalità del paziente.
Contenuto
Un saggio di grande rigore metodologico che il celebre neuropsicologo russo ha destinato agli psicologi scolastici, con abbondante materiale illustrativo. L'opera si raccomanda anche ai grafologi, per lo studio della neurofisiologia del gesto grafico e della grafologia dell'età evolutiva.
1943. Fronte russo occidentale, regione di Smolensk: Lev A. Zaseckij, giovane tenente dell'Armata Rossa, viene ferito da un proiettile tedesco che gli penetra in profondità nel cervello cancellando la percezione di una parte del corpo e pregiudicando sia la comprensione del linguaggio che la memoria. Sottoposto a un intenso processo di riabilitazione, Zaseckij recupera frammenti delle funzioni cerebrali perdute e torna, dolorosamente, a vivere: riaffiorano nomi di persone e oggetti, impara di nuovo a contare, riconosce la via di casa... Giorno dopo giorno, dapprima con fatica poi con crescente sicurezza, annota i progressi in un diario a partire dal quale il grande neuropsicologo russo Aleksandr Lurija, che lo ebbe in cura per molti anni e con lui stabilì una relazione strettissima e partecipe, ricostruisce il profilo clinico e la personalità di un uomo sensibile e indomabile, realizzando, come ha scritto Oliver Sacks, "quella fusione di pittura e anatomia sognata da Hume". Libro "romantico" - cioè incarnazione di una scienza nemica di ogni riduzione della realtà a schemi astratti -, "Un mondo perduto e ritrovato" è anche un libro unico, frutto della felice combinazione (sono ancora parole di Sacks) di "una descrizione rigorosa, analitica" e di "una comprensione e immedesimazione profondamente personale con gli oggetti", di lucidità scientifica e tensione drammatica. Postfazione di Luciano Mecacci.
Benché i sensi di insicurezza fossero diffusi già in epoca premoderna, oggi nutriamo paure diverse da quelle del passato e attribuiamo alle nostre ansie oggetti e cause differenti. Facciamo ricorso al pensiero razionale, incentiviamo analisi scientifiche e allestiamo sofisticati sistemi di prevenzione. Attorno al concetto di rischio ruota in sostanza l'intera organizzazione sociale. Almeno sei sono i tipi di rischio su cui convergono le preoccupazioni dei singoli e delle istituzioni: i rischi ambientali, i rischi legati allo stile di vita, i rischi sanitari, i rischi relazionali, i rischi economici, i rischi della criminalità.
Le difficoltà nello sviluppo armonico e funzionale dei bambini sono in costante aumento e di conseguenza è in crescita la domanda di interventi preventivi e curativi a carattere psicologico e psicoterapico. Questo libro, proponendo il gioco come strumento principe per la cura del disagio psico-emotivo della famiglia con bambini, può essere considerato una vera e propria sfida per una cultura in cui il giocare costituisce un'attività meramente infantile. Dentro tale sfida ci sono tanto le famiglie che richiedono un intervento, quanto i professionisti della cura. Non di rado, infatti, lo psicoterapeuta rimane intrappolato dentro la propria immagine di professionalità composta e formale. Il gioco - svolto con la partecipazione attiva di tutti i componenti del setting terapeutico - grazie alle sue caratteristiche comunicative non verbali e simboliche, facilita delle ristrutturazioni della singola persona e del suo sistema familiare, permette di agire quelle ridefinizioni comportamentali necessarie al cambiamento e decostruisce quelle rigide impalcature mitiche che paralizzano le famiglie. E i terapeuti giocando diventano modelli impliciti e possibilità di attivazione di empatia, di coping e di imitazione da parte di tutti.
L'autore in questo breve saggio focalizza l'attenzione sulla figura del padre del nostro tempo, coniugando l'esperienza personale di paternità e professionale di psicoterapeuta. Conduce il lettore, con delicatezza e progressione, verso la comprensione del volto del Padre Celeste dimostrando che Dio è un modello raggiungibile di ogni paternità, per l'oggi e per sempre. Una progressione che diventa bene grande, desiderabile e necessario, una conquista indispensabile per il futuro dell'umanità.