
«Sono stato ritualmente affiliato all'età di 19 anni, credo di essere stato uno dei più giovani nella storia di Cosa Nostra...». Giovanni Brusca è l'uomo che il 23 maggio 1992 premette il telecomando che fece saltare in aria il giudice Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. Ma prima di quella data, per anni aveva ucciso, imprigionato, minacciato, da vero uomo di mafia. La sua è stata una lunga "carriera" e prima di tutto una "esistenza" nell'inferno della violenza come sistema di potere. Senza chiedere troppo facilmente di dimenticare le sue terribili responsabilità, Giovanni Brusca dialoga con don Cozzi e racconta il suo percorso. In questo dialogo con un sacerdote abituato a confrontarsi con tragedie e ingiustizie e con faticosi percorsi di riconciliazione, si espone al giudizio del lettore, ma soprattutto si mette nelle mani di un mistero di misericordia più grande di lui.
Le pagine di questo libro raccontano, sul filo di una lunga e intensa amicizia, uno degli aspetti più veri e autentici di Ágnes Heller (1929-2019), la grande filosofa ungherese: la bellezza di viaggiare, conoscere, costruire relazioni, visitare città e fermarsi a contemplare i paesaggi naturali per respirare a pieni polmoni il flusso gioioso dell'esistere. La spasmodica ricerca di libertà e leggerezza (il sogno che l'ha accompagnata fin da piccina, come ci ricorda nella Prefazione la figlia, Zsuzsa Hermann) è l'esito non scontato di una vita vissuta fra le pieghe della storia: il male radicale sperimentato durante gli anni del nazismo quando lei, ebrea quindicenne, venne confinata con la madre nel ghetto di Budapest (il padre venne ammazzato in una camera a gas ad Auschwitz); gli studi filosofici all'Università di Budapest sotto la guida di György Lukács, di cui era divenuta l'assistente; la persecuzione nell'Ungheria sotto l'influenza sovietica, che non poteva capire il suo discorso sui bisogni radicali dell'uomo; la fuga in Australia prima e poi a New York. Nel quinto anniversario dalla morte, il libro ci consegna uno sguardo inedito su Ágnes Heller, uno spirito laicamente "mistico", testimone di un'etica della bontà e della prossimità dal sapore squisitamente evangelico.
Viaggio nella Napoli di ieri e di oggi attraverso i brani di Pino Daniele che continuano a parlarci del presente. Le "carte sporche" della città amata e criticata, senza mai perdere la speranza nel cambiamento. Il racconto dei luoghi, sospesi tra colera e terremoto, in cui lo straordinario artista trova ispirazione per le prime, intramontabili canzoni di sferzante denuncia. Poi, momento per momento, lo storico concerto del 1981 con duecentomila giovani arrabbiati e sognanti, ma anche le molte delusioni patite in una metropoli rivelatasi troppo spesso matrigna, motivo per cui Pino Daniele sceglie di allontanarsi e ora le sue ceneri sono custodite a Magliano in Toscana.
Con una sincerità che sorprende, Beatrice Fazi - la Melina di Un medico in famiglia - racconta il suo incontro con Gesù e la conversione religiosa che l'ha salvata da un profondo disordine emotivo. Beatrice ci parla del suo cuore diventato di pietra, incapace di provare sentimenti, e di quel pozzo senza fondo in cui era caduta anche a seguito di un aborto praticato a vent'anni. Dopo un periodo difficile in cui nulla sembrava avere più senso, si riavvicina a Dio, e grazie alla catechesi sui Dieci Comandamenti, all'ingresso in una comunità del Cammino Neocatecumenale, a un pellegrinaggio a Medjugorje e all'incontro con Pierpaolo, poi diventato suo marito, riporta un ordine, scandito dalla preghiera, nella sua quotidianità.
Questa è la storia di un cattolico cresciuto nella piccola città di Signa, in provincia di Firenze. Figlio di un commerciante di pollame e di una contadina, primo di cinque fratelli, diventò un protagonista della vita economica, imprenditoriale e politica del distretto industriale della lana più importante d'Italia: la vicina Prato. Laureatosi in Scienze Politiche alla Facoltà "Cesare Alfieri" di Firenze, si iscrisse giovanissimo all'Azione Cattolica e alla Democrazia Cristiana. Sindacalista della CISL, diventò un manager nell'ambito dei trasporti e fu chiamato, come proposto, alla guida della Misericordia di Prato. Nominato alla presidenza della Cassa di Risparmi e Depositi di Prato dal 1971 al 1986, contribuì in modo decisivo allo sviluppo economico e alla modernizzazione delle industrie pratesi. Tutta la sua esperienza di vita e professionale ha avuto come presupposto il bene della comunità, senza mai tradire la sua ispirazione ideale, anche come banchiere, cristiana e democratica.
“...Ho fatto parte di un percorso collettivo di riscatto sociale, di crescita personale e di emancipazione. Ci sentivamo un Noi, e la politica, in particolare quella delle donne, era fatta insieme, dandoci reciprocamente forza...”
L’autrice di questa autobiografia, Eletta Bertani, è una delle pochissime donne che, tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, in un’epoca ancora fortemente influenzata dal modello femminile tradizionale, ma in cui stavano emergendo nelle donne e nei giovani nuove aspirazioni, al lavoro, all’autonomia e libertà di scelta, educata ai valori di libertà e giustizia sociale dell’antifascismo trasmessi dall’ambiente familiare e sociale, si avvicina giovanissima alla politica e viene totalmente coinvolta dalle passioni politiche dell’epoca. In questo libro racconta la sua storia, che si dipana per quasi ottanta anni, tra il secolo scorso ed i primi venti anni del 2000, in uno strettissimo intreccio tra la sua vita e il suo personale percorso e le vicende collettive della nostra città e del nostro paese: i ricordi della guerra, lei ancora piccolissima; l’infanzia e l’adolescenza vissuta nella parte più popolare e povera del quartiere di San Pietro, l’influenza di donne forti nella vita familiare, la grande passione per lo studio, i primi interessi culturali e politici maturati tra la scuola (Liceo Ludovico Ariosto), il clima civile e culturale aperto e vivo della città e l’appassionato ambiente della Federazione Giovanile Comunista reggiana, sino alla decisione di fare della “politica” una scelta di vita. È un allargamento degli orizzonti: esperienze appassionanti, esaltanti conquiste, brucianti sconfitte e delusioni, ma anche il pesante prezzo pagato nella vita personale, per il maschilismo dominante nei partiti e per la fatica di conciliare un lavoro impegnativo con gli affetti, i doveri e le necessità della vita familiare e quotidiana. Anche per questa contraddizione vissuta come donna e come persona, sin dalla giovinezza, e ancora di più nella maturità, condivide e intreccia il suo percorso personale con quello delle associazioni e dei movimenti delle donne nella loro ricerca di autonomia, di un proprio pensiero, di propri obiettivi.
Dalla esperienza concreta e da questo sguardo particolare sulla realtà conseguono i temi del suo impegno, vissuto sempre, nei diversi ruoli politici e istituzionali insieme a tante donne e persone, in una interazione e arricchimento reciproci: il superamento di insopportabili arretratezze e iniquità presenti nella mentalità, nel costume, nella vita sociale e nella legislazione, la conquista di nuovi diritti sociali e civili delle donne e in genere dei cittadini, il superamento di discriminazioni, ingiustizie, disparità che impediscono il dispiegamento delle risorse e delle potenzialità di ogni persona: già dagli anni sessanta e settanta e nei decenni successivi, l’impegno nelle battaglie per i diritti civili come il divorzio, per il riconoscimento del valore sociale della maternità, per la conquista della prima storica Legge di parità tra uomini e donne nel lavoro; l’impegno, condiviso con tante donne e in forti movimenti, per fare nascere e crescere le scuole dell’infanzia comunali, la loro qualità educativa, per affermare il diritto dei bambini e degli adolescenti alla propria soggettività e ad esprimere la propria creatività e per dare vita a Reggio Children, (di cui è stata la prima Presidente); negli anni novanta, durante la esperienza dell’Ulivo, il lavoro per adeguare le politiche sociali ad un contesto sociale e culturale profondamente mutato, le prime esperienze di collaborazione pubblico-privato nel campo dei servizi educativi, i nuovi servizi ed opportunità per gli adolescenti, per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La narrazione del percorso personale, sempre collocata nei diversi contesti sociali e politici, si associa a riflessioni, a interrogativi sul presente, alla forte preoccupazione sulla crisi delle nostre società, dei partiti e delle istituzioni democratiche nel tempo in cui viviamo. Da qui la necessità di recuperare e rilanciare oggi, in un tempo radicalmente nuovo, valori eterni e universali: la responsabilità anche individuale verso la propria comunità, la solidarietà tra gli umani e un nuovo civismo, la memoria storica e il ruolo imprescindibile delle istituzioni e della politica. Nei tempi bui che stiamo vivendo, difronte alla devastazione sociale, ambientale, etica e culturale prodotta da un capitalismo di rapina e a maggior ragione nell’epoca delle pandemie, emerge nel racconto, la necessità e l’urgenza di cercare la rotta per una vera radicale ricostruzione su basi nuove del nostro modo di vivere, di convivere e di essere comunità dove nessuno può trarsi fuori da questa ricerca.
Eletta Bertani è nata a Reggio Emilia dove tuttora vive. Formata dalla famiglia e dall’ambiente sociale ai valori dell’antifascismo e della giustizia sociale, già dalle scuole superiori si appassiona alla politica. I tragici fatti del 7 luglio 1960 sono determinanti per le sue scelte di vita. Giovanissima inizia a lavorare alla Fgci, poi dopo un breve periodo all’Udi, alla Federazione reggiana del Pci come Responsabile della Commissione Femminile e successivamente al Dipartimento Scuola e Cultura. È stata Consigliere comunale, Deputata per due legislature (1976-1983), Assessore alla Scuola del Comune di Reggio (1985-1990), dal 1994 al 2000 prima Presidente di Reggio Children. Ha partecipato alla nascita dell’Ulivo e del Pd. Attiva nell’Anpi, continua tuttora ad essere impegnata nella vita civile e politica.
“...Appartengo alla generazione che ha iniziato a fare politica nel Pci tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, quando già iniziavano a crollare miti e certezze...”
“...Le vie perché libertà e democrazia, giustizia, eguaglianza, solidarietà, dignità umana, diritti non restino parole vuote e sogni irrealizzabili, saranno diverse dal passato e forse ancora sconosciute, ma non può essere spenta nel cuore e nella ragione delle donne e degli uomini la voce della coscienza, nè sradicata la ricerca e l’aspirazione ad un mondo migliore e alla propria dignità. Noi questa ricerca l’abbiamo tentata. Noi ci abbiamo provato e, insieme a tante e a tanti, continuiamo a provarci...”
Costantino è il primo imperatore cristiano. È il sovrano che si è convertito prima della battaglia di Ponte Milvio, dopo aver visto in cielo la croce con la scritta In hoc signo vinces, e che ha messo fine alle persecuzioni, concedendo libertà di culto ai cristiani. Ma cosa sappiamo realmente di lui? In passato la storiografia diffidava di Costantino, giudicandolo un cinico politicante guidato da calcoli elettorali. Ma dall'ultimo dopoguerra fra gli storici si è diffuso un clima di ammirazione e di ossequio verso il protagonista di quella che molti ritengono la più grande svolta storica mai avvenuta. In questo libro fortemente polemico, Alessandro Barbero ci dice che è impossibile ricostruire con certezza il personaggio di Costantino e che la storiografia recente dà prova di un'inquietante mancanza di spirito critico, sia nei toni celebrativi con cui presenta la figura dell'imperatore, sia nell'ingenuità con cui accetta come autentiche, fonti che meriterebbero un approccio ben più scettico e che, in realtà, se prese alla lettera - lungi dal giovare alla sua immagine - dipingerebbero il profilo poco edificante di un tiranno disturbato.
"In quanti modi diversi si potrebbe raccontare la vera vita di Aldo Moro? Osserviamolo, per esempio, in un'immagine del 1941. È un giovane elegante, sorridente, che attende a piazza San Pietro di essere chiamato per un'udienza privata con il papa. Ma come è riuscito quel giovane - se scorriamo rapidamente un'immaginaria linea del tempo - a conquistare il potere in Italia e a mantenerlo poi per lunghissimo tempo? E perché poi, alla fine, è stato rapito e ferocemente ucciso? Ci sono domande essenziali che animeranno dall'interno ogni racconto della vita di Moro, quali che siano le forme o le scansioni temporali prescelte. Molti si sono concentrati sulla fine, sulla morte terribile, in grado di svelare - come il montaggio cinematografico per i film - il senso dell'intera sua vicenda. È una strada promettente, a patto di non credere troppo alla favola che Moro è stato ucciso perché stava preparando il compromesso storico con i comunisti." (Dalla Premessa)
Il più fastoso, il più potente dei re di Roma, colui che fece costruire i suoi monumenti più grandiosi e che impose ai Latini il suo potere, sarà considerato dai Romani un tiranno sanguinario. Il ricordo della sua dominazione basterà da solo a scongiurare per sempre il ritorno della monarchia. Ma il Superbo fu davvero un tiranno così megalomane e crudele? O tale giudizio esprime il punto di vista dei vincitori, che volevano vendicarsi del nemico etrusco e rovinarne la reputazione, dopo averne distrutto il potere e persino l'identità culturale? E ancora, i sette re, di cui tre etruschi, regnarono veramente su Roma come sostengono in coro gli storici greci e romani? Ripercorrendo le varie tappe di una leggenda, quella del re di Roma maledetto e superbo, l'autore cerca di scoprire le caratteristiche di un regno magnifico e crudele, quale fu la monarchia etrusca di Roma, indagando le cause della sua potenza.
Il sogno dell'ultima regina d'Oriente era di veder rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, più esteso di quello di Cleopatra, ma la sua aspirazione si infranse per un errore di valutazione politica: aver considerato l'impero di Roma prossimo alla disgregazione. L'ultimo atto delle campagne orientali di Aureliano si svolse proprio sotto le mura di Palmira, l'esito fu la sconfitta della regina Zenobia e la sua deportazione a Roma, dove l'imperatore la costrinse a sfilare come simbolo del suo trionfo. Le rovine monumentali di Palmira - oggi oggetto di disumana offesa - ci parlano della grandezza del regno di Zenobia e della sua resistenza eroica. Ancora attuale è la tragedia di questa città: rimasta intatta nei secoli, protetta dalle sabbie del deserto, è crollata sotto la furia della barbarie islamista.
Ultor patriaeque domusque, «vendicatore e della patria e della famiglia»: così il poeta Silio Italico definisce Publio Cornelio Scipione, testimone della peggiore disfatta della storia militare romana, che raccolse l'eredità del padre ucciso in battaglia e dedicò la vita a rovesciare le sorti della «guerra annibalica», la seconda guerra punica, titanico scontro di potenze per il predominio sul Mediterraneo antico. Scipione riuscì a ottenere il comando militare in Spagna pur essendo ancora giovane e inesperto; diede prova di eccezionali qualità militari, concludendo in quattro anni una campagna difficile; riuscì poi a imporre la propria strategia, portando la guerra in Africa e costringendo il governo di Cartagine a richiamare in patria Annibale. La patria non gli dimostrò la riconoscenza che meritava. Cosa che rende ancora più interessante il suo personaggio: perché Scipione visse sul confine tra due mondi, anticipando con la sua ambizione e il suo carattere sia la crisi del vecchio sia molti aspetti peculiari del nuovo. Da un lato, infatti, resisteva ancora la res publica arcaica, dove ogni deviazione dal rigido costume degli antichi era considerata con sospetto; dall'altro si apriva l'orizzonte del dominio imperiale sul Mediterraneo, ingentilito dalla cultura ellenistica, raffinato e cosmopolita, ricolmo di ricchezze materiali e spirituali come il forziere di un tesoro. Da comandante militare fu capace di offrire alla patria la possibilità di conquistare quell'orizzonte; da politico troppo moderno per i suoi tempi venne sconfitto e costretto a ritirarsi dalla vita pubblica senza raccogliere i frutti della vittoria.