
"Si imprigiona chi ruba, si imprigiona chi violenta, si imprigiona anche chi uccide. Da dove viene questa strana pratica, e la singolare pretesa di rinchiudere per correggere, avanzata dai codici moderni? Forse una vecchia eredità delle segrete medievali? Una nuova tecnologia, piuttosto: la messa a punto tra il XVI e il XIX secolo, di tutto un insieme di procedure per incasellare, controllare, misurare, addestrare gli individui, per renderli docili e utili nello stesso tempo. Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni. Un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze si era sviluppato nel corso dei secoli classici: la disciplina."
"La figura di Benjamin è di quelle che si prestano più difficilmente alla definizione e collocazione critica. Saggista e critico letterario, il significato e l'intenzione dell'opera trascendono tuttavia i limiti della critica, o della storia letteraria nella accezione corrente. La sua originalità di pensatore fu piuttosto tutt'uno con la sua attività d'interprete e di critico, e si costituisce fondamentalmente solo in essa... La presente raccolta comprende proprio quelle che si possono considerare le eccezioni dell'opera di Benjamin: come il saggio su diritto e violenza, quello sulla traduzione, o il manoscritto inedito sulla lingua." (Dall'introduzione di Renato Solmi).
La nostra epoca ha profondamente bisogno di una rinnovata filosofia dei valori. Non di una retorica sui valori, che associa la nozione di valore a quelle di tradizione, passato, memoria, religione o ideologia. C'è bisogno di pensiero vivo che faccia luce su un dato essenziale della nostra esperienza: i valori, come li incontriamo, attraverso la gamma della nostra vita emotiva e affettiva nei beni e nei mali di cui son fatte le nostre giornate, con le nostre decisioni, i comportamenti privati e pubblici. La filosofia, nata con Socrate per tradurre questa esperienza viva in conosenza vera, ha dato le dimissioni da questo suo compito. Eppure la sua anima migliore si era trasferita nel corpo di documenti e istituzioni che hanno cambiato la storia del mondo: dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo fino al sogno ragionevole di un'Europa unita in pace, libertà e giustizia. Ma dove lo spirito le abbandona, le istituzioni umane vanno in rovina. Questo libro interroga tutti noi, educatori e ricercatori, sulle cause di questo male dilagante. E conduce i llettore sulle tracce di una nuova cognizione del valore.
Byung-Chul Han, tra i pensatori più importanti e più letti dei nostri tempi, affronta con stile nitido e conciso una delle fratture al cuore della società di oggi: la paura del dolore. Il mondo contemporaneo è terrorizzato dalla sofferenza. La paura del dolore è così pervasiva e diffusa da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverlo affrontare. Il rischio, secondo Han, è chiuderci in una rassicurante finta sicurezza che si trasforma in una gabbia, perché è solo attraverso il dolore che ci si apre al mondo. E l'attuale pandemia, argomenta il filosofo tedesco-coreano, con la cautela di cui ha ammantato le nostre vite, è sintomo di una condizione che la precede: il rifiuto collettivo della nostra fragilità. Una rimozione che dobbiamo imparare a superare. Attingendo ai grandi del pensiero del Novecento, Han ci costringe, con questo saggio cristallino e tagliente come una scheggia di vetro, a mettere in discussione le nostre certezze. E nel farlo ci consegna nuovi e più efficaci strumenti per leggere la realtà e la società che ci circondano.
Senza perdere la fede in una società migliore, in un'utopia ragionevole di un mondo più giusto, e senza dimenticare che bisogna prendere sul serio il mondo come è, le dieci lezioni qui raccolte accettano la sfida che il processo dilagante della globalizzazione lancia anche nell'ambito apparentemente astratto della filosofia politica, imponendole un ripensamento dei propri criteri di base e delle proprie nozioni. Il contributo di Veca al dibattito teorico internazionale sul tema della possibilità di una teoria della giustizia senza frontiere pone anche questioni che riguardano le sorti dell'agire politico, in particolare le sorti della tradizione di sinistra di cui si riconosce erede.
Questo testo, la cui stesura risale a un periodo compreso tra l'ottobre e il novembre 2001 (Pierre Bourdieu è morto il 23 gennaio 2002) ma su cui lavorava da parecchi anni, è stato concepito durante le lezioni al Collège de France. Bourdieu aveva deciso di tenere il suo ultimo corso sottomettendosi in prima persona, quasi un'ultima sfida, all'esercizio della riflessività, che in tutta la sua vita aveva eretto a uno dei preliminari indispensabili della ricerca scientifica. Bourdieu non costruisce però un'autobiografia, genere che aborriva giudicandolo falso, ma un vero e proprio studio delle costellazioni di gusto, delle pratiche culturali e delle strategie professionali che ne avevano formato la traiettoria sociale.
Il libro è il ritratto della crisi religiosa e filosofica verificatasi agli albori del mondo moderno, ai tempi di Newton, Cartesio, Rembrandt e, soprattutto, di Leibniz e Spinoza, il logico e matematico inventore del Calcolo. Al centro del racconto è Dio. Lo scenario è quello di un'Europa appena uscita dalla guerra dei Trent'anni, segnata dalle difficoltà di un'altissima conflittualità religiosa, scossa da rivolgimenti politici altrettanto profondi. Le due "idee" del divino che Leibniz e Spinoza elaborano sono tutt'altro che estranee a questo sfondo, rispetto al quale emergono come conseguenze e contromisure. L'autore contribuisce a fare di questa ricostruzione del passato un'immagine ben viva per l'attuale panorama politico, diviso tra rinascite di vario segno, dai neoilluminismi ai neotradizionalismi cristianeggianti.
Il primo di tre volumi, che raccolgono interviste, colloqui, interventi in cui Foucault commenta la propria opera, apporta correzioni o modifiche al proprio discorso, si esprime sul pensiero altrui. Apparso in Francia circa un decennio dopo la sua morte, raccoglie testi brevi, di una chiarezza folgorante; nell'insieme disegnano una nitida cartografia del pensiero di Foucault, un'agevole via di accesso per i lettori nuovi e un'integrazione necessaria per i lettori di sempre. "Archivio Foucault" ne propone una vasta scelta: è la straordinaria occasione per visitare un laboratorio filosofico in fermento, consapevole di inaugurare una nuova forma di conoscenza. Questo volume attraversa gli anni sessanta, fra strutturalismo, letteratura come "esperienza della trasgressione" e centralità della politica. Emerge chiaramente una pratica della resistenza attraverso l'uso della parola: di fronte a un dispositivo di potere che contrappone ragione e follia, normale e patologico, viene evocata una parola in grado di sfuggire ai codici e alle istituzioni.
Tra il 1971 e il 1977 Michel Foucault elabora alcune delle sue ricerche più note sui saperi e i poteri dell'età moderna. L'archeologo della scienza e della letteratura diviene il "paziente archivista" delle pratiche politiche e disciplinari che si prolungano fino alle soglie del nostro tempo. Foucault indaga le diverse forme del potere moderno nella sua attitudine a controllare, definire e fornire un'identità agli individui. Questo volume raccoglie saggi come "La vita degli uomini infami", la conferenza "La verità e le forme giuridiche", interviste e tavole rotonde in cui il metodo filosofico e storico viene sottoposto al banco di prova delle questioni di ogni giorno. Ecco allora un Foucault spesso inedito, che non disdegna di esprimersi sui suoi rapporti con il marxismo e la psicoanalisi, sul senso delle istituzioni educative e universitarie, sulla medicina contemporanea e soprattutto sulle lotte dei dannati della Terra. Un filosofo, come è documentato nella "Cronologia" e in alcuni testi in appendice, che non si sottraeva all'attività militante e ai manganelli quando si trattava di "dire la verità del potere".
Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni. Aveva commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il "New Yorker", sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann incarna appare nella Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.
«Torniamo a pensare!
Domande e risposte, per smettere di essere passivi.
Il sonno della ragione, oltre a generare mostri, produce il suicidio, morale e culturale, mentre ci si illude di essere vivi.
Poiché la finzione è uno dei mali maggiori del nostro tempo, Per ragionare si propone come un antidoto.
Vademecum per resistere e andare avanti.
Sapendo che solo la vista dell'orizzonte mostra la dimensione reale di ogni cosa.
E di ogni speranza.»
Viviamo assordati da contrapposizioni politiche di facciata, urlate quanto vuote: impigliati in una melassa di pettegolezzi, personalismi, scandali di ogni genere, false paure. Tutto questo ci fa rimuovere i nostri veri interessi, le sfide del presente e la costruzione di un futuro migliore. Mentre le decisioni vengono prese da altri, senza che ne siamo consapevoli.
Con semplicità ed efficacia, Mario Capanna ci dice che dobbiamo tornare a essere protagonisti delle nostre esistenze, e non solo consumatori passivi di merci, di notizie, di intrattenimenti. Che dobbiamo interrogarci sul mondo che ci circonda, sulle sue storture, le sue ingiustizie, le sue assurdità – a volte ridicole, a volte crudeli.
Possiamo e dobbiamo individuare gli imbecilli, i prepotenti, i banditi. Dobbiamo essere soggetti attivi, sulla scena di una politica rigenerata, non fatta di leader e di partiti più o meno geneticamente modificati, ma di persone e collettività, di cibo e ambiente, di affetti, di lavoro. Di prospettive.
Su tutto questo, scrive Mario Capanna, dobbiamo ricominciare a ragionare. Per camminare eretti.

