
E' questo non solo l'ultimo libro di Hannah Arendt ma anche il coronamento finale della sua "vita activa". Rimasto incompiuto, si sarebbe dovuto comporre di tre parti: restano le prime due e un abbozzo della terza. La prima, dedicata al Pensare, si domanda dove si trovi l'io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo, concludendo che esso si pone tra passato e futuro, tra la memoria del non più e l'attesa del non ancora. Qui, nel presente del pensare, l'angelo della storia ferma talvolta il suo volo e ci fa essere liberi. Ed è proprio alla libertà che è dedicata la seconda parte, quella che studia una nozione sconosciuta ai greci antichi: il Volere. Solo il cristianesimo si pose infatti il problema di come conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio. E dal cristianesimo tale questione arriva sino all'epoca moderna, allorché la volontà si scontra con la legge di causalità, o quando ci si sforza di farla convivere con le leggi della storia. In appendice gli appunti della terza parte, dedicata al Giudicare.
Nella filosofia occidentale la coppia di concetti potenza/atto ha una storia millenaria che comincia con Aristotele e arriva, con Heidegger, sin dentro il Novecento e oltre. La tradizione intende la potenza, rispetto all'atto, come luogo della possibilità, della facoltà e della capacità, oltre che come ciò che precede la realizzazione compiuta. Esiste però anche un'altra linea di pensiero che, soprattutto in età moderna, concepisce la relazione potenza/atto in senso deterministico, come qualcosa di simile alla coppia causa/effetto. Il volume ripercorre la lunga contrapposizione filosofica tra i due modelli sottolineando le implicazioni antropologiche, morali e politiche del binomio potenza/atto, così come emergono nelle categorie di possibilità e necessità, contingenza e mutamento, immaginazione e utopia.
Quattro compagni di treno occasionali parlano di stregoneria e scienza, della verità, della differenza tra credere, sapere ed essere certi di qualcosa, dei valori morali e del loro ruolo nelle nostre decisioni, e di molte altre cose. Soprattutto - è questo il filo dell'intero dialogo - parlano del relativismo, di cui uno di loro, Zac, è un convinto difensore. Secondo Zac, in caso di dissenso ("io ho ragione, tu sbagli") è sempre questione di punti di vista: ciascuno dei contendenti può aver ragione dal proprio punto di vista. Se il relativismo uscirà malconcio dalla discussione, persino nei casi in cui sembrerebbe a prima vista del tutto plausibile, quella che emerge con forza è l'utilità della filosofia nella vita delle persone.
Dal modello classico all'estetica dell'assenza di regole: la storia dell'idea di bellezza è segnata dal progressivo disgregarsi del paradigma armonico di un perfetto ordine cosmico in cui il bello si collega al vero e al bene. Se in età moderna si fa esperienza del molteplice e dell'individuale, a fine Settecento si approda a una netta rivincita del sublime e del brutto. Ma è soprattutto il Novecento che rivendica il valore estetico della deformità e delle dissonanze come generatori di ordini sconosciuti. Malgrado il discredito che in alcune teorie colpisce oggi il concetto di bello, sorprendentemente esso continua a rinnovarsi, sottraendosi a qualunque definizione univoca e conclusiva.
Un'analisi puntuale e acuta su un concetto cardine della filosofia di Florenskij: la vita come dono ricevuto. La vita si mostra non si dimostra: da questa profonda esperienza scaturisce il pensiero di Florenskij, che permette di ravvisare nella "Sofia" la bellezza che sostiene tutto il creato. La "Sofia" si pone come tratto di unificazione tra sfera visibile e sfera invisibile, cioè creazione nella sua più autentica integralità. Ma se è vero che l'Umanità trova nella creazione la propria coscienza viva, nella stessa Umanità pulsano i battiti della "Sofia", diventando "Sofia" per eccellenza quale trasfigurazione (secondo la cosmologia antica) della sfera celeste nel mondo sublunare. Il rapporto icona-Sofia può essere preso a riferimento del pensiero di Florenskij, dove l'icona è collegata al simbolo e viene letta come trasfigurazione inclusiva del simbolo, divenendo il luogo di una "metafisica concreta" che mutua elementi di realismo. L'essenza della Sofia consiste in un'intersposizione tra Dio e la creazione, facendo in modo che l'amore divino si dilati e si trasmetta attraverso lo spazio-tempo. In questo illuminante piccolo saggio Zaccarelli, da una prospettiva laica e come studioso del pensiero cristiano-orientale, mostra come Florenskij ci indichi la strada per uscire da ogni travaglio manicheo che si fermi al conflitto tra il bene e il male, per cogliere l'esperienza del dono come possibile pienezza di vita. Introduzione di Silvano Tagliagambe.
La favola delle api di Mandeville è il punto di partenza del percorso del libro, un percorso che affronta i problemi posti dalla rivoluzione industriale, dal capitalismo moderno e dalla economia del mercato globalizzato. L'indagine va alle radici della formazione dell'individuo sociale, disegnandone la genealogia attraverso le strutture del sacrificio, del dono e dello scambio, in base alla relazione tra denaro, sapere e scrittura e alla conseguente, fatale, mercificazione dei rapporti umani. Il senso del "viver bene" (il buen vivir degli Indios) pone altresì una domanda urgente su possibili economie e politiche alternative o correttive rispetto all'oggi prevalente via del neoliberismo capitalistico: una correzione di rotta che si proponga la salvaguardia della biodiversità e delle differenti tradizioni culturali del pianeta, e soprattutto e in generale l'affermazione dei diritti della vita "della nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa".
Costruito attorno al rapporto che per più di trent'anni ha visto coinvolti, tra obiezioni e critiche talvolta severe ma soprattutto attraverso una sorprendente solidarietà, Derrida e Lévinas, il presente lavoro si concentra sul soggetto umano della cui esperienza si propone di evidenziare i tratti essenziali. Evitando da una parte il tono apocalittico di molto anti-umanesimo contemporaneo che spesso si è compiaciuto di celebrare l'era delle fini (morte di Dio, fine della verità, della storia, del soggetto ecc.), ma d'altra parte prendendo anche le distanze da quella facile retorica umanistica che spesso si è accontentata di ripetere le parole d'ordine dell'Anima, dello Spirito, della Persona, il testo di Petrosino arriva a delineare un'originale antropologia filosofica all'interno della quale la scena umana emerge come quella di un dramma irriducibile tra la pulsione a distruggere e la chiamata ad accogliere.
La verità, dice Tommaso d'Aquino, è adeguazione dell'intelletto alla cosa. Della classica concezione vengono messi in luce significato problematico e fondamento, che si trova nei libri di Aristotele e Platone. Un tentativo di precisarne il senso è dato frequentando la zona marginale del platonismo - nel quale la filosofia risulta essenzialmente consistere - sul fronte della fine e su quello apparentemente opposto dell'origine, che si richiamano reciprocamente.
Questa antologia rende disponibili in lingua italiana alcuni testi fondamentali del filosofo pragmatista americano intorno a mente, mondo e scrittura. Susanna Marietti, che collabora alle ricerche della cattedra di filosofia teoretica della Università Statale di Milano, con la sua introduzione e la sua scelta conduce i lettori al centro del pragmatismo di Peirce, del quale i celebri grafi esistenziali costituiscono il tratto più originale.
L'enciclopedia è il circolo dei saperi, qui indagato nelle sue figure paradigmatiche. Le sei scienze che fanno da guida al percorso (dalla metafisica alla psicologia, all'etologia, dall'antropologia alla cosmologia, alla pedagogia) sono a loro volta emblematiche; esse compendiano un esercizio genealogico di rifondazione dei saperi, ricondotti alle loro pratiche originative. Questo ideale ritorno a casa delle scienze libera il sapere dalle superstizioni recenti e antiche e lo riconsegna a una nuova, necessaria, impellente consapevolezza filosofica.
«Tutti facciamo esperienza del "due". Più banalmente, come polarità (tutte le volte che ci capita di dire: per un verso/per l'altro; oppure quando, col linguaggio un po' frusto della psicanalisi, facciamo riferimento alle nostre "parti : quella maschile e quella femminile, quella buona e quella cattiva...); più tristemente, nella forma del sotterfugio, della doppiezza, della vigliaccheria; più radicalmente, nella forma della disperazione (che in tedesco si dice "Ver-ZWEI-flung", e contiene un due non risolto), della doppia verità, di due istanze che si divorano a vicenda; più felicemente, nella forma della redenzione, che amando questo salva quell'altro, che s'intende di unioni ipostatiche, che non deve scegliere tra il centuplo quaggiù e l'eternità. Il "due", così identificativo dell'identità europea, è, anche, lo stigma del nostro tempo. Questo libro, nei suoi sogni più irrealistici, ma non per questo irresponsabili, vorrebbe portarlo a compimento, dunque compierlo e superarlo insieme.» (Enrico Guglielminetti)
Un'opera fondamentale per comprendere il pensiero di Bachelard e insieme il ritratto di uno dei più misteriosi poeti del XIX secolo
Lautréamont, pseudonimo di Isidore Ducasse (1846-1870), è l’autore - rimasto a lungo senza biografia - dei Chants de Maldoror, opera dirompente e visionaria che dal suo primo apparire eserciterà il suo fascino su simbolisti e surrealisti e catturerà l’attenzione di poeti, letterati, critici, soprattutto nei momenti di rottura culturale o di crisi nella concezione della lingua. Il Lautréamont di Gaston Bachelard produce una svolta nella letteratura critica: abbandona le chiavi di lettura della follia, dell’alienazione, della biografia, del formalismo e ripercorre il testo dei Chants attraverso tutta la simbologia che lo attraversa, giudicandone il bestiario, le metamorfosi animali, misurandone la distanza da Kafka, Leconte de Lisle, Eluard, Wells, cogliendone i complessi della vita animale e della cultura che organizzano il testo e dando avvio a quella teoria dell’immaginazione dinamica che troverà piena tematizzazione nelle opere successive. Lautréamont è, al tempo stesso, un’opera articolarmente significativa per comprendere il pensiero di Bachelard negli anni in cui, a partire dalla Psicoanalisi del fuoco, la produzione epistemologica viene abbandonata e, attraverso le opere della rêverie degli elementi - fuoco, acqua, aria e terra - e poi delle poetiche, affiora l’interesse verso l’asse soggettivo della conoscenza. Interpellando senza tregua la nostra lettura, Bachelard mostra come la «poesia dell’eccitazione, dell’impulso muscolare» di Lautréamont sia «un’accumulazione di istanti decisivi» che attraversa il testo delineando una strategia dell’umano che è incessante trasformazione di sé, innesto dei valori intellettuali nell’arbitrario bruciarsi delle immagini, conversione del valore naturale in un’oltranza che si proietta incessantemente al di là di se stessa. Introdotto da Francesca Bonicalzi, il testo si avvale dei contributi critici di Aldo Trione e Filippo Fimiani.

