
DESCRIZIONE: Il titolo – TeorEtica – allude fin da subito alla posta in gioco: ridefinire i rapporti tra pensiero e azione, tra teoresi ed etica. Se nelle tradizioni filosofiche per lo più queste sfere sono state separate o addirittura opposte, pensandole fino in fondo non si trova un implicarsi reciproco che impone una loro ridefinizione? Di qui la rivisitazione di luoghi classici sui princìpi primi – in Aristotele, Anselmo, Cartesio, Kant, Hegel, Heidegger – per mostrare come in essi l’impensato sia proprio il concetto di relazione: il coinvolgimento del soggetto nella teoria e nella decisione morale. Coinvolgimento che significa responsabilità del pensiero perché è sempre, più o meno consapevolmente, scelta di un’azione. La filosofia, in tal modo, è un’«etica della relazione», dove il filosofare, in quanto offerta di senso, è esso stesso un agire: «da ciò nasce il progetto di una TeorEtica: l’esposizione di un pensiero che si fa nel suo fare coinvolgente». Una filosofia che – andando oltre gli sterili dualismi di ermeneutica e razionalismo, continentali e analitici – invita il lettore a ripensare il suo abitare il mondo.
COMMENTO: Una originale costruzione dell'etica come filosofia della relazione. Un libro che tocca le principali questioni del pensiero occidentale: Aristotele, Anselmo, Kant, Hegel... come teorie "coinvolgenti". Un libro appassionante.
ADRIANO FABRIS insegna Filosofia morale e Filosofia della religione all’Università di Pisa. È direttore della rivista «Teoria». Fra le sue ultime pubblicazioni: Etica della comunicazione (Carocci, 2006); Senso e indifferenza (Ets, 2007); Filosofia del peccato originale (Alboversorio, 2009). Presso la Morcelliana: I paradossi dell’amore (20022); Paradossi del senso. Questioni di filosofia (2002); Teologia e filosofia (2004); e ha curato di Jean Paul, Scritti sul nichilismo (1997).
Partendo dall'idea di storicismo, religiosamente laico, critico e problematico, come tentativo di individuare una nuova razionalità, che, senza etica ripugnanza per il tema della "relatività", sia capace di intendere lo spazio autonomo del molteplice come "connessione" e "relazione", processo di universalizzazione dell'individualità, la "religione dello storicismo" si afferma in queste pagine come un originale paradigma della filosofia della religione. Una concezione inquieta e inquietante, rigorosamente anti-fondamentalistica perché affidata alla responsabilità dei soggetti, alla forza etica del loro irresistibile tendere oltre, sempre dinanzi al rischio della spietatezza della storia da essi stessi costruita. "Evacuata est crux Christi". Il libro, dopo un preliminare tentativo di chiarificazione teoretica del problema, delinea i tratti di una possibile storia di questa categoria, a partire da una serie di "sondaggi" storiografici su figure, grandi e minori, sempre autenticamente significative, dell'Otto-Novecento europeo.
Nella sua lunga vita (1903-1993) Hans Jonas ha attraversato tre tappe fondamentali: nella prima si è occupato del passato (la gnosi tardo-antica), nella seconda del presente (gli sviluppi delle scienze naturali e, in particolare, della biologia), nella terza del futuro (un’etica della responsabilità per la civiltà tecnologica). Solo per quest’ultima si è reso noto ai più.
Ma in tutte queste tre tappe egli ha lasciato un segno profondo. Ripercorrendone i momenti salienti, questo saggio intende offrire un profilo di Jonas che insista sui nodi decisivi della sua riflessione filosofica. Ne cerca i tratti caratterizzanti, mettendo a disposizione alcuni materiali jonasiani difficilmente reperibili. Completa il volume un’ampia bibliografia curata da Sahayadas Fernando.
COMMENTO: Una chiara introduzione al pensiero di Hans Jonas (1903-1993), tra i maggiori filosofi del Novecento (gli studi sullo gnosticismo, la filosofia della natura, l'etica della responsabilità). È tra i padri dell'etica contemporanea. Il volume contiene un'intervista a Jonas e lettere inedite tra Hans Jonas e Ernst Bloch.
PAOLO BECCHI insegna Filosofia pratica e Bioetica nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova. Presso Morcelliana ha pubblicato Morte cerebrale e trapianto di organi (2008); Il principio dignità umana (2009) e curato, di Jonas, Morire dopo Harvard (2009).
Questo corso di Istituzioni di Filosofia, pubblicato in forma di dispensa nel 1968, rappresenta uno degli ultimi momenti dell'insegnamento di Emanuele Severino all'Università Cattolica di Milano, dalla quale si allontanerà nel 1970 per passare all'Università di Venezia. È un ciclo di lezioni contemporaneo alla stesura dei saggi Il sentiero del Giorno (1967), La terra e l'essenza dell'uomo (1968), Risposta ai critici (1968), in cui Severino approfondisce la svolta iniziata con Ritornare a Parmenide, e che culminerà con la raccolta di questi e altri saggi nel libro Essenza del nichilismo (Paideia, 1972). Ripensando a queste lezioni, Salvatore Natoli, allora assistente di Severino, ha scritto: "Severino [...] mi ha costretto a dare consistenza alle mie argomentazioni filosofiche, a fornire giustificazioni adeguate alle mie tesi e direi che mi ha definitivamente vaccinato dai vizi delle mode filosofiche". Rigore dell'argomentazione e attenzione al variare del significato delle categorie e dei problemi costitutivi della filosofia (identità, contraddizione, dialettica, verità, realismo, idealismo...): questo in sintesi il contenuto del libro.
Indagare le forme della dimensione religiosa nel Novecento è un’impresa che non si riduce al solo interrogativo: che cos’è religione? A questo perlopiù si risponde rinviando a due modelli: religione come esperienza (Rudolf Otto) o religione come rivelazione (Karl Barth). Dovremmo però chiederci – ed è quanto si tenta in questo volume – sotto quali altre domande si ritrova il problema religioso, in senso lato come rapporto fra l’uomo e ciò che lo trascende. Questo rapporto si frammenta al di fuori della teologia, e persino nei modi in cui la filosofia più atea pensa l’uomo nel mondo si delinea un rinnovato senso del religioso. Vi sono state forme apocalittiche di pensiero come fuga dal presente – da Nietzsche in poi – che sono nomi diversi della stessa escatologia ebraico-cristiana, pur rovesciata e non religiosamente connotata. Comprendere la religione allora – accogliendo e sviluppando l’eredità del maestro Italo Mancini – significa qui non solo prendere sul serio l’appello dell’alterità, ma riflettere sulla storia e sulle sue negazioni. Così il libro si pone due obiettivi: da una parte ripercorrere i principali temi della teologia e filosofia della religione del Novecento, dall’altra decriptare la sfida della religione nei nostri tempi. Di qui la “trascendenza fra i tempi”: come a dire che nel tempo in cui sfumano i contorni della verità e il senso dell’agire, si avverte il richiamo all’evento della salvezza. Una salvezza che, con o senza Dio, chiede un impegno nel vivere la storia, il mondo, la Chiesa, la politica: è il principio responsabilità, che ha avuto grandi interpreti nella filosofia con Jonas e Ricoeur e nella teologia con Bonhoeffer, e che è un invito a mettere in gioco sin da ora il nostro futuro. Dove la stessa politica, simbolo della laicità del mondo, pare aprirsi al linguaggio della mistica, mutuandone le parole chiave, come annunciato da Maritain, Weil, Metz: la speranza di cambiare il mondo si affida a una prassi i cui momenti sono la resistenza ad esso e lo svuotamento di sé, capace di scorgere nell’altro, come in una risurrezione, il dischiudersi del nuovo.
COMMENTO: Come le teologie e le filosofie del '900 da Barth a Gadamer, da Berger a Mancini, hanno interpretato il fenomeno della religione nell'età della secolarizzazione.
PIERGIORGIO GRASSI già professore ordinario di Filosofia della religione nella Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Urbino, dal 1993 è direttore dell’Istituto di Scienze Religiose “Italo Mancini”. Fra le sue pubblicazioni: Teologia e filosofia. Un itinerario nel Novecento (QuattroVenti, 1992); Figure della religione nella modernità (QuattroVenti, 2001). Dirige la rivista «Hermeneutica» (Morcelliana) e la rivista «Dialoghi».
"L'originalità (cioè la produzione non imitata) della immaginazione, quando sbocca in concetti, si dice genio […] inventare qualcosa è del tutto diverso da scoprire. Infatti la cosa che si scopre, si ammette già preesistente, solo che non era conosciuta. Ora il talento di inventare si chiama genio". Immanuel Kant
Nella nozione di genio - come ingegno o talento - si intrecciano l'universale e il particolare dell'esperienza umana. Muovendo da una riflessione filologica, Giampiero Moretti delinea l'andamento dall'antichità al secolo scorso, rilevandone le oscillazioni: genio è una facoltà ce ogni uomo possiede in quanto uomo o rinvia oltre; è comune a tutti gli uomini o è unica nel singolo? Se sempre più le funzioni della mente con cui si percepisce il mondo si traducono da sensi in senso e creatività, allora il genio ha per oggetto la verità o se ne sgancia? Un motivo di fondo che attraversa la storia dell'estetica e raggiunge la sua massima tematizzazione nel '700 e '800 come categoria estetica - si pensi a Kant, ove esso destina l'arte alla sua piena autonomia.
Ma l'originalità di questo volume sta nell'attraversare i principali paradigmi estetici e al contempo trascenderli in una stabilità del concetto che ne mostra la portata teoretica. In quanto forma con cui l'uomo si accosta alla realtà, il concetto di genio investe la stessa teoria della conoscenza. Un concetto intrinseco ai nodi diffondo della storia del pensiero: il problema della soggettività e oggettività, la verità, la rappresentazione, l'immaginazione. Questioni perenni della filosofia, sulle quali l'estetica ha un suo particolare sguardo.
Da questa antologia emerge l'originalità di una riflessione che verte sull'oggettività dei valori disvelandone al contempo l'intrinseca contraddittorietà. se i valori, infatti, sono indipendenti dal soggetto, è quest'ultimo che, nell'esercizio del suo assentire o dissentire, li rende validi. Una "relatività" del soggetto rispetto ai valori che non è "relativismo", perché essi sono plurali ma non indifferenti…
Nella BAbele dei valori Hartmann è oggi una voce fuori campo la cui classicità è proprio nella tensione all'universale che dovrebbe essere in ogni seria indagine filosofica.
DESCRIZIONE: Queste pagine inedite di Maurice Blondel dedicate alla mistica donano freschezza alla sua stessa “filosofia dell’azione”: un pensiero che va a definirsi in un duplice gesto, per un verso attingendo alla pratica e per l’altro illuminandola, perché investe la vita e il destino etico-religioso dell’uomo e dà loro orientamento. Qui la filosofia sconfina nella mistica, perché «compito essenziale della filosofia non è di abbandonarci ad essa, come se avesse il monopolio di ciò che c’è in noi; ma di metterci in condizioni di fare il passo al di là». Il concetto di mistica si pone fra mistero e filosofia: con quale metodo la mistica è accessibile all’esame della ragione? Quale può essere il contributo specifico della filosofia? Che corrispondenza v’è fra lo sguardo filosofico, pur sempre umano, e l’oggetto mistico che rinvia al divino? Come si coniugano ciò che è acquisito con ragione e ciò che è invece infuso per grazia? Queste sono le domande con cui Blondel pone la mistica come luogo in cui la filosofia mette in discussione se stessa, al crocevia tra il finito e l’infinito.
COMMENTO: Un testo inedito di Blondel che introduce ai temi della mistica, come via di ricerca della verità e della trascendenza, una dimensione necessaria alla elaborazione di una filosofia cristiana. Una assoluta novità.
MAURICE BLONDEL (1861-1949) è stato uno dei maggiori filosofi del Novecento. Tra le sue opere ricordiamo: L’azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi (1893), San Paolo 1998.
DOMENICO BOSCO insegna Filosofia morale all’Università degli studi di Chieti e Filosofia della religione all’Università Cattolica di Milano. Su questo tema ha recentemente curato per Morcelliana: M. De Certeau, Sulla mistica (2010).
DESCRIZIONE: Se il dialogo è luogo privilegiato per decriptare l’animo umano, tanto più questo vale quando l’interlocutore è un filosofo: scoprendo se stesso, nell’intreccio di domanda e risposta, ciò che lascia apparire sono le sue vette teoretiche. Così accade nel colloquio di Gabriel Marcel con Pierre Boutang registrato nel 1970 e qui per la prima volta tradotto: un ritratto a tutto tondo del filosofo che, raccontando se stesso, la propria vita e la ricerca della verità nei suoi modi – filosofico, spirituale, musicale –, mostra come questi convergano in un unico itinerario. Del mistero – come domanda sull’essere e tensione metafisica dell’umano – la musica, fra presenza e distanza, è assoluta protagonista e, nel ritmo dialogico di queste pagine, lascia le proprie orme. Un andamento in cui la verità della musica, rivelandosi, schiude il senso della stessa riflessione filosofica di Marcel, e il nucleo vitale di quest’ultima si traduce in “certezza musicale”.
COMMENTO: L'autobiografia inedita del celebre filosofo francese in forma di intervista, dove si ripercorrono i suoi grandi temi: il mistero, l'altro, la musica, Dio.
GABRIEL MARCEL (1889-1973) è stato uno dei maggiori pensatori cristiani del Novecento. Fra le sue opere in italiano: La dignità umana e le sue radici esistenziali (Studium, 2012); Presenza e immortalità (Bompiani, 2011); Fede e realtà. Osservazioni sull’irreligione contemporanea (Studium, 2008).
"Glauben und Wissen" (1802), qui proposto in una nuova edizione italiana, è un testo giovanile di Hegel dove si tematizza l'antico dilemma filosofico del rapporto fra ragione e fede. Lo sviluppo hegeliano cerca di andare al di là tanto del dualismo illuministico che contrappone finito e infinito, quanto di quello idealistico, in particolare di Kant, Jacobi e Fichte, che in altro modo di nuovo rimandano a un assoluto inconoscibile. "Credere", così tradotto, sottolinea il curatore, è esperienza resa possibile dalla stessa ragione. E lo è perché appunto esperienza dello spirito dove la verità di cui partecipa la coscienza finita si fa oggettiva.
Scrive Hegel: "Niente vien saputo che non sia nell'esperienza". Come si concilia questa affermazione con il sistema idealistico hegeliano? Mario Dal Pra si propone qui di dare risposta a tale interrogativo esaminando le opere di Hegel e ponendole in dialogo con quelle di Hume, Kant e Marx. Anticipando, con finezza e rigore, un tema di studio sorto nella filosofia angloamericana degli ultimi anni, a opera di John McDowell, Robert Pippin, Robert Brandom, Dal Pra pone inoltre a confronto l'idealismo hegeliano con il neoempirismo novecentesco, con particolare interesse a John Niemeyer Findlay e alla sua interpretazione di Hegel, inteso come un possibile "empirista critico-metafisico". Per Dal Pra, Hegel si muove sempre tra due posizioni contrapposte: da un lato vuol mostrare la costituzione dialettica dell'esperienza, dall'altro ne dà una giustificazione metafisica totalizzante; ammette il dato di fatto e lo "uccide"'' speculativamente. Si può allora concedere alla dialettica una funzione euristica che, depurata della sua natura metafisica, conosca la relazionalità della realtà, ma Hegel sembra così, paradossalmente, ammettere la finitezza della ragione umana. Per Dal Pra Hegel potrebbe essere, suo malgrado, un "realista".