
"Dimmi che pensi degli spiriti notturni, dato che teologi e filosofi credono all'esistenza di simili creature" aveva chiesto il politico Hugo Boxel a Baruch Spinoza nella tormentata Olanda del Seicento. "Non ci credo" aveva ribattuto il filosofo "e mi fa sorridere che qualcuno teorizzi che i fantasmi sono tutti maschi perché nessuno li ha mai visti partorire. Per risolvere l'enigma non basterebbe dare un'occhiata... ai loro genitali?" In questo libro Giulio Giorello incastra, tra un brevissimo Prologo e un Epilogo un po' più articolato, cinque brillanti racconti, alcuni ambientati nelle brume del Nord e altri sotto il sole del Mediterraneo. Chi legge fa così la conoscenza di spettri, larve, anime disincarnate e messaggeri dall'Inferno, talora subdoli e perversi, talaltra burloni e ridicoli, ma sempre un po' maligni, perché la loro malizia consiste appunto nel fatto che non esistono eppure continuano a essere percepiti da noi. Sono diafane creature a un tempo libertine e libertarie, insofferenti di ogni placido buon senso e di qualsiasi "correttezza politica". Ma è così che ci inducono a persistere nel desiderare di desiderare. Dunque, i fantasmi sono sogni fatti della stoffa di cui sono intessuti i nostri desideri...
La grande filosofia del Novecento ha evocato questo destino come un inesorabile tramonto della nostra civiltà, un tramonto che, però, non ha mai conosciuto la notte, divenendo una lunga, interminabile decadenza. E tuttavia, questo Occidente in declino ha diffuso nel mondo i suoi modelli di vita, ha colonizzato senza essere colonizzatore: migliaia di persone, oggi, fuggono dalle proprie terre per venire a vivere da noi. Perché l'Occidente è visto come un paradiso: sarà anche mediocre, senza quelle tensioni utopiche e quelle energie progettuali che un tempo ha conosciuto, ma chi si guarda intorno non trova di meglio di questo pur modesto paradiso. Ha senso salvarlo dalla notte in cui può definitivamente sprofondare la sua cultura? Come proteggerlo dall'attacco dei fondamentalismi? C'è ancora una bellezza che sia testimonianza della nostra umanità? Può l'altra notte – quella d'Oriente, le «mille e una notte» dimenticate nei secoli, dove risuona l'eco dei versi del poeta, dove tutto ritorna all'origine, al mistero, simbolo d'incontro meraviglioso tra civiltà – comunicare un senso ancora valido e fondante per noi? Sono domande a cui Stefano Zecchi risponde ripercorrendo in particolare i temi che hanno segnato la cultura europea del XIX e del XX secolo e sui quali è opportuno ricominciare a interrogarsi.
Guardando ai primi due decenni del XXI secolo, inaugurati dalla tragedia dell'11 settembre, insanguinati dal terrorismo islamista, piagati da una gravissima crisi finanziaria globale e divenuti teatro negli ultimi anni di inquietanti riedizioni del nazionalpopulismo a sfondo xenofobo e neo-oscurantista, è quasi inevitabile nutrire qualche dubbio sulle «magnifiche sorti e progressive» promesse da quell'Età dei lumi e della ragione che è stata il luogo d'origine della modernità. Proprio per questo è ancor più apprezzabile lo sforzo di chi, viceversa, vuole dimostrarci che non c'è nulla di più sbagliato dell'imboccare la strada del pessimismo o della resa a ideologie regressive. Con "Illuminismo adesso", Steven Pinker ci aiuta a leggere la realtà contemporanea alla luce degli ideali di ragione, scienza, umanesimo e progresso che quel movimento filosofico ha elevato tre secoli fa a valori universali e che oggi sono minacciati da altre componenti della natura umana, come la fedeltà alla tribù, la cieca sottomissione all'autorità, il pensiero magico, la tendenza a imputare i propri insuccessi a complotti orditi da nemici malvagi. Nella sua appassionata difesa dei princìpi dell'Illuminismo e dei loro benefici effetti sul miglioramento della condizione umana, Pinker mostra - dati e numeri alla mano - i giganteschi passi avanti compiuti in ogni campo: nell'aspettativa di vita, nella tutela della salute, nella riduzione della fame e nella moltiplicazione delle fonti di sostentamento, nella crescita e nella distribuzione della ricchezza, nella riduzione delle disuguaglianze, nell'affermazione della pace e nella difesa della sicurezza, nella diffusione della democrazia, nel rispetto e nella parità dei diritti, nell'accesso alla conoscenza e nelle chance di felicità. Questo indiscutibile progresso materiale, intellettuale e morale non è il frutto del caso, ma della potenza della filosofia illuminista. Un trionfo così poco celebrato che le sue idee guida di ragione, scienza e umanesimo sono spesso trattate dagli intellettuali con indifferenza, scetticismo, talvolta con disprezzo e apertamente osteggiate. Eppure, per affrontare le formidabili sfide del nostro tempo, come il cambiamento climatico, le impetuose ondate migratorie e il terrorismo globale, non servono le geremiadi dei profeti di sventura né i cinici proclami di leader sbruffoni e ignoranti, ma la lucida razionalità di chi pensa che siano problemi che l'uomo è in grado risolvere. «Forse» conclude Pinker «non avremo mai un mondo perfetto, e sarebbe pericoloso cercarne uno. Ma non c'è limite ai miglioramenti che possiamo conseguire se continuiamo ad applicare la conoscenza all'incremento della prosperità umana.»
Il saggio aiuta a comprendere il significato dei percorsi 'rivoluzionari', che hanno attraversato la cultura musicale, mettendone in luce affinità e divergenze. Il primo interprete di questa 'rivoluzione' è di certo Debussy che inaugurò la via di rottura nei confronti del sistema tonale tradizionale; sulle sue orme si mossero poi, da un lato, Schonberg, Berg e Webern e, dall'altro, Stravinskij raggiungendo esiti differenti eppure per molti versi complementari. "Il suono incrinato", illustrato da costanti riferimenti alle contemporanee arti figurative, analizza alcune esperienze musicali del primo Novecento, per individuare una crisi che ha invaso tutta la nostra epoca.
Pubblicato nel 1956, questo testo permise una metamorfosi della filosofia analitica: ruppe la linea - fondata sulla dottrina del "sapere per conoscenza" - che univa Russell e Ayer a Locke e Hume. Per Sellars il mito del dato della tradizione dell'oggettivismo scientifico è il risultato di una confusione tra l'acquisizione e la giustificazione delle conoscenze, tra la spiegazione casuale di come veniamo a conoscere una certa cosa e la giustificazione delle credenze che ci siamo formati circa la realtà. Il "mito del dato" nasce nel momento in cui confondiamo il piano della comunicazione con quello degli eventi mentali, mentre per Sellars le intuizioni, la perspicacia e le conoscenze prelinguistiche sono apprese di fatto attraverso il linguaggio.
Un saggio che intende guidare il lettore attraverso il labirinto dell'arte contemporanea. Si tratta di arte se un artista espone un pavone vivo o il proprio letto disfatto? L'autore rivolge lo sguardo del filosofo sulle forme d'arte. Partendo dall'idea che l'arte è semplicemente forma significante, prende in considerazione alcune teorie dell'arte molto dibattute ma poco comprese: arte come espressione, il dialogo fra le varie forme artistiche o le più canoniche teorie dell'arte. Chiarendo alcuni problemi connessi con l'espressione artistica, quali l'intenzione dell'artista, la rappresentazione e l'emozione, l'autore dimostra come l'opera d'arte debba essere considerata per se stessa e secondo la relazione che stabilisce con la realtà circostante.
I due testi qui tradotti sono felicemente complementari. Il primo raccoglie una lunga serie di note che, verso la metà degli anni Trenta, Ludwig Wittgenstein stese in preparazione di un corso di lezioni a Cambridge: il secondo contiene gli appunti che Rush Rhees, suo allievo, amico e futuro esecutore letterario, prese durante una parte di quelle lezioni. Entrambi sono una vivida testimonianza del lavoro filosofico di Wittgenstein e ci fanno con grande chiarezza capire che la scrittura e l'insegnamento erano per Wittgenstein non il deposito, bensì il luogo e l'elemento vitale del suo pensiero: Wittgenstein pensava scrivendo e insegnando. Al centro di queste note e appunti vi è il tentativo di smascherare le immagini (interno/esterno; diretto/indiretto; profondità/superficie) che hanno condotto la filosofia quella che qui Wittgenstein chiama anche "metafisica" o "metapsicologia" - a relegare la nostra soggettività in un interno "superprivato", nascosto e invisibile a tutti eccetto che a noi stessi, formato di "oggetti" mentali privati che l'occhio della mente vede, indica e battezza, E questo rinchiudersi della soggettività in un interno impenetrabile che ha prodotto, di volta in volta, il problema degli altri, reso plausibile l'ipotesi di una mendacità universale, reso attraente, per alcuni, la via del solipsismo, per altri, quella del comportamentismo.
Questo libro, scritto in occasione del centenario della nascita della pensatrice tedesca, ma non certo esaurito da tale circostanza, intende proporsi come una sintetica, esaustiva e rigorosa ricostruzione della ricerca della Arendt, di cui vengono esplorati i nuclei fondamentali, e insieme come una riflessione simpatetica su quanto di tale ricerca può essere per noi ancora valido, e anzi imprescindibile, nell'affrontare i drammi e le problematiche specifiche della nostra epoca. Per l'autrice, a conferire unità al pensiero di Hannah Arendt è il suo atteggiamento fondamentale, ovvero una volontà instancabile di problematizzazione e rimessa in discussione dei punti di vista consolidati, delle certezze e delle convinzioni radicate, ivi comprese delle proprie. Una volontà che riflette una delle aspirazioni più autentiche della Arendt: restituire alla filosofia la sua vocazione più profonda, che è di essere e farsi forza politica, di agire nel mondo per "amore del mondo", sollecitandolo instancabilmente "a pensare", dato che cessare di pensare costituisce il pericolo più grande e la rinuncia più grave a ciò che è umano nell'uomo.
Con eleganza e sobrietà, ma senza tacere le complesse questioni che s'intrecciano all'elaborazione di un metodo che comporta il coinvolgimento della soggettività del pensatore nell'elaborazione della dimostrazione, Gombay fornisce una introduzione del tutto originale a Descartes, il cui pensiero viene esposto secondo i mutevoli problemi di una riflessione che, pur aspirando a una ricostruzione dell'intero sistema del sapere, costituisce sempre anche un'esperienza intellettuale e morale che interviene direttamente sull'elaborazione della prima e al contempo sull'assise di tutta un'epoca. Da questo punto di vista, pur con la parzialità dichiarata delle scelte e dei punti di vista, André Gombay ci offre un ritratto vivido e rigoroso di una filosofia nuova e di un pensatore alle prese con i problemi della philosophia perennis, ma anche con la questione delle passioni dell'anima e la possibilità di fondare un'etica sulla loro conoscenza e sul loro controllo razionale. Siamo cosí introdotti a un pensiero tutt'altro che astratto e disincarnato, e invitati ad accostarci con rinnovata curiosità alla filosofia di un pensatore decisivo di cui qui si mostra la dimensione molteplice.
Concetti fondamentali della filosofia di Rafael Ferber intende offrire agli studenti di filosofia come al pubblico piú in generale una piccola e originale scuola di pensiero filosofico.
Questo primo volume introduce il lettore, in un linguaggio accessibile ma sempre rigoroso, alle parole-chiave dell'universo filosofico quali Filosofia, Linguaggio, Conoscenza, Verità, Essere e Bene.
I contenuti, i metodi e le ambizioni della disciplina vengono presentati e discussi filosoficamente in modo da condurre il lettore in un'ideale passeggiata filosofica in compagnia dei principali esponenti delle varie epoche e attraverso le piú importanti correnti della storia del pensiero.
Il libro cerca di dire l'essenziale in modo chiaro, semplice e non gergale. Tuttavia l'autore non si è astenuto dal prendere anche una propria posizione. Soprattutto i capitoli sulla conoscenza, la verità e il bene offrono spunti che possono interessare anche i filosofi di professione
Concetti fondamentali della filosofia di Rafael Ferber intende offrire agli studenti di filosofia come al pubblico piú in generale una piccola e originale scuola di pensiero filosofico.
Questo secondo volume circoscrive e analizza le cinque parole-chiave dell'antropologia filosofica: Uomo, Coscienza, Corpo e Anima, Libero arbitrio e Morte.
Scritto in uno stile limpido e semplice, ma di livello teoretico sempre elevato, il libro si confronta con le problematiche filosofiche connesse a questi concetti fondamentali, riservando una particolare attenzione ai temi di dibattito piú caratteristici della nostra epoca e disegnando un quadro filosofico d'insieme dell'essenza dell'uomo.
Anche in questo volume, l'autore non si è astenuto dall'esprimere una propria posizione filosofica, riconducibile da un lato alla filosofia analitica, ma ancor piú profondamente legata alla tradizione della filosofia occidentale, la cui immagine dell'uomo contiene una irriducibile componente spirituale.