
Se nell'individualismo si insiste a vedere la resa al basso istinto dell'egoismo, il relativismo e il nichilismo sarebbero addirittura il cancro dell'Occidente. Le accuse, dunque, sono delle più gravi. Ma sono esse anche sostenibili e ben fondate? Individualismo si oppone ad altruismo o piuttosto al collettivismo? E non è nei gorghi della teoria e della pratica del collettivismo che vennero e vengono travolte libertà, dignità e responsabilità delle singole persone? Se, poi, con relativismo si intende la constatazione empirica di un pluralismo di concezioni etiche che sfidano la nostra libertà e la nostra responsabilità, questo relativismo è la fisiologia o la patologia dell'Occidente? Su questi interrogativi vertono le considerazioni dell'autore.
L'azione umana cosciente e responsabile - e quindi come atto distinto dal comportamento istintivo; l'individualismo ontologico quale difesa della persona umana dalle infondate pretese liberticide delle svariate forme di collettivismo; l'individualismo metodologico proposto come procedura adeguata della ricerca empirica nelle scienze sociali; le ragioni logiche, epistemologiche ed economiche della società aperta; la competizione considerata come la più alta forma di collaborazione (nella scienza, nella vita di una democrazia e in economia); l'indissolubile nesso tra economia di mercato e libertà politiche; Fiedrich A. von Hayek e la difesa dei più deboli; i "valori" del mercato; il contributo della tardo-scolastica spagnola alla genesi del capitalismo; la grande tradizione del cattolicesimo; la grande tradizione del cattolicesimo liberale (da Toqueville a Novak, attraverso Rosmini, Lord Acton, Röpke, Sturzo, Einaudi, Sirico, Tosato, ecc.); il principio della sussidiarietà orizzontale ("lo Stato - o comunque il 'Pubblico' - non faccia quello che i cittadini sanno fare da soli") quale diga contro le tentazioni onnivore dello statalismo; Sturzo: liberale e solidale questi gli argomenti di fondo affrontati nel presente lavoro.
Quale etica e quale bioetica nell'era post-metafisica e dopo la dissoluzione delle grandi ideologie politiche del '900? Quale lo spazio della razionalità filosofica e quale quello della fede cristiana? In che modo comportarsi di fronte a questioni come l'aborto e l'eutanasia? A questi e ad altri interrogativi cercano di rispondere Dario Antiseri e Gianni Vattimo, in un incontro-scontro che parte dal presupposto condiviso di una razionalità non-fondazionista, e quindi consapevole della propria fallibilità. Se per Vattimo ciò conduce ad un'etica della caritas depurata da "incrostazioni" ormai insostenibili, per Antiseri la fine delle pretese pseudorazionali dei "grandi racconti" rappresenta, ai nostri giorni, il praeambulum fidei più consistente e maggiormente persuasivo.
Ricordate il mito della caverna, l'uomo che si libera dalle catene del conformismo, oppure la metafora dell'auriga, del cavallo nero e del cavallo bianco, utilizzata per spiegare la tripartizione dell'anima; o ancora l'importanza del filosofo in una società perfetta o le prime riflessioni sull'eguaglianza tra gli uomini e sul comunismo? "Repubblica" è l'opera di Platone che più ha influenzato la politologia e il pensiero moderno, che più ha infiammato studiosi e statisti di ogni epoca. Una sorta di summa nella quale il filosofo, deluso dalla politica ateniese del tempo, si rifugia in un'analisi sullo Stato ideale e sui valori che muovono la società, sulle gerarchie che dovrebbero guidarla e sul rapporto tra le esigenze del singolo e il bene comune. "Repubblica" resta un'opera indispensabile per chiunque voglia conoscere le radici dei concetti di democrazia, oligarchia e tirannia, la genesi dello Stato come forma collettiva di organizzazione e, sfidando la natura transitoria dell'essere umano, comprendere le ragioni più profonde del suo essere. Presentazione di Luciano De Crescenzo; con un saggio di Francesco Adorno.
he spazio può esserci per la gratuità se a prevalere oggi è l’ethos dell’efficienza?nLa strada che Nancy ci invita a percorrere consiste nell’andare alla radice di ciò che si deve intendere per “riconoscimento del debito”.
In questa conferenza, tenuta il 5 febbraio 2003 presso l'Università di Heidelberg in memoria di Hans-Georg Gadamer, Jacques Derrida ricorda la "strana interruzione" che ha segnato il loro primo incontro a Parigi nel 1981. La riflessione sulla morte dell'altro, sull'interruzione ultima, pur nella sua incommensurabilità, evoca la questione della cesura del dialogo, della difficoltà della traduzione e dell'interpretazione, sviluppandosi lungo la traccia di un celebre verso di Paul Celan: "Il mondo non c'è più, io debbo portarti". La morte è la fine del mondo, il mondo dopo la fine del mondo. Ma cosa significa "portare"? Cosa significa portare l'altro e il mondo scomparsi? È solo attraverso il confronto con il pensiero di Freud, Husserl e Heidegger che Derrida riuscirà a precisare il significato di questa parola, in direzione di un'interiorizzazione del ricordo alla quale occorre la malinconia per scongiurare il pericolo dell'oblio, il rischio dell'inclusione dell'altro in se stessi.
Fulminanti e profondi, arguti e tragici gli aforismi dei più grandi pensatori di tutti i tempi, da Aristotele a Wittgenstein.
Quando non è necessario, mangiare gli animali è una scelta. Ma non ce ne rendiamo conto. Viviamo dentro una cultura carnivora talmente diffusa che non la riconosciamo: è come se fossimo immersi a tal punto nell'oceano carnista da non renderci conto di essere sott'acqua. La maggior parte di noi non si è mai chiesta perché si cibi di certi animali e di altri no. Si può vivere una vita intera senza mai domandarsi perché la carne di un vitello ci sembri squisita e quella di un cane ci disgusti, o perché siamo affezionati al nostro gatto ma non proviamo niente per il maiale o il pollo che sono diventati la nostra cena. E la maggior parte di noi sa, in qualche modo, che in realtà non c'è poi tanta differenza tra il cane e il vitello, tra il gatto e il maiale. Ma allora cos'è che spalanca i nostri cuori verso gli uni e li chiude nei confronti degli altri? Postfazione di Leonardo Caffo.
Non si può ridurre la filosofia a slogan! E chi lo ha detto? La filosofia è una miniera di frasi che, nel corso della storia, sono diventate slogan famosi, alcuni dei quali, è il caso delle parole di Nietzsche, sono finiti anche su T-shirt. E gli slogan, come sanno tutti coloro che si occupano di comunicazione, sono formule di grande potenza comunicativa e creativa.
Sebbene sia uno stato d'animo noto a tutti, la noia è una condizione esistenziale indefinita e multiforme, la cui definizione ha confini labili e incerti. Muovendo dal presupposto che "tutti gli uomini sono noiosi", e soprattutto dal conseguente assunto, che noi tutti siamo vittime, consapevoli o meno, della noia, Kierkegaard suggerisce di applicare nella vita quotidiana una serie di regole per evitare di annoiarsi. Con pungente ironia, l'autore ci indica anche quali siano le virtù da coltivare per poter condurre un'esistenza il meno noiosa possibile, dimostrando così che proprio la noia può diventare principio creativo e di sviluppo dell'immaginazione.
In questo agile saggio, Byung-Chul Han analizza il controllo delle passioni e delle pulsioni nella società contemporanea come uno strumento essenziale attraverso il quale il potere "addomestica" e manipola la loro forza liberatoria, capace di turbare ogni ordine e modello. Assediato da questo controllo, l'individuo non è più capace di amare e si abbandona a una sessualità sempre uguale. Stiamo diventando immuni all'eros?