
La dichiarazione universale dei diritti dell'uomo fra utopia" e "prassi". "
Lo straordinario sviluppo delle tecnologie biomediche porta con sé il rischio di un approccio riduzionista, che riduce la persona al suo organismo e il malato alla sua malattia. Contro questa prospettiva "tecnico-medica" Turoldo propone un approccio olistico, ovvero una cura globale della persona malata che tiene conto del dolore non solo fisico, ma anche psicologico e spirituale che si accompagna alla malattia. Quindi l'Autore entra nel merito dell'attuale dibattito sul limite delle cure mediche, sull'accanimento terapeutico, sull'eutanasia e sul testamento biologico.
Partendo dalle macerie di Ground Zero e dalle sue implicazioni culturali, politiche e sociali, René Girard, uno dei più influenti pensatori oggi viventi, analizza gli eventi attuali e i fatti del nostro tempo - il fondamentalismo religioso, il cosiddetto scontro di civiltà, la minaccia nucleare, la crisi ecologica - come segni evidenti di un'imminente apocalisse, o meglio, della circostanza immanente che stiamo vivendo in tempi apocalittici. Per Girard l'unico modo di leggere, interpretare e capire a fondo questi segni è tornare all'origine della loro evoluzione storica: il nucleo anti-sacrificale del cristianesimo che ha prodotto la modernità e liberato la capacità autodistruttiva dell'uomo. In una prospettiva più filosofica, l'epistemologo francese Jean-Pierre Dupuy, analizza ulteriormente questi temi proponendo una metafisica alternativa in cui la nostra volontà si combina con una versione particolarmente severa del futuro della realtà, proponendo "una forma illuminata di catastrofismo", una "profezia secolare", attraverso la quale possiamo davvero prevenire l'apocalisse solo osservando il nostro tempo con gli occhi di un futuro prevedibile in cui l'apocalisse è già "realmente" accaduta. Due riflessioni esemplari, speculari l'una all'altra e dalle implicazioni sorprendenti, su uno dei momenti più incerti della storia dell'uomo.
Che cosa lega logica e mistica, linguaggio e forma di vita? L'aspetto più affascinante del pensiero di Ludwig Wittgenstein è affrontato in queste pagine dal grande storico della filosofia antica Pierre Hadot. E cioè proprio da chi ebbe il merito di introdurre, alla fine degli anni cinquanta, il pensiero di Wittgenstein in Francia, con una serie di conferenze tenute presso il College Philosophique diretto da Jean Wahl. I quattro saggi scritti tra il 1959 e il 1962 e qui riuniti da Hadot costituiscono un itinerario unico nel suo genere: il filosofo, e non lo storico o lo specialista, si interroga sulla natura dell'indicibilità che il Tractatus logico-philosophicus ha svelato nel cuore del linguaggio, e la reinterpreta alla luce delle nozioni centrali delle Ricerche filosofiche, quelle di "gioco linguistico" e di "forma di vita". Questo libro famoso ci pone con la sua prosa piana e felice di fronte a un'immagine nuova e più vicina di Wittgenstein, l'immagine che ha poi ispirato l'idea centrale dell'opera di Hadot: il linguaggio filosofico, e dunque l'essenza della filosofia, è un'attività, o meglio un "esercizio spirituale".
Il libro ripercorre i vari gradi di realtà in cui l'uomo, definito soggetto biopsichico e psicosociale, è inserito, ma si riferisce anche alla eccedenza per la quale egli emerge dal mondo naturale in quello spirituale.
Nella situazione filosofica contemporanea si danno le condizioni per una nuova attenzione alla "tradizione", contro la quale si è svolta una linea ben determinata del pensiero moderno. Recuperato il concetto di "tradizione", il pensiero tradizionale sviluppa, confrontandosi con la modernità, una visione dell'uomo - nel suo rapporto essenziale con la Trascendenza, in un orizzonte di mistero, e nella sua situazione di peccato - alternativa a quella del pensiero moderno, che tende a definirlo unicamente per il suo rapporto con il mondo, ora esaltandone le capacità di dominio ora riassorbendolo in esso (il pensiero forte e il pensiero debole). Il testo affronta gli aspetti fondamentali del pensiero tradizionale (il nesso verità-libertà, il problema sociopolitico e il rapporto fra persona, corpo e natura) svolti sulla base della sua definizione dell'uomo.
DESCRIZIONE: Tra pluralità irriducibile delle lingue e possibilità di una reciproca comprensione: è questo lo spazio in cui si pone il problema filosofico, teologico ed etico della traduzione.
Nell'atto del tradurre, per Ricoeur, non solo si evidenziano le ragioni dell'ermeneutica e del dialogo interreligioso - in quanto ascolto e interpretazione della lingua di un altro testo, di un'altra fede - ma anche il senso stesso della relazione etica. I paradossi etici non sono tutt'uno con i paradossi della traduzione? Come accostarsi all'altro, lo straniero, senza ridurlo a sé? Nella mia identità non riconosco i segni di altre identità, trasmesse dalle differenti lingue? Una sfida che si compendia nella categoria di ospitalità linguistica: «ospitalità linguistica... ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero».
Ordinario di Filosofia teoretica all'Università di Salerno, Vincenzo Vitiello presenta in questo libro un confronto tra lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij e il filosofo tedesco Martin Heidegger, alla luce delle loro riflessioni su nichilismo e cristianesimo.
È possibile per Kierkegaard “innamorarsi umanamente”? Le lettere qui raccolte di Søren Kierkegaard a Regina Olsen, composte in un periodo di circa un anno – dal 10 settembre 1840 al 11 ottobre 1841 –, sono lettere d’amore: «L’amore è più veloce di tutto, più veloce di se stesso», scrive il filosofo. Un amore terreno intriso di “malinconia”, in cui già si consuma la fine: come se il sentimento di sproporzione fra l’anima e il corpo fosse il segno di una impossibilità. Una tonalità che nei Diari – annota Gianni Garrera, curatore di questa prima edizione italiana – assume forma più esplicita di “insoddisfazione” portando alla rottura definitiva con Regina: Kierkegaard appartiene innanzitutto a Dio.
Queste lettere, conducendo nello “stadio estetico” dell’innamoramento ed “etico” della scelta “seria” del fidanzamento, ci introducono al salto kierkegaardiano nello “stadio religioso”.