
Questo volume raccoglie gli ultimi due corsi ufficiali tenuti da LËvinas alla Sorbona durante líanno accademico 1975-1976. Due cicli di lezioni che affrontano tematiche classiche del pensiero filosofico, come quella del rapporto tra il tempo e la morte e quello inerente il termine Dio., qui analizzate in relazione all'intrigo d'alterit‡ vissuto dall'uomo all'interno della propria soggettivit‡.
Nel primo corso , a partire da un dialogo serrato con il pensiero di Heidegger e di Bloch, LÈvinas sviluppa una formidabile riflessione che si propone di chiarire i rapporti che stabiliscono tra la morte e il tempo, In particolare, opponendosi all'impostazione heideggeriana, egli cerca di pensare la morte a partire dal tempo e non pi˘ il tempo a partire dalla morte.
Nel secondo corso LÈvinas riprende la sua lunga meditazione attorno al termine Dio, capovolgendo anche in questo caso la diagnosi di Heidegger: se fin dall'inizio la filosofia ha confuso Dio e l'essere, allora non Ë tanto il secondo ad essere caduto nell'oblio, quanto piuttosto il primo ad essere stato eclissato.
Queste lezioni rappresentano forse la miglior via d'accesso, di certo la pi˘ diretta ed interna, a testi complessi come "Altrimenti che essere" e "Di Dio che viene all'idea".
La biografia di uno dei principali filosofi del secolo XX, la cui influenza non cessa di crescere in tutto il mondo dopo la sua morte, avvenuta nel 1995. Si tratta di una vera biografia, condotta dall'autore - suo allievo, scrittore e giornalista - non di una biografia filosofica come molti utenti di Lévinas filosofo, in un certo senso inopportunamente, chiedevano. Vi emerge così un Lévinas a tutto tondo, con la sua vita familiare e la sua figura di uomo: guida religiosa per una comunità ebraica che gi stava intorno e per molti che lo accostavano. Così il filosofo Lévinas risalta dal quotidiano con le sue amicizie con Blanchot e Wahl, gli influssi di Rosenzweig, Husserl, Heidegger e i dialoghi con Ricoeur, Derrida e Giovanni Paolo II.
Se fosse possibile azzardare un paragone musicale quando si parla dei tanti contributi critici che - nel corso del tempo - sono stati generati dall'opera di Jacques Derrida, si dovrebbe ricorrere necessariamente al contrappunto, vale a dire al rapporto tra voci che sono indipendenti rispetto al ritmo e interdipendenti rispetto all'armonia. Il 12 e il 13 dicembre 2006, presso l'Università degli Studi di Bergamo, si è svolto un convegno che ha messo alla prova la verità di tale polifonia e ha sviluppato linee di fuga e passaggi tonali a partire da quattro parole - scrittura, decostruzione, ospitalità, responsabilità - che, come note su un pentagramma, scandiscono il percorso filosofico di uno dei maestri più importanti del Novecento. Consapevoli del fatto che Derrida non amava celebrazioni o monumentalizzazioni, gli studiosi che sono intervenuti (i quali, tra l'altro, appartengono a generazioni diverse), non si sono chiesti soltanto che cosa Derrida può ancora dare, ma hanno cercato di comprendere in che senso tutto ciò che lo concerne si gioca ora, avviene ora, vale a dire nella piena corresponsabilità del suo gesto di lettura.
La letteratura ci supera e ci sorprende, implica l'intelligenza delle cose, la domanda sul senso di ciò che si vive, la meraviglia e il giudizio; scopre mondi e li spalanca davanti al lettore, non importa se in modo realista, o fantastico. Se così non fosse sarebbe vuoto e noia. In questo libro la letteratura è intesa come qualcosa capace di modificare realmente il modo in cui una persona vive la propria vita: un'esperienza decisiva, mai pianificabile o controllabile e soprattutto irreversibile. Raymond Carver, nella sua ultima poesia, si chiedeva: E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? La domanda è tanto elementare quanto decisiva. E esattamente con un interrogativo simile che dovrebbe confrontarsi una seria domanda sull'identità e sul "servizio" della letteratura.
La potente attualità del messaggio filosofico di Maurice Blondel
«Professore di filosofia»: è nello scarno epitaffio dettato da Maurice Blondel per la sua tomba che possiamo ritrovare, sessant’anni dopo la sua scomparsa, la cifra di un pensiero che una storiografia frettolosa e censurante ha presto rinchiuso nel cosiddetto «spiritualismo». La passione e l’attenzione verso lo scambio, la trasmissione, il confronto hanno accompagnato fin dagli esordi l’elaborazione della famosa azione in cui accadono la parola e il tempo del discorso e che, lungi dall’essere riducibile al rapporto tra conoscenza e prassi, si svela piuttosto come quell’accadere della soggettività umana in cui riacquistano senso il desiderio, la volontà, la conoscenza o, in una parola, la razionalità. Le cronache, sempre orlate di leggenda e mai definitivamente verificabili, raccontano che durante i dieci anni in cui maturò la prima elaborazione di L’azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi, Blondel abbia letto pagine del suo lavoro ad un adolescente per verificare la comprensibilità del linguaggio adottato, come a ribadire l’insuperata efficacia dell’antico magistero socratico che riconosceva nell’altro la risorsa prima e ultima per una comprensione dell’esperienza umana. La lettura di L’azione, allora, sarà tanto più rigorosa e profonda quanto più non lascerà inespressa l’esperienza magisteriale che l’ha accompagnata, ed è per questo che l’autore, senza cedere a semplificazioni e senza rinunciare alla discussione delle posizioni assunte nel tempo dai più importanti studiosi italiani e stranieri del filosofo di Aix-en-Provence, presenta le sue analisi senza rifugiarsi in alcun "gergo" intimorente e, alla fine, chiuso rispetto allo scambio critico. Dopo aver individuato nel connubio tra il determinismo della percezione e delle leggi naturali e l’esercizio della volontà libera del soggetto la radice di un dibattito divenuto di potente attualità, il confronto con i testi di Blondel è impostato a partire da tre fuochi teorici: il fuoco metodologico, in cui viene riguadagnata la concreta fattualità nella quale si svolge la vicenda umana al di là dei dualismi che separano unilateralmente la razionalità dalla fede, dall’affettività e dall’educazione; il fuoco etico, in cui l’agire e la volontà che caratterizzano l’uomo si rivelano, da ultimo, come non deducibili da astratte costruzioni teoriche ma come fondanti la stessa razionalità; il fuoco ontologico, in cui l’azione scopre, attraverso il proprio esercizio, la necessità di ancorarsi a quanto lo stesso Blondel definisce «Unico necessario» mai padroneggiabile e, per questo, sempre altro rispetto alle pretese della razionalità. Tre fuochi in cui si gioca la credibilità di una ragione inscindibile dai suoi atti, perché - come scrive lo stesso Blondel - «nessun atto umano è cosciente, né può avere la consapevolezza della sua autodeterminazione, se non ha in sé l’idea almeno implicita della propria originalità, delle proprie conseguenze ripercuotentisi all’infinito, della propria intemporale responsabilità cui non può, alla fine, sottrarsi».
Per Miguel Abensour "filosofia politica" è un termine paradossale, un tentativo di unire due concetti contraddittori. Ripercorrendo il pensiero di Arendt, egli si chiede piuttosto se "filosofia" e "politica" non appartengano a tradizioni differenziali e alternative. Arendt amava definirsi più uno "scrittore politico" che un "filosofo", in grado di costruire un sistema teorico della politica... In questo libro illuminante Abensour rintraccia i fondamenti della tradizionale ostilità della filosofia alla politica e alla vita indeterminata e caotica della pòlis. Questa è infatti dominata dal principio imprevedibile ed opposto dell'essere-per-la-nascita, dall'irruzione di eventi incondizionati, di inizi indominabili: l'essere inaugurale produce "l'apertura di un'infinità di possibili, capaci di far sorgere il nuovo nel mondo".
Questo libro individua nell’idea dell’aggiunta il tratto costitutivo della cultura europea e - più radicalmente - il genoma teoretico della realtà. Plotino invitava a battere tutto intorno per tirare via le cose aggiunte; il Bene, che "conclude" il suo sistema, non è però ciò che resta, una volta eliminato il mondo, ma quello che dona tutte le aggiunte. La messa in opera di quel precetto ha dunque in Plotino una curvatura ironica e paradossale.
In nessun luogo più che nell’idea di SS. Trinità diviene chiaro il nesso indissolubile di essere e aggiunta. L’immensa pretesa che l’Unico, proprio essendo e restando Uno, sia tuttavia Tre, individua nel concetto di Dio una tensione esplosiva, un sovrappiù impossibile che Anselmo, Tommaso e Duns Scoto hanno indicato. L’essere, però, è aggiunta solo in forza del Bene. Se il Bene fosse semplice perfezione, ad esso non potrebbe aggiungersi niente, perché ogni aggiunta o non sarebbe tale, o sarebbe nociva. Ma il Bene è perfezione in quanto bontà (non viceversa), il che richiede di "definirlo" come la Regola, o il Fondamento, con aggiunta. La commozione del Bene è appunto questa capacità inaudita di aggiungere, di fare stare ancora qualcosa in uno spazio che, per definizione, è saturo e inemendabile.
Il modello aggiuntistico si concepisce dall’inizio alla fine come un pensiero della liberazione, anche in senso politico. L’emancipazione, l’uscita, non può però consistere mai nella mera eliminazione delle cose aggiunte, piuttosto in un trattamento di esse, che le raccolga come significati, ma ne faccia girare il senso complessivo nella direzione del Bene - il che è appunto quanto la tradizione ha pensato con il concetto di "provvidenza".
Karl Polanyi è un riferimento fondamentale per comprendere la storia e i problemi attuali della nostra società. Gli scritti qui raccolti chiariscono aspetti del suo pensiero che le opere maggiori, anzitutto "La grande trasformazione", presuppongono soltanto. Si va dall'analisi della crisi epocale, che la Prima guerra mondiale rese manifesta, ai commenti sul fascismo, sulla politica internazionale, sull'Unione Sovietica, fino agli scritti sull'istruzione per adulti, attività a cui Polanyi si dedicò nella convinzione che un'opinione pubblica informata e autonoma sia un fattore essenziale della democrazia. Anche la filosofia politica ha un particolare rilievo, con materiali degli anni Venti e Trenta selezionati dai curatori presso il "Karl Polanyi Archive" di Montreal. Tali scritti rivelano una concezione della natura sociale dell'uomo e della sua libertà, elaborata mediante il confronto critico con il pensiero di Karl Marx e con l'ideale cristiano della persona e della comunità. La sopravvivenza stessa del genere umano esige, secondo Polanyi, la capacità di rinnovare le istituzioni economiche e sociali grazie a una diffusa, consapevole e responsabile partecipazione democratica.
Quella qui presentata per la prima volta in traduzione italiana è l'edizione commentata della straordinaria corrispondenza (1920-1936) intrattenuta da Étienne Gilson (1884-1978) col suo discepolo Henri Gouhier (1898-1994), con un saggio (1904-1907) del giovane Gilson, studente alla Sorbona, su Malebranche e la Scolastica, corredato dalle osservazioni di Victor Delbos (1862-1916), suo professore. Malebranche è il filo conduttore di quest'opera, che documenta la genesi di due avvenimenti cruciali della storiografia filosofica novecentesca: il riconoscimento di una vera cittadinanza accademica a Malebranche in storia della filosofia, che si deve alla tesi dottorale sull'oratoriano che Gilson suggerì al suo discepolo; le ricerche sui rapporti fra Scolastica e filosofia moderna, cui un impulso decisivo fu dato, come noto, dall'Index scolastico-cartésien, pubblicato da Gilson nel 1913, ma la cui intuizione di fondo Il Momento Malebranche ravvisa già nel saggio giovanile su Malebranche. Questa edizione italiana vede la luce in un frangente di rinnovato interesse, in ambito internazionale, nei confronti dell'opera di Gilson: nel 2019, è apparso presso Vrin il primo volume delle OEuvres complètes, cui fa seguito il Nouvel Index scolastico-cartésien di Igor Agostini.
Il volume è una raccolta di oltre 8000 citazioni di massime, pensieri, aforismi, paradossi di tutti i tempi e tutti i paesi. Secondo un criterio alfabetico sono raggruppati per categorie, da abitudine a volubilità, l'essenza della saggezza antica e moderna con citazioni, note e meno note, di autori come Dante, Bacone, Balzac, Boccaccio, Byron, Carducci, Santa Caterina, Chamfort, Cicerone, Confucio, Diderot, Euripide, Flaubert, Foscolo, Galileo, Goethe, Guiccardini, Hugo, Kant, La Rochefoucauld, Leonardo, Leopardi, Machiavelli, Manzoni, Marco Aurelio, Mazzini, Moliere, Montaigne, Montesquieu, Nietzsche, Orazio, Ovidio, Pascal, Petrarca, Plutarco, Quintiliano, Renard, Rousseau, Ruskin, Schiller, Schopenhauer, Seneca, Shakespeare, Stendhal, Swift, Tacito, Tolstoj, Voltaire, Wilde. Di ogni autore in lingua straniera viene offerta anche la versione in originale. Completa l'opera un indice degli autori e un indice delle materie.
All'interno del presente volume l'autore analizza lo stato d'animo di centinaia di scrittori, antichi e moderni, davanti allo scorrere del tempo. "Il tempo è una delle grandi questioni metafisiche, che ha appassionato non solo tanti filosofi, scrittori e scienziati, ma anche ogni singolo uomo, perché coincide con la nostra stessa esistenza. Riflettere sul tempo significa riflettere sul senso della vita. Da una parte, il tempo è un "vile avversario"; dall'altra, è "la cosa più preziosa che l'uomo possiede", perché è "il prezzo dell'eternità". Si vorrebbe essere padroni del tempo manovrarlo, come si fa con le lancette dell'orologio, portandole avanti e indietro. Si desidererebbe che fosse reversibile, come il modo. Il presente non ci soddisfa mai e, per questo, ci si rifugia nel passato e nel futuro, evocando le cose di ieri o sognando le cose di domani. Tale tentativo di evasione impedisce di vivere pienamente i singoli attimi dell'oggi.