
Dopo la pubblicazione del "Tractatus logico-philosophicus", Wittgenstein riprese sistematicamente a filosofare solo nel 1929, cioè dopo un intervallo di quasi quindici anni dalla stesura del suo primo libro. Se consideriamo che tutto il materiale da cui furono tratte le "Osservazioni filosofiche" risale a quel periodo, non sorprende di trovare in quest'opera una presa di coscienza e una radicale disamina dei lati più problematici o decisamente insostenibili del geniale sistema del "Tractatus". L'opera contribuisce ad abolire definitivamente almeno un luogo comune: quello di un Wittgenstein filosofo del linguaggio ideale convertito in epoca matura alla filosofia del linguaggio ordinario.
Jankélévitch conferma in questo "Corso" la fecondità di un pensiero che parla di morale senza cadere nel moralismo, scava nei concetti evitando il concettualismo e coniuga il dovere con l'amore, muovendo dall'importanza che l'intenzione e la volontà hanno nell'esperienza morale. Né Husserl né Heidegger ma Pascal e Tolstoj sono i riferimenti dell'autore, filosofo laico ma attento alla lezione dei mistici, oltre che a quella dei classici (Platone, Aristotele, Agostino). Queste lezioni sono esemplarmente indicative della ricchezza spirituale che la filosofia può dare all'individuo.
La progressiva ascesa dell'India a protagonista della scena mondiale, in termini che solo qualche decennio fa sarebbero stati impensabili, ci costringe a riconsiderare l'immagine in cui l'Occidente l'ha rinchiusa da più di due millenni. Immagine prestigiosa, forse, ma anche duramente unilaterale, di luogo privilegiato di saperi occulti, di estasi e ascesi o per converso di favolose ricchezze e morbidi piaceri. Più che dedicarsi alla conoscenza dell'India, l'Occidente ha preferito sognarla: una conseguenza fra le tante è che al pensiero dell'India, pur unanimente celebrato come la sede della più alta sapienza, non è stato concesso nemmeno un posticino d'angolo nel gran teatro delle storie della filosofia. Questo libro si propone di presentare il pensiero dell'India premoderna innanzitutto delineando i parametri culturali in cui si è sviluppato e all'interno dei quali deve essere letto, associato spesso con l'esperienza religiosa ma anche essenzialmente autonomo da essa, talvolta diverso nelle forme e negli esiti ma più spesso strettamente affiancato al pensiero occidentale.
Un'interpretazione filosofico-sociologica della musica novecentesca, ricca di acute intuizioni critiche. Una serie di saggi tradotti per la prima volta in italiano a cento anni dalla nascita del principale filosofo della Scuola di Francoforte. Nel suo pensiero musica e filosofia si sono sempre integrate e oggi i suoi saggi musicali restano il territorio dove meglio è custodita la parte più feconda della sua ricerca. La sua interpretazione della "crisi" della cultura musicale, dell'alienazione della soggettività dell'artista, trova riscontri a questa frammentazione nei barlumi di verità che le grandi figure del Novecento hanno saputo trovare. Dal dittico Wagner-Mahler passa attraverso Richard Strauss, Stravinskij per culminare con la scuola di Vienna.
Per Li Zehou l'arte e l'estetica cinese sono figlie della psiche cinese che, nel corso del suo secolare sviluppo, ha costantemente perseguito un punto di equilibrio fra emozione e realtà. Traendo spunto da un vasto campionario di prodotti artistici cinesi, dai bronzi alle ceramiche, dai manufatti alle sculture, dalla letteratura alle opere pittoriche, l'autore esplora il mondo della cultura cinese offrendo al lettore occidentale i principali strumenti per studiarla e interpretarla.
Nell'Antropologia Immanuel Kant riordina la mole immensa di materiali di carattere storico e antropologico raccolti nell'arco di un'intera vita. Opera a lungo trascurata, si tratta in realtà di una tappa decisiva di un'epoca che stava per convertire le domande fondamentali della storia della metafisica, della gnoseologia, della morale e della religione in quella che per Kant era ormai diventata la domanda essenziale: Che cos'è l'uomo? Si inaugurava cosí la nostra modernità filosofica, che vedrà nell'uomo non solo l'origine e il fondamento di ogni sapere, ma anche la ragion d'essere e il principio di ogni trasformazione del mondo e di ogni intervento su di esso. L'antropologia kantiana indaga infatti l'uomo come essere sociale trasformato dalle istituzioni, al fine di svilupparne le attitudini, dotarlo di costumi, rafforzarne le facoltà, disciplinarne la volontà, orientarne i desideri e governarne la libertà.
Michel Foucault incontra l'Antropologia di Kant verso la fine degli anni cinquanta, facendone l'oggetto della sua tesi complementare, costituita dalla traduzione del testo kantiano, accompagnata da un lavoro di annotazione e dal testo che funge da Introduzione. Il saggio ci appare oggi la cartografia del terreno che da allora il filosofo francese avrebbe dissodato fino alla morte, contenendo molti dei temi fondamentali della sua riflessione, dal sonno antropologico e la finitudine umana all'archeologia delle scienze umane e alla questione della prossima scomparsa dell'uomo nella configurazione dei saperi e dei poteri che prenderà il nome di biopolitica, agli ultimi interventi sulla questione dell'Illuminismo e il problema del governo e della governamentalità.
"Nelle Note per la letteratura" Adorno raccolse scritti spesso di origine occasionale, ma in cui è sempre insita la forma del saggio cosi come è magistralmente definita nel testo che apre il volume. Il saggio è la forma prediletta da Adorno, accanto all'aforisma, poiché rientra nel pensiero asistematico, che non sussume il particolare alla totalità, ma lo spreme in quanto frammento, la realtà stessa essendo frammentaria e trovando "la propria unità attraverso le fratture, non attraverso il loro appianamento", sicché il saggio "deve far risplendere la totalità senza peraltro asserirne la presenza". E molte di queste "note" sono veri e propri saggi da allineare ai più famosi dell'autore. Accanto a contributi teorici fondamentali come "La posizione del narratore" nel romanzo contemporaneo o quello sull'"Impegno", in cui Adorno motiva in polemica con Sartre e con Brecht il rifiuto di questa abusata categoria, si troveranno qui analisi impreviste e quanto mai illuminanti della poesia di Hölderlin, Heine e George, di Balzac, Proust e Valéry, della scena finale del "Faust" e di "Finale di partita" di Beckett. Per questa nuova edizione, Sergio Givone ha selezionato i saggi letterari più rappresentativi di "Note per la letteratura", oltre a ripescare il fondamentale saggio su Kafka, originariamente in "Prismi"
Chi era Socrate? Quali i contenuti del suo pensiero? E perché "l'uomo più giusto del suo tempo" fu messo sotto accusa per empietà ad Atene, simbolo di democrazia? Il filosofo più "paradossale" di tutti è stato autore e vittima post mortem, e oggi più che mai, di un ulteriore paradosso. Non ha scritto nulla, e secondo molti è vano cercarne i tratti "storici" nel contrasto tra le fonti (Aristofane, Platone, Senofonte...); eppure la sua vita e il suo pensiero sono al centro della riflessione dagli Stoici a Ficino, a Nietzsche o Foucault. Ma la varietà delle fonti si spiega meglio con la ricchezza della figura di Socrate che liquidando notizie e divergenze come creazioni ex nihilo. Questo libro muove dalla sua persona, il ruolo sociale che Socrate ha consapevolmente tradotto nell'eccentricità della sua figura intellettuale; ne esplora poi il metodo (fra confutazione e aporia, eros e ironia) e i temi di pensiero (l'anima e la sua cura, il bene e la virtù) di cui fu iniziatore come filosofo; infine, il processo e la condanna a morte, che Socrate ha affrontato da cittadino di una città che aveva fortemente criticato, perché l'aveva profondamente amata.