
Tre aggettivi (universale, plurale, comune) compongono il titolo di questo libro a indicare le direttrici del suo discorso. Tre prospettive oggi culturalmente e speculativamente rilevanti, che delimitano lo spazio di complesse problematiche e di importanti questioni sociali. Tre qualificazioni che stanno tra loro non come una neutra sequenza descrittiva, ma come espressione di opposizioni e composizioni dialettiche. Il volume si articola in otto capitoli che, due a due, ne tracciano i percorsi secondo aree o strati significativi: secolarizzazione e laicità; universalismo, contestualismo, interculturalismo; legame sociale e globalizzazione; comunanza, comunità, bene comune; alla ricerca di una possibile prospettiva socio-politica nell'età della crisi totale degli universali accomunanti e dell'emergenza delle differenze autoreferenziali. Risalire alla secolarizzazione dell'universale cristiano e all'invenzione dei grandi universali moderni, sino alla loro smentita nel radicalismo nichilista, significa cercare l'origine del processo epocale in atto, che si rifrange nei problemi del pluralismo socio-politico e del multiculturalismo, del legame sociale e della globalizzazione, ma che permette anche di interrogarsi se una certa idea comunitaria, in quanto sintesi concreta di universalità e di particolarità, non possa riaprire la prospettiva antropologica e politica.
Al fine di navigare meno pericolosamente in questa epoca di transito, in questo volume Giuseppe Colombo scandaglia le proposte dell'universale antropologico dell'umanesimo classico e del post-umano. Entrambe, quando definiscono il 'genere uomo', presumono di formulare un giudizio universale pacificante. L'antico e il nuovo Edipo conosce l'essenza dell'uomo e annienta la Sfinge, il caos: sapere è potere. Quando però si tratta di passare dalla conoscenza del genere astratto a quella del singolo concreto, la riduzione antropologica dell'universale (l'essenza 'eterna') al particolare (l'uomo in carne e ossa 'finito') si incarica di 'esistenzializzare' e 'personalizzare' il male, la sofferenza, la morte. Viene allora annientata la presunzione di conoscere e dominare il proprio io e il proprio destino. L'Edipo trionfante si rovescia nell'Edipo annichilito. S'impone allora una radicale rivisitazione dell'universale antropologico.
In questo volume sono raccolti diversi studi, ormai dispersi e quasi introvabili, dedicati da Roberto Nebuloni ad Adorno, Horkheimer, Marcuse, Schütz e, successivamente, a Lagneau, Madinier, Nabert, Thévenaz: diverse tradizioni di pensiero – la francofortese, la fenomenologica e infine la Filosofia riflessiva – che Nebuloni attraversa ricostruendone con scrupolo i passaggi più significativi, certamente decisivi per il pensiero filosofico del Novecento. Ma Nebuloni si volge ai propri autori anche con un forte interesse teoretico, sollecitandone fra l’altro l’impensato e aprendo così prospettive nuove, spesso disattese dalla critica. Per questa via, oltre che una corretta ricostruzione dei diversi contesti speculativi, gli scritti di Roberto Nebuloni finiscono per offrirci anche una duplice proposta di pensiero: da un lato la prospettiva che torna a prefigurare un pensiero dell’assoluto, ma in termini discreti e con il rigore di una riflessione trascendentale, dall’altra la riflessione che si raccoglie sulla potenza del linguaggio simbolico inteso come il luogo privilegiato in cui viene infine a parola l’indicibile presenza del sacro.
Roberto Nebuloni, nato a Varese nel maggio del 1950, morì il 29 giugno 1994 in Valle Introna in un incidente di montagna. Aveva iniziato la sua ricerca scientifica dedicandosi in particolare agli autori della Scuola di Francoforte. Il suo lavoro più cospicuo a questo riguardo è il volume Dialettica e storia in Th. W. Adorno (1958). Successivamente si era dedicato anche allo studio della francese Filosofia riflessiva, pubblicando in particolare saggi su Lagneau, Madinier, Nabert, Thévenaz e soprattutto il volume Certezza e azione. La filosofia riflessiva in Lagneau e Nabert (1984). Si era infine volto allo studio di Rosmini, cui va riferito il suo ultimo libro, Ontologia e morale in A. Rosmini (1994).
Il volume, dopo aver riscosso ampio consenso dalla critica, fu onorato – nel maggio 1995 e nell’ambito del «Progetto Rosmini» – col premio alla memoria «Emilio Cecchetti».
La pubblicazione in corso della "Gesamtausgabe" di Martin Heidegger pone nuovi interrogativi agli interpreti, suggerendo loro di accostarsi al suo pensiero per colpi di sonda - quasi che un'interpretazione unitaria non possa più essere presupposta, ma debba scaturire dall'analisi di temi particolari affrontati dal pensatore tedesco in saggi e cicli di lezioni solo ora accessibili. È la via scelta in questo libro, che focalizza la sua attenzione su oggetti specifici: la politica, la civilizzazione e l'Europa, la scienza moderna, l'etica, il sacrificio, verità e ideologia, l'antropologia, la teologia e la questione del nichilismo, il postmoderno. Emergono in tal modo prospettive di lettura che mostrano non solo la pertinenza, talvolta inquietante, delle riflessioni heideggeriane (ad esempio sull'etica e il nichilismo), ma anche il loro essere al centro di buon parte della filosofia e della teologia contemporanea. Un'attualità che fa di Heidegger un classico da discutere, anche contro la sua lettera, per comprendere il nostro tempo storico.
Il presente volume, terzo della serie dei Nuovi studi aristotelici, raccoglie gli scritti concernenti la "filosofia pratica" di Aristotele, contenuta nelle due Etiche autentiche (Nicomachea e Eudemea), e la filosofia politica, contenuta nella Politica. Come è noto, per Aristotele queste ultime due discipline sono parti di un'unica scienza, da lui chiamata più volte "scienza politica" e, almeno una volta, "filosofia pratica". Perciò non ho diviso il volume in sezioni, come invece ho fatto nei volumi precedenti. Ho scelto, come sottotitolo dell'intera raccolta, "filosofia pratica", perché questa espressione è diventata attuale dopo la cosiddetta "riabilitazione (o rinascita) della filosofia pratica", movimento sviluppatosi nel corso degli anni Settanta del Novecento e ancora non del tutto esaurito.(dalla Prefazione)
DESCRIZIONE: Kierkegaard è per antonomasia il filosofo dell’esistere contemporaneo, di ciascun uomo nei confronti di tutti gli uomini. Come egli propone in Il concetto dell’angoscia, l’umanità, a differenza di tutte le altre specie, è composta da individui ciascuno dei quali è se stesso ed «insieme» la specie tutta. Ogni individuo è Adamo, e pecca di nuovo insieme a lui, in modo altrettanto «originale», e così contribuisce a mutare la propria umanità, insieme a quella di Adamo e di ogni altro uomo.
Le vie su cui Kierkegaard particolarmente insiste per l’accesso dell’uomo all’autenticità del proprio esistere sono: la «ripetizione-ripresa», il «pentimento» e il «perdono». Vie sulle quali si soffermano i saggi qui raccolti, nella consapevolezza che nessuna di queste categorie esistenziali può essere oggetto né di constatazione né di dimostrazione. E tuttavia è grazie a queste categorie – da lui coniate – che Kierkegaard ha saputo dare nuovi nomi al mistero dell’esistenza.
COMMENTO: Una ricognizione sui temi della ripresa, del pentimento e del perdono nel pensiero del filosofo danese, scritta dai maggiori specialisti a livello internazionale.
Alcune testimonianze esprimono con particolare incisività il senso di un'operosità intellettuale che ha fatto di Michel de Certeau (1925-1986) un effettivo excitateur de la pensée in campi tra i più svariati e con interventi che, a un ventennio ormai dalla morte, si sono venuti sempre più precisando nella loro portata, accrescendo l'impressione della sua lungimiranza e fornendo precise indicazioni per una eredità preziosa. L'immagine è quella di un uomo ricco di interessi e curiosità, e dalle molte imprese: radicato nel tempo e nei saperi di un'epoca che sembrava pensarsi "in modo non religioso", egli appariva pienamente sensibile alle istanze spirituali più profonde che intendeva saggiare dentro la frammentarietà del contemporaneo; mentre faceva opera di storico, seguiva le metamorfosi della mistica. I testi qui raccolti e curati da Domenico Bosco - sulla "mistica" appunto - risentono dell'inquietudine dei tempi e dell'ambiguità della "secolarizzazione" nel suo essere, insieme, un "fatto" e un "destino" pronto a concretizzarsi come assenza del sacro e del religioso. Una dialettica pienamente afferrabile nelle pagine qui tradotte e nella quale traluce, attraverso la figura di questo pensatore, uno spaccato sulla stessa "modernità". Michel de Certeau (1925-1986), "storico" francese di formazione poliedrica e membro della Compagnia di Gesù dal 1950, ha dedicato i suoi primi studi alle scienze religiose e alla storia della mistica incrociando le lezioni di de Lubac.
Il rapporto tra Sigmund Freud e la filosofia evoca uno dei temi, forse il principale, che testimonia l'intreccio costitutivo tra la psicoanalisi freudiana e l'universo della cultura, dei saperi umani, in cui gioca un ruolo centrale la tradizione filosofica. Freud stesso ne era consapevole, come attesta la sua autobiografia. Era chiaro a lui, e resta evidente per ogni studioso di Freud, che attraverso quella relazione si torna a definire la fisionomia specifica del conoscere e del pensare psicoanalitici in quanto scienza, oltre che del pensare in quanto tale. L'originalità di questa prospettiva è esaminare il confronto costante che Herbert Marcuse, Jean-Paul Sartre, Jacques Derrida, Jürgen Habermas, Ludwig Wittgenstein hanno istituito tra il proprio pensiero e la psicoanalisi freudiana, e rilevare quali suoi aspetti di volta in volta sono stati utilizzati 'per la filosofia'. Se il primo passaggio di questa storia è costituito dal distacco della psicoanalisi dalla psicologia di Franz Brentano, maestro viennese del giovane Freud, il tema filosofico decisivo della contaminazione reciproca di psicoanalisi e filosofia è la nozione di pulsione. Si delinea qui uno stile nuovo del pensare filosoficamente la psicoanalisi.
"Il grande merito del libro consiste nel rendere per la prima volta accessibile l'ermeneutica levinasiana della corporeità, che porta al di là delle analisi husserliane dell'intenzionalità e dell'analitica dell'esserci di Heidegger, nel suo esser connessa alla responsabilità che fa dell'uomo mortale un uomo. [...] Per l'esplicazione della riflessione sul significato centrale della corporeità per l'umanità dell'uomo, l'autrice utilizza i Carnets de captivité pubblicati dal lascito levinasiano solo nel novembre 2009." (Bernhard Casper)
DESCRIZIONE: Il sentimento del sublime, che Kant descrive nella Critica della capacità di giudizio, è uno dei luoghi più oscuri della filosofia trascendentale: se, da una parte, è chiaro il ruolo che questo sentimento assume nell’estetica settecentesca, d’altra parte, non è evidente in che modo il sublime sia connesso alla filosofia kantiana. Questo lavoro di ricerca intende ricostruire la genesi della nozione di sublime nel pensiero di Kant, la sua collocazione nella formazione del testo della terza Critica e il suo rapporto con gli scritti morali. In questo modo il volume contribuisce all’avanzamento degli studi kantiani, che finora non avevano prestato molta attenzione al sublime oppure lo avevano ricondotto a filosofie differenti da quella trascendentale. Il risultato più rilevante raggiunto da Kant nella descrizione del sublime è proprio quello di mostrare, a partire dalla contemplazione della natura, dall’estensione dell’immaginazione e dalle idee della ragione, l’umanità del soggetto trascendentale.
COMMENTO: Un'analisi dell'esperienza estetica del sublime nella Critica del giudizio di Kant. Una prospettiva dalla quale emerge il profondo intreccio tra "natura" e "libertà" morale.
SERENA FELOJ nel 2012 ha conseguito il dottorato di ricerca in «Scienze della cultura» (Scuola di Alti Studi, Fondazione San Carlo, Modena). È stata borsista DAAD presso l’Università di Marburg e ricercatrice ospite all’Università di Colonia; ha collaborato con l’Università degli Studi di Pavia e con l’Università degli Studi di Milano. Al pensiero di Kant e all’idealismo tedesco ha dedicato numerosi articoli e saggi, su riviste italiane e straniere.
La tesi di dottorato, rielaborata in questo volume, ha vinto il premio “Viaggio a Siracusa” e il premio della Fondazione E. Mattei come migliore tesi di dottorato.
Questo libro costituisce una delle ricerche più originali sulla natura e la storia dell'età preromantica e romantica, intesa come epoca che si conclude a Novecento inoltrato, dopo la "frattura" operata da Nietzsche. Prendendo in esame gli scritti e le posizioni teoriche di Hamann, Herder, Friedrich Schlegel, Novalis, Hölderlin, Schelling, Creuzer, Görres, i fratelli Grimm, Bachofen, Nietzsche, Spengler, Klages e Baeumler, l'autore ricostruisce le vicende degli intricati rapporti tra lo Sturm und Drang, il Romanticismo di Jena e quello di Heidelberg, tra idealismo e romanticismo, facendo emergere l'immagine duplice di un secolo, l'Ottocento, attraversato tanto da sistemi di filosofia della storia quanto da una concezione della storia di tipo simbolico. Una dialettica, mito/storia, infranta dal pensiero di Nietzsche e divenuta tema centrale nel Novecento, in particolare nel cosiddetto Mythos Debatte degli anni Ottanta. Ad emergere, dalla storia e dalla poesia del romanticismo tedesco qui scandagliati, è un concetto di natura radicalmente diverso rispetto a quello settecentesco, quale orizzonte enigmatico e alternativo al pensiero nichilistico affermatosi in Europa.