
Viene qui riproposta in una nuova edizione, con un aggiornamento bibliografico, la storia della filosofia medievale scritta da Sofia Vanni Rovighi negli anni in cui insegnava tale disciplina. In questa ricostruzione sintetica del pensiero medievale latino Sofia Vanni Rovighi mette a frutto la sua conoscenza non comune dei testi e li interpreta alla luce di una personale prospettiva filosofica. Se ciò che importa in un manuale è l'esposizione affidabile della materia trattata, queste pagine garantiscono ancora oggi una conoscenza sicura delle idee elaborate dai principali pensatori che hanno contribuito in modo rilevante all'evoluzione della discussione filosofica, dall'incontro del Cristianesimo con la filosofia greco-romana fino all'autonoma elaborazione di dottrine, in particolare da parte dei maestri dei secoli XIII e XIV. Le frequenti citazioni e i riferimenti bibliografici inseriti nel testo sono prova di una ricerca accurata della fedeltà nell'esposizione, e il ricorrente richiamo delle differenti posizioni assunte dagli studiosi prospetta uno spaccato della storiografia tuttora significativo. Tale sintesi consente di accostarsi alle linee fondamentali della discussione attorno ai problemi che hanno costituito il tessuto della cultura filosofica e teologica sino alle soglie dell'Europa moderna.
Almeno a prima vista, il percorso dell’etica occidentale appare segnato da un’ostilità irriducibile tra logos e pathos. Fin dall’origine, l’affanno filosofico principale sembra dovuto al tentativo di limitare il commercio con le passioni, assumendo il controllo razionale dell’esperienza. Ma più il logos ha cercato di mantenersi puro, più le passioni si sono scatenate, divenendo - soprattutto nel Romanticismo - il controcanto della ragione.
Oggi l’antica discordia si è lentamente trasformata in una separazione senza ritorno. Così, da una parte, il pathos è celebrato nella forma privata e insindacabile dell’emozione; dall’altra, il logos si muove entro la corta misura della ragione scientifica, che - per definizione - è ‘anemotional’. Si tratta di un destino inevitabile? Dipende dalla premessa: se il pathos è ‘alogon’, cioè un ‘altrove’ irrazionale della razionalità, allora è impossibile rimediare ad un’estraneità così radicale. Se, invece, l’affettivo è concepito come un modo di funzionare che è proprio della ragione, se, in altri termini, pathos e logos hanno una radice comune, allora c’è spazio per comporne l’unità.
Muovere da questa seconda premessa non pare insensato: persino coloro che hanno inteso difendere la purezza della ragione, come - ad esempio - gli Stoici, Platone, Descartes, Spinoza, Kant, non sono così lontani dall’idea di una primordiale e reciproca afferenza di logos e affettività. Idea che la tradizione classica (in particolare aristotelica e scolastica) è stata capace di pensare e che la fenomenologia (soprattutto con Michel Henry) ha in qualche modo reinventato, accreditando la consapevolezza che una soggettività razionale finita, situata in un corpo, è pensabile unicamente a partire dalla presenza della ragione negli affetti: non si dà logos se non dentro il campo della ricettività (che va dal sensibile allo spirituale); né si dà affettività umana che non sia, in qualche modo, già innervata dalla ragione.
Paolo Gomarasca insegna Antropologia alla Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e svolge la sua attività di ricerca presso la cattedra di Filosofia morale della medesima Università. Tra i suoi lavori: Rosmini e la forma morale dell’essere (Milano 1998); Il linguaggio del male (Vita e Pensiero, Milano 2001); I confini dell’altro. Etica dello spazio multiculturale (Vita e Pensiero, Milano 2004).
Questo volume dell’«Annuario di etica» si occupa dell’utilizzo della nozione di ‘natura’ nelle etiche contemporanee e nel relativo dibattito. È facile intendere la considerevole attualità di questo tema, che è presente come questione di fondo nella maggior parte delle più significative discussioni di etica pubblica: si pensi alle questioni di bioetica e a quelle sull’ambiente, ove sono in gioco l’idea della natura umana e del suo rapporto con la natura in senso cosmologico.
Il volume è ripartito in quattro sezioni. Le prime due sono costituite da Saggi e da Contributi. I Saggi affrontano la questione a livello dei fondamenti, così come sono proposti da alcune tradizioni filosofiche viventi: etica analitica, nuove forme dell’etica kantiana, etica neoclassica, etica dei diritti. I Contributi, invece, presentano e discutono l’utilizzo dell’idea di ‘natura’ in ambiti determinati: il ‘naturalismo’ analitico, la sua critica nella teoria della ‘sopravvenienza’, la neuroetica, la bioetica, l’etica del Gender, l’ecoetica. La terza sezione del volume è costituita da un Forum di discussione tra E. Lecaldano, M. Moneti Codignola, A. Da Re, G. Cantillo. La quarta sezione è una Rassegna bibliografica, che recensisce volumi significativi sul tema dell’«Annuario».
Il volume documenta, con ricchezza teorica e tematica, che il tema della natura presente nell’etica contemporanea è un crocevia inevitabile, anzitutto a motivo della presenza sempre più incisiva della cultura e della mentalità tecno-scientifica, la cui artificialità si definisce in relazione dialettica con la naturalità. L’argomentazione morale non può evitare, perciò, di interrogarsi nuovamente se lo statuto del sapere morale non implichi un riferimento a un principio di senso e a un paradigma di valore, che chiamiamo ‘natura umana’.
Prendendo atto della difficoltà nel caratterizzare univocamente l’approccio narrativo all’etica, che pure è auspicato da più parti e in diversi ambiti del dibattito contemporaneo, il volume prende in esame alcune matrici filosofiche dell’etica narrativa, allo scopo di evidenziarne la specificità e le risorse. In particolare, vengono analizzate e proposte teoriche di Alasdair Maclntyre, lris Murdoch, David Carr, Charles Taylor e Paul Ricoeur, che attribuiscono alla categoria di “narrazione” una valenza pratico-etica; dal loro confronto emerge un profilo teorico dell’etica narrativa, del quale viene vagliato il contributo ai fini di una fondazione antropologica della norma etica. Tra le risorse dell’approccio narrativo vengono individuate l’esplorazione della soglia tra antropologia ed etica (mediante la tematizzazione della vita come unità narrativa) e l’approfondimento del rapporto tra universale etico e storie di vita particolari; quale limite ditale approccio, invece, si riconosce la non-autosufficienza della narrazione ai fini della fondazione etica.
Siamo talmente abituati a guardare il mondo e gli altri a partire da noi stessi che neanche ci accorgiamo più di cosa sia il bene. Agli altri non si va in un secondo momento, quando si è già scoperto da soli e per proprio conto che cos'è il bene. Il senso di qualcosa d'altro entra piuttosto dall'inizio e in maniera costitutiva nel suo concetto, perché il bene interroga e smuove da come si è. Senza sapere di qualcosa di diverso da sé, per come si è, non può nascere il bene, né un dovere. Non è neppure questione di individui o di comunità. Ovunque si manifesti la pretesa di coincidere del tutto con se stessi, di centrarsi su di sé, si allontana il richiamo del bene. Vi sono epoche che sembrano a prima vista più sensibili a ciò che unisce, all'universale, e altre che paiono più inclini a rivendicare le diversità. Pur con le proprie peculiarità, questo vale allo stesso modo per la classicità (platonismo, aristotelismo, tomismo), per l'epoca della soggettività (Kierkegaard, Sartre, postmoderno), per il dibattito sull'altruismo (solidarietà). Il bene accomuna, ma non azzera. Il bene differisce, ma non isola. Porta oltre sé ma rifiuta ogni sintesi dell'umano. Tenendosi a distanza da cliché di comodo, attraverso tre articolati movimenti (archeologia, esistenza, condivisione) si restituisce in via teorica ed ermeneutica la struttura in tensione del bene verso l'altro da sé.
Il testo propone una ricostruzione storico-teoretica della prospettiva postumanistica, evidenziandone i principali snodi concettuali, a partire dalla NeueAnthropologie, dal pensiero di Foucault e di Deleuze, passando per la biologia evoluzionistica e l'infofilosofia fino a giungere alla tecnoscienza contemporanea, intesa come luogo di collisione e commistione del sapere e dell'agire umano. Accanto a tale ricognizione si propone una problematizzazione della semantica del postumano, sottolineandone il limite critico in una concezione riduttiva e riduzionista della natura umana, della quale, per contro, si propone un recupero dei significato classico secondo il suo concetto non naturalistico, per il quale essa non è riducibile a semplice e statica materia, ma è da intendersi come ciò che ha in sé il principio di movimento e di quiete. Una natura umana così intesa comprende in sé gli attributi principali del pensiero postu-manistico, in particolare dinamismo e ibridazione, restando nel contempo inscritta in un orizzonte ancora antropologico.
Lo studio dei rapporti tra Seneca e la quasi sconosciuta scuola medica stoica denominata Scuola Pneumatica consente di gettare nuova luce sul pensiero del filosofo di Cordova. È infatti possibile dimostrare che le concezioni psicologiche senecane poggiano su una visione monistica dell'uomo, in forza della quale anima e corpo sono due entità intercomunicanti in quanto consustanziali e attraversate da un unico spiritus coibente: pertanto, ogni evento psichico coinvolge l'ambito somatico dell'individuo, ma pure ogni stato del corpo influenza inevitabilmente l'anima. In ottica medico-filosofica andranno anche rilette le descrizioni senecane dell'ira, una passione psicosomatica le cui caratteristiche si associano a quanto la medicina stoica ha osservato circa le sindromi biliari, in particolare per ciò che concerne l'andamento bipolare del disturbo, in cui convivono aggressività e depressione. Trasferite alla drammaturgia senecana, queste scoperte consentono di rileggere il furor di alcuni personaggi delle tragedie per dimostrare che certe apparenti incoerenze caratteriali sono al contrario del tutto in sintonia con la facies multiforme dell'ira maniaco-melancólica e delle passioni ad essa collegate.
Questo volume raccoglie gli Atti del Convegno nazionale "Filosofia e mistica", promosso dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, Dipartimento di Filosofia, e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI e svoltosi il 24-25 novembre 2010 presso la sede di Milano dell'Università Cattolica. Collocato all'interno di una serie di iniziative promosse dall'Ateneo sul tema della mistica, il Convegno è stato l'occasione per dare vita al più ampio progetto "Filosofia ed esperienza religiosa", con il quale si intende indagare filosoficamente i contenuti dell'esperienza religiosa nel loro valore teoretico e storico in ambito moderno e contemporaneo. In questa prospettiva, il volume, oltre a rendere conto dell'articolazione di un convegno che ha avuto una vasta eco e buona accoglienza nel mondo accademico italiano, risponde al risvegliato interesse per la mistica che, già da diversi anni, caratterizza il mondo occidentale e che, troppo spesso, si traduce in un sincretismo religioso dai contorni vaghi. Le relazioni qui contenute intendono chiarire molte delle ambiguità presenti in questo rinnovato interesse, individuando lo specifico statuto concettuale della mistica, tentandone una fondazione rigorosa e ponendo in chiaro la sua relazione fondamentale con l'esperienza cristiana.
Oggetto di un acceso dibattito fin dall'antichità, il significato ed il ruolo della "phantasia" secondo Aristotele continuano ad appassionare e a dividere anche i commentatori contemporanei, come attesta il gran numero di contributi dedicati al problema. Dopo un'analisi preliminare dello status quaestionis e una rassegna delle principali posizioni interpretative emerse, questo testo si propone di rispondere alle domande relative all'esistenza o meno di una teoria unificata, alle complesse ricadute sia nella psicologia, sia in altri settori del sistema aristotelico e della successiva ricerca peripatetica, e, soprattutto, alla possibilità di attribuire un valore essenzialmente epistemologico alla "phantasia" attraverso il ricorso allo schema della metafora per analogia. Questo permetterebbe d'intendere l'accezione di base della "phantasia", vale a dire quella collegata al "presentarsi" alla percezione, come non equivoca, bensì fondante gli altri differenti utilizzi, coinvolti nell'ambito della rappresentazione mentale e del pensiero; così, l'uso improprio o cosiddetto "metaforico" sarebbe il risultato di un trasferimento di significato da quello proprio o "non metaforico". Una nozione della "phantasia" che "si dice in molti sensi" diventa dunque il punto di partenza della ricomposizione all'interno di una cornice teorica coerente ed organica, sulla base di un significato fondamentale comune. Prefazione di Marcello Zanatta
Dall'Antigone di Sofocle agli studi sul totalitarismo di Hannah Arendt, attraverso i contributi di Jacques Derrida e di Carl Schmitt, Alessandra Papa offre un interessante percorso filosofico dedicato al tema dell'inimicizia come relazione interpersonale e come 'luogo' teorico della politica e della cittadinanza. Un itinerario in cui, attraverso un dialogo e un confronto con molte voci del pensiero classico e della contemporaneità, si profila, con accenti innovativi, la questione antropologica come domanda sull'identità dell'uomo, cioè come discorso che interpella ognuno di noi in quanto artefice e preda delle dinamiche dell'ostilità, del conflitto, della guerra. Da Antigone che, per seppellire il cadavere del fratello, in nome della pietas, viola la legge della città, diventando così una nemica del potere, fino alle dinamiche della distruzione fisica del nemico che nelle logiche totalitarie istituisce il terribile segreto su cui fondare l'identità della politica, il volume ci introduce a una fenomenologia della vittima e del carnefice quale spaccato della condizione umana. Di fronte a un 'altro' che diventa segno di una minaccia reale o fittizia alla nostra identità, la vera sfida è quella di impedire che ogni forma di inimicizia degeneri in una violenza totalitaria che ci impedisca di cogliere il valore dell'umano come terreno su cui fondare un mondo comune e una polis accogliente. In fondo, in ogni nemico c'è, al contempo, un altro e noi stessi.
Il volume raccoglie gli Atti del Convegno nazionale «Religione e fede nell’età postsecolare » (Milano, 21-22 novembre 2012), organizzato nell’’anno della fede’ dal Progetto «Filosofia ed esperienza religiosa», il gruppo di lavoro promosso dal dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI. Nei due precedenti convegni, «Filosofia e mistica» ed «Esperienza religiosa», si è indagato il ‘soggetto religioso’, nel tentativo di evidenziare le categorie fondamentali del ‘fare esperienza religiosa’ come base teoretica, con cui affrontare anche la più vasta problematica del religioso. Abbiamo così voluto rivendicare la specificità della riflessione filosofica sul religioso e insieme l’interesse per un lavoro interdisciplinare. Frutto di questo disegno è questo terzo convegno: un’analisi delle pratiche della religione e della fede in un’età enigmatica, la post-secolare, insieme segnata dal più radicale relativismo e dal cosiddetto ‘ritorno di Dio’. Dalle interpretazioni dei dati delle più recenti e più grandi ricerche sociologiche, condotte dai sociologi F. Garelli, C. Lanzetti e L. Allodi, passando attraverso l’appassionata disamina della fede rintracciata nei chiaroscuri del mondo della vita — nei romanzi italiani del primo decennio del secolo XXI (G. Langella), nel vissuto femminile (P. Ricci Sindoni) e in alcune voci ebraiche (I. Kajon) —, si approda alla domanda cruciale sulla ragionevolezza della fede, a cui si tenta di rispondere con ragioni filosofiche, destreggiandosi tra il labirinto del desiderio e la sfida della finitezza e del non senso (M. Borghesi, R. Madera, G. Palumbo).
Giuseppe Colombo, membro del dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica e della Facoltà di Scienze della Formazione, è professore di Filosofia morale e di Forme e modelli del pensiero filosofico all’Università Cattolica, sede di Brescia. È il coordinatore del Progetto «Filosofia ed esperienza religiosa». È noto per i numerosi studi sulla filosofia italiana del Novecento (La filosofia come soteriologia: l’avventura spirituale e intellettuale di Piero Martinetti, Vita e Pensiero 2005) e per le indagini di antropologia filosofica (dal volume Conoscenza di Dio e antropologia, Milano 1988 ai saggi Agire religioso e fede, in Prospettiva dell’azione e figura del bene, Milano 2008 e Generative Fiduciality and Experience, in Understanding Human Experience: Reason and Faith, Bern 2012).