
Questo volume raccoglie una serie di contributi offerti nel corso di due seminari dedicati allo studio delle "condizioni del sapere". La ricerca, partita dalla rivisitazione del Perì ermeneias di Aristotele e dalla lettura critica che Husserl ne dà nel corso delle sue Ricerche logiche, mirava a comprendere se la dimensione propria della verità debba raccogliersi solo nel campo del giudizio e dei suoi asserti o se invece non debba trovarsi anche in quei modi del pensare e del dire che Aristotele riteneva "significanti" ma non "apofantici".
Il nesso tra affetti e legami è questione decisiva nell’odierno contesto culturale, sempre più incline a ridurre l’affezione a emozione e la ragione a calcolo. Ne consegue una razionalità astratta senza eros e un’affettività narcisistica senza legami, che minacciano l’unità dell’esperienza, la ricchezza delle relazioni, la realtà familiare, l’affidabilità sociale. Nel rapporto tra pathos e logos, tra affezione e ragione, dove sono implicate l’identità dei soggetti e la capacità di relazione, sta un nodo antropologico dell’Occidente. È possibile una diversa visione dell’uomo, nella quale trovino conciliazione il sentire e il pensare, il coinvolgimento e il giudizio, il patire e l’agire? Si dà un’etica degli affetti, di cui la famiglia sia struttura esemplare?
A queste domande cerca risposte il primo volume dell’Annuario di Etica, concepito come inedito luogo di incontro e di elaborazione teorica, come proposta e confronto sui grandi temi dell’etica, a partire dall’attualità dell’esperienza morale. Esso coltiva una linea che pone a confronto alcune grandi tesi, nella convinzione che è ancora possibile la determinazione della verità e del bene, a fronte di una situazione presente rassegnata ad una pratica indifferenza reciproca dei diversi saperi e credenze, incline alla privatezza della verità e del bene e alla retorica del frammento.
In questa condizione culturale l’etica assume paradossalmente spazio e rilievo, come luogo di interessata ricerca e di possibile intesa, in cui è sollecitato il ripensamento delle premesse antropologiche e dei fondamenti ultimi della realtà.
Francesco Botturi è ordinario di Filosofia morale nell’Università Cattolica di Milano.
Carmelo Vigna è ordinario di Filosofia morale nell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dirige il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (C.I.S.E.).
Siamo stati abituati a pensare al mercato come al luogo in cui si dispiega solo una razionalità astratta e impersonale, misurata dagli incrementi di efficienza, produzione e profitto. In realtà, l’economia resta una forma dell’agire umano che include sempre un preciso «valore di legame» e impone scelte attraverso le quali individui e collettività possono orientarsi alla ricerca del bene comune oppure cedere alla logica della legge del più forte.
Lo scambio – lo diceva già Aristotele – è uno dei fattori decisivi per «la felicità della comunità politica». L’economia non può perciò semplicemente delegare alla politica le questioni di giustizia, specie nel momento in cui proprio la politica appare in difficoltà nell’assicurare il «governo» del mercato globalizzato con le sue evidenti asimmetrie e nei suoi paradossi. E tuttavia si pone il problema di capire quale giustizia sia in effetti possibile.
Questo secondo numero dell’Annuario di Etica affronta tale problema, muovendo da una constatazione e mettendo alla prova una tesi. La constatazione è questa: il tradizionale ruolo dello stato, come titolare e garante della «forza» della giustizia attraverso le leggi, appare profondamente logorato; da una parte le sue regole sono mal sopportate, dall’altra sono reclamate, ma invano, perché non è più questa la dimensione in cui si muovono interessi, risorse finanziarie e know-how tecnologico. La tesi è conseguente: in questa situazione di stallo, in cui facilmente crescono le disuguaglianze e si alimentano i conflitti, si deve ripartire dalla originaria natura etica del mercato. Ovvero: la dimensione comunicativa del riconoscimento e della reciprocità può e deve diventare (o tornare a essere) un fattore rilevante all’interno della funzione razionalizzatrice del calcolo del capitale. Il richiamo alla società civile non rappresenta, in questo contesto, una fuga in una riserva protetta del bene e dell’agire disinteressato, ma un modo per ripensare concretamente le radici, i luoghi e i fini della politica.
Stefano Semplici è professore associato di Etica sociale nell’Università di Roma «Tor Vergata». Fra le sue pubblicazioni più recenti, oltre a numerosi saggi e contributi sui principali temi dell’etica pubblica e applicata, Un’azienda e un’utopia. Adriano Olivetti 1945-1960 (a cura di, Bologna 2001), Il soggetto dell’ironia (Padova 2002).
La vita è sempre emotivamente "intonata". I sentimenti dell'allegria e della tristezza, dell'euforia e dell'angoscia, della felicità e della malinconia (ma anche le situazioni apparentemente "apatiche", come quelle della noia) pervadono l'esistenza e le conferiscono una colorazione particolare. È solo all'interno di questa atmosfera emozionale che avviene il contatto con gli oggetti, la percezione delle cose e delle persone, l'incontro con il mondo. Le tonalità emotive stanno dunque a fondamento di tutta la vita psichica: sono i modi del sentire che schiudono (o precludono) le molte forme dell'essere nel mondo. Il trattato di Otto F. Bollnow a cura di Daniele Bruzzone, esplora la natura e le implicazioni filosofiche, psicologiche ed etiche di queste tonalità emotive, dialogando con pensatori come Kierkegaard, Scheler, Heidegger, Jaspers, Binswanger, ma anche con scrittori e poeti come Goethe, Hölderlin, Baudelaire, Proust, Huxley. Ne scaturisce un quadro di straordinario interesse non soltanto per i cultori dell'antropologia filosofica, ma anche per quanti lavorano nell'ambito delle relazioni umane e, in generale, per chi è interessato a conoscersi meglio e a comprendere la vita emotiva.
Il rapporto tra autonomia e dipendenza è un tema che ha sempre interrogato la filosofia. Esso trova però oggi una formulazione particolare all'interno della cosiddetta Gen-Ethik (o etica dei geni) riguardo al progetto di eliminare la casualità dell'origine dell'uomo. Attraverso la tecnologia genetica la realtà pone, così, alla filosofia un problema teorico che si trasforma in un'opzione pratica: la possibilità di una radicale indipendenza dell'uomo dai suoi stessi condizionamenti naturali. Nell'affrontare tale questione questo libro si concentra su una tematica kantiana: quella dell'autonomia, che qui viene esaminata alla luce del pensiero di autori come Habermas, Kelsen e i pensatori dell'autonome Moral, che l'itinerario di Kant hanno effettivamente seguito. Il presente volume offre un articolato percorso filosofico-teoretico, grazie al quale pensare la realtà dell'uomo contemporaneo e la sua domanda di autonomia.
Viene qui riproposta in una nuova edizione, con un aggiornamento bibliografico, la storia della filosofia medievale scritta da Sofia Vanni Rovighi negli anni in cui insegnava tale disciplina. In questa ricostruzione sintetica del pensiero medievale latino Sofia Vanni Rovighi mette a frutto la sua conoscenza non comune dei testi e li interpreta alla luce di una personale prospettiva filosofica. Se ciò che importa in un manuale è l'esposizione affidabile della materia trattata, queste pagine garantiscono ancora oggi una conoscenza sicura delle idee elaborate dai principali pensatori che hanno contribuito in modo rilevante all'evoluzione della discussione filosofica, dall'incontro del Cristianesimo con la filosofia greco-romana fino all'autonoma elaborazione di dottrine, in particolare da parte dei maestri dei secoli XIII e XIV. Le frequenti citazioni e i riferimenti bibliografici inseriti nel testo sono prova di una ricerca accurata della fedeltà nell'esposizione, e il ricorrente richiamo delle differenti posizioni assunte dagli studiosi prospetta uno spaccato della storiografia tuttora significativo. Tale sintesi consente di accostarsi alle linee fondamentali della discussione attorno ai problemi che hanno costituito il tessuto della cultura filosofica e teologica sino alle soglie dell'Europa moderna.
Almeno a prima vista, il percorso dell’etica occidentale appare segnato da un’ostilità irriducibile tra logos e pathos. Fin dall’origine, l’affanno filosofico principale sembra dovuto al tentativo di limitare il commercio con le passioni, assumendo il controllo razionale dell’esperienza. Ma più il logos ha cercato di mantenersi puro, più le passioni si sono scatenate, divenendo - soprattutto nel Romanticismo - il controcanto della ragione.
Oggi l’antica discordia si è lentamente trasformata in una separazione senza ritorno. Così, da una parte, il pathos è celebrato nella forma privata e insindacabile dell’emozione; dall’altra, il logos si muove entro la corta misura della ragione scientifica, che - per definizione - è ‘anemotional’. Si tratta di un destino inevitabile? Dipende dalla premessa: se il pathos è ‘alogon’, cioè un ‘altrove’ irrazionale della razionalità, allora è impossibile rimediare ad un’estraneità così radicale. Se, invece, l’affettivo è concepito come un modo di funzionare che è proprio della ragione, se, in altri termini, pathos e logos hanno una radice comune, allora c’è spazio per comporne l’unità.
Muovere da questa seconda premessa non pare insensato: persino coloro che hanno inteso difendere la purezza della ragione, come - ad esempio - gli Stoici, Platone, Descartes, Spinoza, Kant, non sono così lontani dall’idea di una primordiale e reciproca afferenza di logos e affettività. Idea che la tradizione classica (in particolare aristotelica e scolastica) è stata capace di pensare e che la fenomenologia (soprattutto con Michel Henry) ha in qualche modo reinventato, accreditando la consapevolezza che una soggettività razionale finita, situata in un corpo, è pensabile unicamente a partire dalla presenza della ragione negli affetti: non si dà logos se non dentro il campo della ricettività (che va dal sensibile allo spirituale); né si dà affettività umana che non sia, in qualche modo, già innervata dalla ragione.
Paolo Gomarasca insegna Antropologia alla Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e svolge la sua attività di ricerca presso la cattedra di Filosofia morale della medesima Università. Tra i suoi lavori: Rosmini e la forma morale dell’essere (Milano 1998); Il linguaggio del male (Vita e Pensiero, Milano 2001); I confini dell’altro. Etica dello spazio multiculturale (Vita e Pensiero, Milano 2004).
Questo volume dell’«Annuario di etica» si occupa dell’utilizzo della nozione di ‘natura’ nelle etiche contemporanee e nel relativo dibattito. È facile intendere la considerevole attualità di questo tema, che è presente come questione di fondo nella maggior parte delle più significative discussioni di etica pubblica: si pensi alle questioni di bioetica e a quelle sull’ambiente, ove sono in gioco l’idea della natura umana e del suo rapporto con la natura in senso cosmologico.
Il volume è ripartito in quattro sezioni. Le prime due sono costituite da Saggi e da Contributi. I Saggi affrontano la questione a livello dei fondamenti, così come sono proposti da alcune tradizioni filosofiche viventi: etica analitica, nuove forme dell’etica kantiana, etica neoclassica, etica dei diritti. I Contributi, invece, presentano e discutono l’utilizzo dell’idea di ‘natura’ in ambiti determinati: il ‘naturalismo’ analitico, la sua critica nella teoria della ‘sopravvenienza’, la neuroetica, la bioetica, l’etica del Gender, l’ecoetica. La terza sezione del volume è costituita da un Forum di discussione tra E. Lecaldano, M. Moneti Codignola, A. Da Re, G. Cantillo. La quarta sezione è una Rassegna bibliografica, che recensisce volumi significativi sul tema dell’«Annuario».
Il volume documenta, con ricchezza teorica e tematica, che il tema della natura presente nell’etica contemporanea è un crocevia inevitabile, anzitutto a motivo della presenza sempre più incisiva della cultura e della mentalità tecno-scientifica, la cui artificialità si definisce in relazione dialettica con la naturalità. L’argomentazione morale non può evitare, perciò, di interrogarsi nuovamente se lo statuto del sapere morale non implichi un riferimento a un principio di senso e a un paradigma di valore, che chiamiamo ‘natura umana’.
Prendendo atto della difficoltà nel caratterizzare univocamente l’approccio narrativo all’etica, che pure è auspicato da più parti e in diversi ambiti del dibattito contemporaneo, il volume prende in esame alcune matrici filosofiche dell’etica narrativa, allo scopo di evidenziarne la specificità e le risorse. In particolare, vengono analizzate e proposte teoriche di Alasdair Maclntyre, lris Murdoch, David Carr, Charles Taylor e Paul Ricoeur, che attribuiscono alla categoria di “narrazione” una valenza pratico-etica; dal loro confronto emerge un profilo teorico dell’etica narrativa, del quale viene vagliato il contributo ai fini di una fondazione antropologica della norma etica. Tra le risorse dell’approccio narrativo vengono individuate l’esplorazione della soglia tra antropologia ed etica (mediante la tematizzazione della vita come unità narrativa) e l’approfondimento del rapporto tra universale etico e storie di vita particolari; quale limite ditale approccio, invece, si riconosce la non-autosufficienza della narrazione ai fini della fondazione etica.
Siamo talmente abituati a guardare il mondo e gli altri a partire da noi stessi che neanche ci accorgiamo più di cosa sia il bene. Agli altri non si va in un secondo momento, quando si è già scoperto da soli e per proprio conto che cos'è il bene. Il senso di qualcosa d'altro entra piuttosto dall'inizio e in maniera costitutiva nel suo concetto, perché il bene interroga e smuove da come si è. Senza sapere di qualcosa di diverso da sé, per come si è, non può nascere il bene, né un dovere. Non è neppure questione di individui o di comunità. Ovunque si manifesti la pretesa di coincidere del tutto con se stessi, di centrarsi su di sé, si allontana il richiamo del bene. Vi sono epoche che sembrano a prima vista più sensibili a ciò che unisce, all'universale, e altre che paiono più inclini a rivendicare le diversità. Pur con le proprie peculiarità, questo vale allo stesso modo per la classicità (platonismo, aristotelismo, tomismo), per l'epoca della soggettività (Kierkegaard, Sartre, postmoderno), per il dibattito sull'altruismo (solidarietà). Il bene accomuna, ma non azzera. Il bene differisce, ma non isola. Porta oltre sé ma rifiuta ogni sintesi dell'umano. Tenendosi a distanza da cliché di comodo, attraverso tre articolati movimenti (archeologia, esistenza, condivisione) si restituisce in via teorica ed ermeneutica la struttura in tensione del bene verso l'altro da sé.
Il testo propone una ricostruzione storico-teoretica della prospettiva postumanistica, evidenziandone i principali snodi concettuali, a partire dalla NeueAnthropologie, dal pensiero di Foucault e di Deleuze, passando per la biologia evoluzionistica e l'infofilosofia fino a giungere alla tecnoscienza contemporanea, intesa come luogo di collisione e commistione del sapere e dell'agire umano. Accanto a tale ricognizione si propone una problematizzazione della semantica del postumano, sottolineandone il limite critico in una concezione riduttiva e riduzionista della natura umana, della quale, per contro, si propone un recupero dei significato classico secondo il suo concetto non naturalistico, per il quale essa non è riducibile a semplice e statica materia, ma è da intendersi come ciò che ha in sé il principio di movimento e di quiete. Una natura umana così intesa comprende in sé gli attributi principali del pensiero postu-manistico, in particolare dinamismo e ibridazione, restando nel contempo inscritta in un orizzonte ancora antropologico.