
Perché non possiamo non dirci liberali. L'avventura delle libertà dell'uomo, da Locke a Kelsen, in una storia che analizza le origini culturali ed etico-politiche del liberalismo, le sue concezioni dei rapporti sociali e politici, la continuità delle sue istanze e delle sue proposte, il suo rapporto con la democrazia nel passato e nel presente.
Sempre più spesso si preferiscono, per lo studio della comunicazione, approcci che privilegiano l'analisi psicologica, sociologica, politica o economica. Il volume curato da Claudia Bianchi e Nicla Vassallo, invece, si concentra sull'approccio filosofico e presenta contributi di esperti autorevoli di diverse discipline filosofiche: sintassi, pragmatica, semiotica, ermeneutica, retorica, epistemiologia. In particolare, raccoglie interventi di Andrea Moro, Eva Picardi, Claudia Bianchi, Ugo Volli, Maurizio Ferraris, Frans van Eemeren e Peter Houtlosser, Nicla Vassallo.
I contributi del grande pensatore tedesco in difesa di un concetto di ragione scettico, ma non rinunciatario, contro i nuovi tentativi di ritornare a forme di pensiero metafisico. Il libro tratta gli sviluppi del concetto di ragione comunicativa nel contesto delle attuali teorie del significato e dell'azione; il problema dell'inesprimibilità dell'individuale; le ragioni per cui i testi filosofici, malgrado il loro carattere essenzialmente retorico, non possono essere completamente identificati con la letteratura.
Chi è stato, ieri, e chi è oggi Dostoevskij per noi: un'introduzione magistrale alla comprensione della sua opera che raccoglie la sfida alla filosofia che essa contiene. Sergio Givone è ordinario di Estetica all'Università di Firenze.
È tempo di riabilitare le ombre, queste vecchie - e inquietanti - compagne dell'umanità dalla dubbia reputazione e sulle quali sono fiorite le storie più bizzarre: si narra di ombre che vivono di vita propria, o di altre che si ribellano ai loro proprietari come nella favola di Andersen. Anche Platone, nel mito della caverna, sostiene che chi guarda solo le ombre non ottiene vera conoscenza. Eppure senza le ombre non avremmo compreso la forma della luna o la struttura del sistema solare, né avremmo individuato gli anelli di Saturno, e le immagini ci apparirebbero piatte e senza sostanza. I nostri occhi sono infatti programmati per vedere le ombre e siamo in grado di ricostruire le dimensioni tridimensionali di un oggetto a partire dal cono che proietta. Dagli astronomi greci a Galileo e Keplero, dai mosaici romani ai dipinti di Masaccio, dalle prime misure della terra ai laboratori di psicologia infantile di Harvard, le ombre si sono rivelate un prezioso strumento di conoscenza oltre che un inesauribile stimolo alla curiosità umana.
"Qualche volta può capitare di guardare il mondo in modo diverso, di meravigliarsi che le cose stiano in un certo modo. In questi momenti accade di guardare il mondo 'con occhi greci' ovvero con gli occhi dei Greci." La meraviglia è consapevolezza della propria ignoranza e desiderio di sottrarvisi, cioè di apprendere, di conoscere, di sapere. Ecco perché proprio la meraviglia, secondo Aristotele, è l'origine della filosofia, ovvero della ricerca disinteressata di sapere. Stato d'animo raro e prezioso, la meraviglia è la sola espressione della vera libertà. Enrico Berti rilegge il pensiero dei grandi filosofi della classicità e costruisce un sorprendente percorso attraverso le domande senza tempo che la filosofia occidentale ha continuato a porsi, formulate per la prima volta dai Greci: che cos'è l'uomo, che cos'è la felicità, chi sono gli dèi, qual è il nostro destino?
La scienza può spiegare tutto? Qual è il rapporto tra ipotesi e osservazioni? Che differenza c'è tra una teoria scientifica e una filosofica? Se le teorie scientifiche mutano nel tempo, come possiamo definirle vere? In questa introduzione alla filosofia della scienza, si mettono in evidenza con chiarezza e sistematicità gli snodi concettuali e i punti di contatto tra scienza e filosofia, due modalità inseparabili di interpretazione del mondo.
I rapporti tra musica e filosofia sono sempre stati complessi e insidiosi. Da un lato, la filosofia ha visto nella musica un semplice allettamento dei sensi, fonte di piacere e di soddisfazione più che occasione di riflessione, dall'altro l'ha considerata come un'esperienza privilegiata di contatto con l'assoluto e con il divino, al punto da volerne quasi imitare forme e ritmi. Il primo capitolo del volume ripercorre gli snodi fondamentali della storia del pensiero musicale e si sofferma sullo scarto di consapevolezza che, a partire dal romanticismo, ha fatto sì che la riflessione filosofica sulla musica prendesse uno sviluppo e un'importanza prima sconosciute. Il secondo capitolo rilegge la tradizionale questione del ruolo del sentimento nell'arte dei suoni, inserendosi così in una discussione che è oggi tornata di attualità e occupa gran parte della riflessione dedicata alla musica dall'estetica analitica angloamericana. Il terzo capitolo prende in esame la questione della tecnica, richiamandosi alle elaborazioni critiche e teoriche proposte dai grandi autori dell'estetica musicale novecentesca - da Adorno a Dahlhaus - e confrontandosi con le tesi emergenti nell'ambito delle poetiche musicali contemporanee, da Xenakis a Boulez.
Da Talete a Platone a Hegel fino ai neopositivisti, i filosofi hanno sempre affermato che nonostante, la desertificazione, l'inaridirsi della nostra conoscenza esiste una sola verità, un solo mondo, e perciò una sola versione vera dell'unico mondo possibile. In un serrato confronto con questa tradizione di pensiero, Nelson Goodman rilancia, al contrario, le tesi del relativismo e del pluralismo: tutte le versioni del mondo sono, allo stesso tempo, capaci di vedere, interpretare e costruire il mondo e sono altrettanto vere e importanti nel sistema di riferimento cui esse appartengono.
L'autocoscienza è la base su cui ogni altra facoltà della mente acquisisce un valore personale e soggettivo. La comprensione della coscienza è una delle sfide più appassionanti. Forse nel prossimo futuro riusciremo finalmente a comprendere in che modo il dono fenomenico della coscienza emerga dalla massa molle del cervello umano. Nel frattempo, le conoscenze di cui già oggi disponiamo spingono a rivedere profondamente l'immagine intuitiva della natura umana. Non siamo così liberi come pensavamo: in queste pagine ci scopriremo creature guidate da mille automatismi dispersi in ogni angolo del cervello, e che condividono alcuni aspetti dell'autocoscienza con altre specie animali. Pietro Perconti ricostruisce la natura e la funzione dell'autocoscienza raccogliendo le evidenze che provengono dalla neuroscienza e l'etologia, la psicologia dello sviluppo e la filosofia del linguaggio, sullo sfondo comune della scienza cognitiva, la forma più moderna che la scienza della mente ha oggi assunto.
Hegel arriva a Jena nel 1801. Non è che un giovanotto di belle speranze, un trentunenne con qualche inedito nel cassetto e nessuna pubblicazione alle spalle. Quando ripartirà da quella città, nel 1807, sarà invece il celebrato autore della "Fenomenologia dello spirito". È in questa manciata di anni, dunque, che Hegel diventa Hegel; non serve altro per comprendere l'importanza nevralgica che gli scritti del periodo di Jena hanno nello sviluppo del suo pensiero. La "Filosofia dello spirito jenese" raggruppa frammenti di testo venuti alla luce in epoca relativamente recente, tra il 1931 e il 1932. Si tratta di manoscritti redatti da Hegel per uso personale e che, proprio in virtù di questa natura diaristica e autoreferenziale, riescono a introdurre il lettore dentro il "laboratorio" del filosofo, in quel luogo dove sembra che egli riesca a "guardarsi pensare".
In breve
Esistono valori universali? Dove possiamo collocare la dimensione comune a tutti gli uomini? Come concepire il dialogo fra culture? È infatti giunto il momento di abbandonare sia l’universalismo superficiale che il relativismo pigro: di riqualificare attraverso il loro versante negativo il carattere assoluto dei diritti umani; di ripensare il dialogo fra culture non più in termini di identità o differenza bensì, a partire dal piano comune dell’intelligibile, in termini di scarto e fecondità; di considerare le culture come tante risorse da esplorare, minacciate però dall’uniformazione del mondo contemporaneo. Solo la pluralità delle culture ci consentirà di sostituire il mito eterno e stereotipato dell’Uomo con l’infinito dispiegamento dell’umano che attraverso di esse si sviluppa e si riflette.
Indice
Premessa - Itinerario - I. L’universale - II. L’uniforme - III. Il comune - IV. Dalla nascita della «polis» all’estensione cosmopolitica del comune - V. L’altro piano: l’universale, categoria logica della filosofia - VI. Primo incontro tra universale e comune: la cittadinanza romana viene estesa all’impero - VII. San Paolo e il superamento dei comunitarismi nell’universalismo cristiano - VIII. Esiste una questione dell’universale nelle altre culture? - IX. Esistono nozioni universali? Statuto ideale di un universale culturale X. I diritti umani: concetto di universalizzante - XI. Né sintesi, né denominatore, né fondamento: da dove proviene il comune? - XII. Le «culture»: scarti linguistici e risorse del pensiero - XIII. Costruire il dialogo tra culture in opposizione all’uniformazione diffusa: l’auto-riflessione dell’umano