
Passare da Wittgenstein per arrivare a san Tommaso non è un percorso a ritroso, filosoficamente parlando. Lo sostengono importanti pensatori britannici della tradizione post-analitica come Peter Geach, Elizabeth Anscombe e Anthony Kenny, i quali propongono una lettura molto originale del Dottor Angelico e dell'autore delle Ricerche filosofiche. Roger Pouivet ricostruisce in "Dopo Wittgenstein, san Tommaso" i percorsi di una nuova e provocatoria corrente filosofica che ha preso il nome di "tomismo analitico" ed è una delle più coraggiose frontiere filosofiche di oggi.
La filosofia è sorta con la celeberrima divisione tra essere e apparenza: un atto che ha separato ciò che sta, immutabile e incontrovertibile, da ciò che da questo essere è retto. Il mondo dell'apparenza, interpretato come luogo del divenire, ha assunto i tratti del non essere, imponendo ai filosofi l'esigenza di mettere in relazione il non essere con l'essere ovvero di trovare una compatibilità tra contraddittori. La soluzione di Severino, qui ripercorsa in sei dense lezioni, ha il pregio della semplicità e il rigore di un ferreo argomentare logico. Egli nega al divenire l'evidenza fenomenologica che comunemente gli si attribuisce. È certamente vero che i fenomeni entrano ed escono dalla percezione della coscienza mortale, ma senza che questo debba essere attribuito a un loro presunto divenire. Che l'apparenza sia il luogo del divenire è piuttosto un modo filosofico per rendere ragione dell'apparire dell'apparenza. Su queste basi la proposta di Severino offre un superamento del dualismo essere-apparenza e aiuta a leggere l'apparenza come manifestazione necessaria ed eterna dell'essere.
Una lettura del pensiero di Emmanuel Lévinas alla luce del confronto con Kant, su un tema quanto mai classico: il male radicale. Non solo assumono nuovi significati i temi fondamentali della filosofia levinasiana, etica come filosofia prima, primato dell'altro, ma la stessa meditazione sulla tragedia della Shoa è riletta alla luce del concetto kantiano di male, come disposizione inscritta nell'animo umano. Disposizione di cui si è sempre responsabili.
I temi della fede e della religione, e del loro conflitto con la cultura laica, sono da qualche tempo al centro di un interesse mediatico crescente, alimentato anche dalle polemiche politiche suscitate dal moltiplicarsi degli interventi e delle "scomuniche" del papa e della Conferenza Episcopale Italiana contro la modernità. Mancava fin qui, tuttavia, un testo di discussione, da punti di vista diversi e reciprocamente problematici, sulle ragioni dell'ateismo e della fede. Un confronto tra gli esponenti di tre posizioni ideologiche molto lontane tra loro, accomunate però dal rifiuto di ogni appartenenza accademica: il cristianesimo nietzschiano del "pensiero debole" di Gianni Vattimo, la saggezza atea di una tradizione antica rilanciata da Michel Onfray e l'empirismo naturalistico-esistenziale della "filosofia del finito" di Paolo Flores d'Arcais. In questo insolito dialogo a tre voci emergono tutti gli interrogativi essenziali legati al problema, a partire da quello più generale: quali devono essere i rapporti tra filosofia e ateismo? L'"ipotesi Dio" deve ormai essere considerata superflua anche dalla riflessione filosofica, visto che le scienze ne fanno metodologicamente a meno? Quali sono le conseguenze etiche e politiche dell'essere atei o, all'opposto, credenti?
"Questo libro di Giovanni Fighera entra nel vivo della crisi della modernità, e analizza i fondamenti che l'hanno prodotta e che tuttora ne producono gli sviluppi in modo veramente impressionante": la libertà sciolta dai valori e dalla verità, la parcellizzazione del sapere, il relativismo, l'ideologia scientistico-tecnicistica. "Fighera si fonda soprattutto su testi di poeti e di letterati, che dimostra di conoscere molto bene, citando in modo puntuale molti loro passi particolarmente significativi". Così si esprime Giovanni Reale nella Prefazione, mentre Gianfranco Lauretano nell'Invito alla lettura soggiunge che attraverso un documentato percorso storico (dall'antichità alla contemporaneità) si delinea la "questione che l'autore ritiene fondamentale: senza il Mistero, il mondo è più piccolo e assurdo, soprattutto la parte più interessante del mondo, cioè l'io, la persona". L'uomo, come dimostra la sua storia, soprattutto in questa età post-moderna, non è autosufficiente, non è in grado di salvarsi da solo. Bisogna fondare un nuovo umanesimo, che per Fighera deve riscoprire Dio e riappropriarsi della legge morale universale guardando di nuovo alla ragione umana non più intesa in modo riduttivo. "Questo Tu che ha creato il mondo apre le porte all'amore, vero fulcro della conoscenza, e all'appartenenza a esso, per cui la solitudine che contraddistingue i contemporanei è sconfitta con l'adesione e l'appartenenza alla Verità."
La pandemia da Covid-19 ha profondamente modificato i comportamenti, le abitudini e gli stili di vita dei cittadini. Alla situazione che ne è derivata fa riferimento questo bel volume dal titolo curioso "Il fico sterile", che adotta un genere letterario inconsueto, scegliendo come interlocutore l'homo sapiens e rivolgendosi a lui, non senza un velo di elegante ironia, attraverso una lunga lettera in cui si alternano a giudizi molto severi sul modello socio-culturale dominante proposte positive di cambiamento. Il volume non si limita tuttavia a rilevare i limiti e i mali della situazione presente; offre piuttosto indicazioni e piste preziose per la promozione di una alternativa, che esige per essere attivata un cambio di paradigma, sia a livello della coscienza personale che della struttura sociale. (dalla «Prefazione» di Giannino Piana)
Una delle massime aspirazioni dell'essere umano è quella di ottenere il rispetto e il successo sociale. E, corrispettivamente, una delle maggiori angosce è quella di perdere tale rispetto, di diventare dei perdenti agli occhi dei più. L'autore si interroga sulla provenienza di queste ansie e dei metodi per contrastarle. Facendo appello alla psicologia e alla storia, alla filosofia e all'economia, illustra i modi in cui sia i singoli individui sia i gruppi si sono nel tempo confrontati con queste ansie. Scopriamo così che l'ansia da status è un sentimento che accompagna l'uomo da sempre.
La logica della religione offre un quadro della natura della religione in prospettiva filosofica presentando attraverso la successione dei capitoli gli autori classici, medioevali e moderni dalle concezioni piu' rappresentative. Anche tra coloro che non riconoscono un'evidenza all'esistenza di Dio si trovano elementi rilevanti di discussione sulla natura della religione e sulla sua funzione nella societa'.
Il ventunesimo secolo si caratterizza in particolar modo per qualcosa che nella storia dell'umanità non era mai stato in dubbio: l'origine dell'uomo. E il venir meno di questa certezza investe, per la sua enorme portata, sia la sfera più intima sia lo spazio politico, producendo ricadute che impongono scelte pubbliche e che, per questo, hanno la forza di condizionare l'agenda delle priorità politiche, generando inedite conflittualità e linee di frattura non scontate.
Fulcro e incipit di una serie di riflessioni socratiche concepite nell'arco del decennio 1940-50, il presente saggio è incentrato sulla tesi - prettamente socratica - ma comune al modo di pensare di tutti gli antichi greci, secondo la quale l'etica sarebbe in ultima analisi fondata sulla conoscenza e, per questo motivo, scevra da ogni volontarismo. Con eruditi esempi si dimostra come sin dall'epoca omerica il greco non "vuole" ma "conosce" il bene etico, contemplandolo alla luce delle fattezze delle divinità che a lui si rivelano. Per Socrate ogni vera virtù è conoscenza e conoscere la virtù equivale ad essere virtuosi. Secondo Otto, l'etica socratica sarebbe quindi un' "etica del sapere", in cui agire dipende unicamente dalla conoscenza del "bene" morale.
"La liberté cartésienne" di Jean-Paul Sartre è uno scritto emblematico nella storia della filosofia del Novecento. Pubblicato nel 1946, subito dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, ripropone il problema del libero arbitrio a ridosso di un momento storico in cui la libertà era stata soffocata in gran parte d'Europa. Il saggio apparve nella collana "I classici della libertà", fondata da un importante studioso dello "spirito borghese", Bernard Groethuysen. Secondo il modello editoriale, cui partecipò anche lo storico Lucien Febvre, il saggio introduceva a un autore che documentava con i suoi scritti la continuità e la trasformazione dell'ideale "classico" di libertà nella storia della coscienza europea. La nozione di libertà che Sartre delinea trae origine dal recupero del concetto di libertà, così come pensata da Cartesio, caratterizzata dalla possibilità e dall'autonomia della scelta. Al di là dei confini confessionali, il libero arbitrio è proposto come un valore "transtorico", "secolarizzato", oggi si direbbe dell'uomo multiculturale. Sartre considera Cartesio come il filosofo che in un'epoca "autoritaria" pensa la libertà dei moderni. A lui fa risalire con la dottrina del cogito, la dottrina della democrazia. Questo testo sartriano, inedito in Italia, viene qui presentato insieme con i brani di Cartesio ai quali Sartre fa riferimento. L'edizione offre così una lettura comparata e quasi un dialogo tra due maestri del pensiero occidentale.