
In questo libro, le definizioni di etica e laicità non sono poste - come spesso si intende - in un ruolo ancillare rispetto alle religioni, ma in una loro precisa autonomia, come vera e propria risorsa in grado di garantire il futuro spirituale dell'umanità. Una riflessione di grande acutezza e modernità sulla falsariga di quella filosofia della concretezza che ha caratterizzato il pensiero del grande filosofo americano. Introduzione di Gianni Vattimo.
L'uomo tende a interpretare tutto quanto non rientra nella propria esperienza diretta o nel cerchio rassicurante della tribù come un pericolo, una minaccia anche mortale. Di qui i suoi atteggiamenti aggressivi, per cui il diverso e l'altro vengono intesi come un nemico potenziale o reale. Un pregiudizio che continua ad alimentare i tanti conflitti che squassano le società contemporanee. (Introduzione di Ernesto Ferrero)
"Ho esposto la mia propria concezione della persona nei due saggi Muore il personalismo, ritorna la persona... e Della persona: le linee originarie tra il personalismo di Mounier e la mia concezione della persona vi sono tracciate con precisione...". Nel primo saggio, celebre anche per il titolo paradossale, Ricoeur ricostruisce la morte del personalismo come prospettiva filosofica, e mostra - di contro alla irreversibile crisi di concetti come soggetto, coscienza, io - l'attualità della persona come problema insieme etico e teoretico. Nel secondo saggio, tracciando una perspicua sintesi della sua Summa (Sé come un altro), Ricoeur analizza le categorie che qualificano la persona come una "attitudine": il sé intrinsecamente mediato dall'altro e relazionato al "ciascuno", l'identità narrativa con la sua dialettica di mutamento e permanenza; una costellazione di categorie ritmata dalla struttura ternaria dell'ethos: auspicio di una vita compiuta, con e per gli altri, all'interno di istituzioni giuste. In breve: Muore il personalismo... e Della persona rappresentano i capitoli di una piccola fenomenologia ermeneutica della persona.
"Il lirico -- insieme alla preghiera personale, che pone al centro del rapporto la propria persona e il suo patema -- è il luogo, "eterno ed universale", dove la coscienza umana scopre L'"esistenza" e il sé si lega, nei flutti del principium individuationis, all'albero dell'Io per non soccombere".Una definizione a partire dalla quale l'autore si interroga sulla relazione tra lirica e filosofia nell'età moderna -- ove il soggetto da presupposto diviene problema -- e in Qohélet, ove lo sguardo poetico getta una fredda luce sulla creaturalità dell'esistenza e fa da controcanto alle certezze della sapienza. Quasi che lirica e filosofia, con movenze linguistiche diverse, si incontrino al cospetto di quell'enigma che va sotto il nome di uomo.
Due esperienze della relazione tra l’uomo e il divino. Questi sono Edipo e Giobbe, assunti qui come modelli dell’esistenza. Da un lato il mito greco, nel quale si racconta l’enigma del rapporto tra l’uomo e il suo destino. Il male è causato involontariamente, questa è la colpa di Edipo: è una contraddizione, che contrassegna per i Greci il finito. Dall’altro lato, la disputa tra il giusto, Giobbe, e il suo Dio: «Perché proprio a me, innocente, capitano queste disgrazie?». Una domanda che diventa tensione della fede e ne mostra la natura paradossale: Giobbe «ama Dio, senza nulla in cambio».
Una colpa involontaria, una sofferenza incolpevole: due modelli distanti non solo culturalmente, ma ancora prima logicamente. È la differenza tra tragedia e mistero, tra un mondo in cui il destino decide e una storia in cui un Dio salva. La cultura dell’Occidente può essere vista come un instabile convivere di questi due modelli di elaborazione del dolore. Sono orizzonti di senso che, nonostante il venire meno delle memorie di cui è intessuta una tradizione culturale, persistono anche nell’oggi quando l’uomo si trova di fronte alle situazioni limite.
Che cosa fa del calcio un gioco, degno di riflessione, e non soltanto uno sport, segno di una società di massa? Bernhard Welte, nei due saggi tradotti (del 1978 e del 1982), sorprende nel gioco del calcio, quale insieme di regole e disciplina, una razionalità filosofica. O, come ben evidenzia il curatore, il significato del pallone non solo come sfera, emblema religioso e metafisico della perfezione, ma anche come veicolo di una dimensione antropologica ulteriore. Il pallone mette in gioco una finalità – la vittoria – trasformando i nemici in avversari, e rende così possibile per l’uomo ciò che nella realtà gli pare negato dal determinismo.
Di più, il pallone, insieme a norme e leggi del tutto speciali, mette in campo la libertà dell’uomo, quella che può fare del suo ideale una realizzazione compiuta nella forma di una convivenza possibile.
COMMENTO: Testi inediti da parte di uno dei maggiori filosofi della religione del Novecento, che riscostruisce la filosofia del gioco del calcio. Un libro per tutti.
BERNHARD WELTE (1906-1983) è stato tra i maggiori filosofi della religione nella seconda metà del Novecento. Tra le sue opere pubblicate da Morcelliana ricordiamo: Maria la Madre di Gesù (1977); Dialettica dell’amore. Fenomenologia dell’amore e amore cristiano (1986); Che cosa è credere. Riflessioni per la filosofia della religione (1983-20013).
ORESTE TOLONE insegna Antropologia filosofica all’Università di Chieti. Per Morcelliana ha pubblicato Bernhard Welte. Filosofia della religione per non-credenti (2006) e curato di Bernhard Welte, Sul male. Una ricerca tomista (2008).
Vi sono luoghi del pensare, nei grandi filosofi, che reiterandosi hanno segnato la cifra non solo del loro stile ma della stessa filosofia. Per Emmanuel Levinas questa cifra è il dialogo, o l'intervista. Quella qui presentata è appunto un esercizio di pensiero. Nel dialogo traspare l'etica del volto, dell'altro, come prossimo e come Dio. Il volto che sta dinanzi è apertura: rende possibile pensare il 'Totalmente Altro' dall'Essere e dal Logos ' rovesciando la tradizione occidentale. Pensare, a partire dalla Parola dell'infinito udibile nel volto dell'altro nella cui nudità risplende la traccia di Dio, è possibile solo nel rispetto della sua alterità, della sua solitudine, del suo mistero. Da queste pagine, come un cristallo della filosofia di Levinas, riluce l'interpretazione della metafisica come filosofia prima in quanto etica.
Da dove proviene il male?, si chiede Kant. Il male è radicale, è inscritto nell’uomo proprio in quanto libero. Una prospettiva con la quale la filosofia contemporanea non ha potuto esimersi dal fare i conti – si pensi alla dialettica tra radicalità e banalità del male come costante interrogazione nel pensiero di Hannah Arendt. Una domanda che Jaspers già aveva preso sul serio, rispondendo alla Arendt: «questo male è banale, non il male». Perché il male ha una natura così problematica da non potersi ridurre a opposizioni. La stessa radicalità di cui parla Kant non va intesa come un “corpo estraneo” con cui giustificare la tensione fra caduta originaria e libero arbitrio dell’uomo. Jaspers si spinge oltre l’idea di libertà: il male è enigma e di esso si può dire solo dove non può avere fondamento. Non appartiene alla sensibilità – perché non siamo padroni delle nostre inclinazioni naturali – né alla ragione che è depositaria della legge morale. Il male, come figura del limite umano, in queste pagine pare persino dischiudere all’uomo la possibilità della “grazia”: essa non è forse anche guadagnata dall’uomo, e non solo gratuitamente “data” da Dio? Una prospettiva che pone Jaspers nel solco del pensiero religioso liberale.
Lo gnosticism o "spirit gnostico" costituisce l'essenza dell'epoca tardo-antica, visibile in Filone, in Origene e persino nell'antignostico Plotino: letteralmente "conoscenza", fa perno sull'angoscia dell'uomo e sull'idea di "fuga dal mondo". Per la sua naturale mescolanza di elementi mitologici e cristiani, ermetici e mistici, non è però circoscrivibile storicamente a un solo ambito, religioso o culturale. Una prospettiva dualista che, opponendo tenebre e luce, sfera mondana e sfera divina, è il sostrato del pensiero occidentale dall'antichità all'età moderna, ma anche del Novecento - con Heidegger, Barth, Benjamin… Questo stesso è il nucleo della speculazione di Hans Jonas, ed è presentato qui nei suoi lineamenti, frutto di un lungo scavo filologico, come "principio gnostico". Un pensare la contraddizione, e guadagnare la verità, che diventa modello ermeneutico: sul piano esistenziale si traduce nel rispondere all'angoscia del mondo con il "principio responsabilità" che, rovesciando la gnosi nel senso di appartenenza al reale, ci rende soggetti liberi di agire.
Hans Jonas (1903-1993) è stato tra i maggiori filosofi della seconda metà del Novecento.
Claudio Bonaldi collabora con l'Università di Milano per la cattedra di Filosofia morale.