
"L'immagine infranta" descrive la parabola del moderno attraverso una fitta trama di rapporti tra romanzieri e poeti (da Cervantes a Celan), filosofi (da Vico a Benjamin), pittori e scultori (da Manet a Fontana, a Pollock). Il filo conduttore è la crisi del linguaggio figurale: il mondo non offre più un'immagine stabile di sé, né il "pensiero" sembra capace di creare nuove immagini per dare ordine al mondo. La profondità di questa crisi, che ha raggiunto la stessa origine dell'esistenza umana, quell'"iconologia della mente" che ha segnato il passaggio da natura a storia, è testimoniata dalle decisioni estreme di due tra gli artisti più significativi del nostro tempo, Pollock e Celan, che non esitarono a "ripetere", per stanchezza, e disperazione, il gesto dell'Empedocle holderliniano - già compiuto, in altra forma, da Nietzsche. Tramonto o nuova alba? "L'immagine infranta" termina con questa domanda, che è anche una speranza: e se la crisi del linguaggio immaginale fosse il prezzo necessario per aprirsi alla possibilità di un linguaggio più umile, ma insieme più largo e profondo? Il linguaggio del corpo e della natura, il linguaggio che non "immagina", che non "fa-segno", ma è la cosa stessa: l'"essere-accanto" di uomini e cose, tra "pietre ed erbe".
"Qualche studente si è talvolta lamentato con me di non trovare nella filosofia risposte definitive, come desiderava. E la stessa cosa mi è stata detta più volte da varie persone, che respingevano la filosofia per le sue contraddizioni. In risposta, io citavo loro un pungente aforisma di Nicolas Gómez Davila: 'la filosofia è proprio l'arte di contraddirsi reciprocamente senza annullarsi'; e, aggiungevo, non solo senza annullarsi, ma arricchendosi dialetticamente proprio in questo contraddirsi. L'uomo può trovare nella filosofia quelle ali che gli permettono di volare molto in alto, e di realizzare, in questo continuo cercare, la sua vera natura." (Giovanni Reale)
È un bestiario ma non vi spiega come convivere con i gatti o come capire il "linguaggio" dei cani: è un libro che parla soprattutto di noi umani, e dell'animalità che attraversa le nostre vite. Un alfabeto della diversità che racconta da più punti di vista - attraverso la filosofia, la storia dell'arte, la scienza - il rapporto simbiotico tra l'uomo e il mondo animale. Un percorso curioso per scoprire che gli animali sono ovunque, dalle foto di famiglia alla filosofia di Hegel, mentre noi sappiamo molto più delle galassie distanti anni luce che dei desideri di un pesce rosso. Un piccolo atlante (non solo) filosofico, in cui gli animali sono il pretesto per parlare dell'uomo, delle sue passioni e delle sue paure.
"In questo libro, Markus Gabriel prende sul serio la risposta che a metà del secolo scorso il filosofo americano Willard Van Orman Quine aveva dato all'interrogativo ontologico 'che cosa c'è?'. 'C'è tutto'. Per Gabriel tutto esiste allo stesso modo, dagli atomi a Sherlock Holmes, e l'unica cosa che non esiste è il mondo, perché non c'è un campo di senso capace di accoglierlo al suo interno. Gabriel può dire 'tutto è reale, purché non lo si prenda per più di quello che è'. L'esistenza non si riduce dunque agli oggetti naturali, ma viene a comprendere un catalogo più rigoglioso dell'enciclopedia cinese di Borges, fatto di unicorni, fate, tasse, notizie giornalistiche e così via..." (Maurizio Ferraris)
Includere tutto quanto non può essere escluso dal discorso estetico. Questo potrebbe essere il principio orientativo che ha sempre guidato la ricerca di Gilio Dorfles nel campo dell'estetica, cominciata sullo spartiacque tra primo e secondo Novecento filosofico. Questo anche potrebbe riassumere il criterio adottato nell'ordinare un così possente "libro di una vita", che appare in tal misura ampio perché la vita intellettuale del suo autore è stata di particolare ampiezza. A suo confronto, le restrizioni schematiche di tanti indirizzi filosofici o estetici solo accademici paiono preoccupazioni di una scolastica che ha premura di creare partizioni. Che cosa è estetica, che cosa rientra in essa e che cosa no. Questo libro, invece, raccogliendo tutto intero un orientamento sin dalla sua origine, sin dal primo grado della sua iniziazione, potrà somigliare a una grande introduzione, anziché a un libro consuntivo. Ampiezza, dunque, secondo i canovacci della disciplina che non possono essere scissi, che già i fondatori della stessa (e tra di essi Vico e Baumgarten) dettavano come suoi protocolli, consapevoli che delimitare un sapere come l'estetica vuol dire circoscrivere un sistema "complesso".
Dai saggi raccolti in questo volume emerge una serrata critica della “tradizione signorile” del mondo americano. Con questa espressione, che ebbe subito tanto successo nonostante non si trattasse di un termine encomiastico, George Santayana formula una condanna generale non solo della filosofia e della cultura dominante, ma anche della mentalità comune americana, a suo avviso uniformemente plasmata dal moralismo puritano del New England, lo stato americano con il più antico passato storico e culturale. Secondo la sua visione, la tradizione signorile è il collante e il motore di questo mondo, con uno strano duplice effetto: propulsivo e retrogrado.
Il termine "nuovo realismo" può essere a pieno titolo considerato la parola chiave della filosofia continentale contemporanea. In un movimento che abbraccia pensatori provenienti da tutto il mondo, questa corrente di pensiero si oppone all'antropocentrismo che ha caratterizzato la filosofia occidentale da Kant in poi, sostenendo un ritorno alla realtà oggettiva: c'è un mondo che esiste "là fuori", indipendente rispetto all'intelletto umano, che anzi resiste a quest'ultimo e ne smentisce ipotesi e aspettative. Questa raccolta di saggi include i contributi di diversi filosofi collegati al nuovo realismo nelle sue varie espressioni: Maurizio Ferraris, che ha reso il movimento celebre in Italia, Quentin Meillassoux, pensatore estremamente influente e principale ispiratore del realismo speculativo, Tristan Garcia, Markus Gabriel, Graham Harman, Peter Gratton e Lee Braver.
Perché la scienza produce conoscenza? Qual è la natura della verità scientifica? Quale può essere la portata dell'oggettività della conoscenza scientifica e quali sono i suoi precisi contesti? Che rapporti sussistono tra le conoscenze scientifiche e quelle conquistate da altri ambiti di ricerca? Il più autorevole filosofo della scienza italiano risponde a queste domande che hanno variamente animato il dibattito epistemologico, filosofico e culturale contemporaneo, offrendo una prospettiva nuova e originale in un opus magnum frutto di quasi tre decenni di ricerca. Ne scaturisce una coerente affermazione di "realismo scientifico" che va oltre la tradizionale epistemologia per recuperare la dimensione ontologica, operativa ed ermeneutica della conoscenza, delineata dal sempre più articolato patrimonio tecnico-scientifico contemporaneo.
La Società filosofica italiana (SFI) è la più antica istituzione della filosofia in Italia, che ha avuto una presenza costante nella sua cultura. Essa ha attraversato i tre grandi periodi della storia istituzionale italiana dall'Unità ad oggi: liberale, fascista, democratico, riuscendo a fare dei congressi il luogo di confronto tra i diversi orientamenti. Nata nel 1906, ha tenuto fino dagli anni Cinquanta al 2013 ben trentotto congressi (circa uno ogni tre anni), dei quali in questo lavoro si fornisce una cronaca delle relazioni e dei dibattiti, sottolineando il ruolo che ha avuto il contesto culturale e politico. Inoltre, la SFI ha sollecitato la nascita di sue sezioni in molte città, che in tempi e modi diversi hanno organizzato seminari, convegni, conferenze su argomenti filosofici. Essa ha promosso la presenza della filosofia nella scuola italiana, contribuendo a rinnovarne l'insegnamento e promuovendo corsi di aggiornamento e sperimentazioni.
Gli scritti raccolti in questo volume, larga parte dei quali tradotti in italiano per la prima volta, o proposti in una traduzione aggiornata, mettono in luce il tentativo d'insieme compiuto da Lorenz di costruire un modello di conoscenza perfettamente in linea con gli indirizzi della filosofia della scienza contemporanea. Tenendo ben saldo il legame con la teoria dell'evoluzione, Lorenz ribadisce la necessità di considerare la cultura come vincolata alla base biologica, di cui ne riproduce in forma simbolica e ritualizzata processi e tappe. Per questi motivi tanto i conflitti generazionali e parentali, quanto le più severe questioni metodologiche della scienza e della storia possono essere meglio compresi se ricondotti alla domanda fondamentale della biologia "A cosa servono?", piuttosto che chiedersi, più scontatamente, perché esistano.

