
"Bello" è un termine che possiede un'ampia gamma di usi. Può esprimere ciò che riconosciamo piacevole ai sensi ("una bella canzone") o ciò che suscita ammirazione e soddisfazione ("una bella serata"). Come sostantivo, "il bello" designa invece il concetto astratto, la specificità stessa della bellezza. Se però andiamo oltre il senso comune occidentale, scopriamo che lo stesso non vale dappertutto. La cultura cinese, per esempio, non distingue fra l'attributo concreto e il valore astratto e, anzi, ha finito per importare la nostra idea di bello solo alla fine dell'Ottocento, proprio quando in Occidente se ne decretava la morte. Da questo decisivo scarto linguistico Jullien prende le mosse per condurre una raffinata riflessione sui limiti e sul valore relativo delle categorie di pensiero più radicate.
Fra le tragedie shakespeariane, "Amleto" è una delle più misteriose e ambigue; per intenderne il senso, sostiene Carl Schmitt in questo piccolo saggio magistrale, occorre far riferimento a un nucleo di eventi storici di cui Shakespeare fu spettatore, in particolare alla vicenda di Maria Stuarda e di Giacomo I, successore di Elisabetta I al trono d'Inghilterra. Ma a Schmitt non interessa tanto identificare questi con i personaggi di Amleto e della madre Gertrude, quanto vedere come la politica lasci la propria impronta sulle più alte manifestazioni espressive di un'epoca: il genio di Shakespeare sta nell'aver riconosciuto l'elemento politicamente tragico del suo tempo (il destino degli Stuart e la nascita dello Stato moderno) e nell'averne conservato, all'interno del dramma, l'essenza concreta e vitale. Presentazione di Carlo Galli.
I saggi qui raccolti, contraddistinti dalla piacevole scorrevolezza delle lezioni da cui originano, costituiscono l'essenza delle riflessioni di Paul Ricoeur sui temi della memoria e dell'oblio. Ma sono anche un contributo al dibattito storiografico che ossessivamente propone di non dimenticare. Ricoeur propugna una cultura del perdono in cui il passato gravato dalla colpa non viene cancellato o rimosso, ma mediante il riconoscimento del ricordo dell'Altro, ne allevia o toglie il peso. Una ventata d'aria fresca, si potrebbe dire, anche per il nostro paese dove il furore della memoria accende talvolta il dibattito pubblico e impedisce analisi più pacate.
Ognuno di noi ha provato la netta e improvvisa sensazione di aver già vissuto, in un passato indefinibile, situazioni assolutamente identiche. Tale anomalia ha però cominciato ad attirare ossessivamente l'attenzione di scienziati, filosofi e poeti solo a partire dalla prima metà dell'Ottocento. Attraverso l'analisi di poesie di Shakespeare, Rossetti, Verlaine e Ungaretti, delle teorie filosofiche di Bergson, Benjamin e Bloch e di ipotesi mediche del passato e del presente, Remo Bodei offre una ricostruzione delle diverse storie che si intrecciano su questo tema, e propone una rigorosa spiegazione del fenomeno.
Hilary Putnam interviene con questo libro su due temi centrali nel dibattito culturale del nostro tempo: il rapporto tra filosofia e scienza e la questione del realismo. Guardando alla scienza naturale, alla matematica e alle scienze cognitive, ma anche all'etica e alla teoria dell'educazione, Putnam si muove per ricomporre la nostra frammentata cultura in un quadro coerente, in cui trovano il giusto spazio sia le istanze conoscitive della scienza sia le domande di emancipazione umana provenienti oggi dalla filosofia, dalle arti e dalla società nel suo complesso. Quanto al realismo, dopo un'esperienza anti realistica che oggi considera inadeguata, l'autore torna qui ad abbracciare una raffinata forma di realismo pluralistico, che rappresenterà certamente un decisivo punto di svolta nel grande confronto sul New Realism oggi in corso anche nel nostro paese.
L'autore ripercorre la storia millenaria del concetto di "Uguaglianza", una storia che si svolge tra luminose speranze e contraddizioni cocenti. Nel mondo antico l'uguaglianza è limitata dalla differenza gerarchica, fino al paradosso di Atene, culla della democrazia europea e, insieme, luogo di schiavitù. Più tardi, proprio dall'uguaglianza la cultura cristiano-medievale muove nei termini di una fratellanza universale, salvo ricavarne la necessità della subordinazione dell'uomo nella vita terrena. E ancora la filosofia politica moderna costruisce lo Stato partendo dall'assioma di un'uguaglianza naturale tra gli individui, che però nella realtà si trova a fare i conti con coppie dialettiche quali cittadino straniero, proprietario-proletario, padrone-schiavo, uomo-donna. Infine, l'oggi: un tempo incerto, caratterizzato dai fenomeni globali che sfidano l'uguaglianza sul terreno della sua contraddittoria universalità.
Dopo le mnemotecniche rinascimentali dell'ormai classico "Clavis universalis", Paolo Rossi non ha mai smesso di occuparsi dei teatri della memoria. E in questo libro mostra come, lungi dal costituire un fossile intellettuale, l'arte della memoria abbia subito una serie di rinascite e trasfigurazioni. Ad esempio, le immagini costruite per ricordare che compaiono, fra Cinque e Seicento, negli scritti dei Gesuiti, nella manualistica per i confessori, nei catechismi per gli illetterati, ricompaiono oggi nelle scuole per pubblicitari. Memoria e immaginazione non sono dunque facoltà contrapposte, come vuole certa disinvolta pedagogia antinozionistica.
Che cosa fa di un'immagine un'immagine, ossia una rappresentazione pittorica? Che cosa rende un'immagine del tutto diversa da altre rappresentazioni, per esempio dai segni verbali? Sono interrogativi che risalgono alle origini della riflessione occidentale e sono variamente diffusi in molte tradizioni di pensiero. Ma in filosofia sono stati affrontati in modo sistematico soltanto di recente, a partire dal Novecento, per essere poi oggi discussi in una vera e propria esplosione di teorie. Al punto di vista più tradizionale, che lega la pittorialità dell'immagine a fattori di ordine percettivo o esperienziale, si è affiancato una concezione semiotica o strutturalista, che inscrive l'immagine in un particolare tipo di sistema di segni. E tuttavia, come mostra l'autore, l'antica e ingenua idea già considerata da Platone che per raffigurare qualcosa bisogna somigliare all'oggetto raffigurato ancora si insinua nel pensiero attraverso l'insufficienza di tutte le nuove teorie.
Heidegger ha sempre concepito il suo pensiero come un vero e proprio destino, presentando i problemi filosofici come strutture fondamentali dell'esistenza umana e insieme interpretando le soluzioni date a quei problemi nel corso della tradizione occidentale come eventi epocali nella storia dell'essere. Questo libro, pensato come una nuova e completa introduzione all'opera heideggeriana - dalla sua genesi alla fine degli anni Dieci sino agli ultimi esiti agli inizi dei Settanta -, mostra che in realtà tale "destino" è dipeso da scelte precise compiute dal filosofo e invita ad attraversare ancora una volta una riflessione senza la quale non si potrebbe capire a fondo la sfida del nostro tempo.
Nel panorama della filosofia contemporanea, contrassegnata dalla crisi della razionalità e dei grandi sistemi metafisici, il pensiero di Jacques Maritain rappresenta un'innegabile quanto encomiabile "eccezione": in lui vi è ancora la fiducia nella ragione e nelle sue possibilità cognitive. Il pensiero di Maritain, anche se costituisce un sistema in cui "tout se tient", può essere affrontato da varie angolature. Il volume ricostruisce una sorta di unità del sapere intorno al tema di un'estetica della bellezza, vista come plesso teorico-pratico di molteplici intersezioni, che vanno dal rapporto tra individualità personale e comunità politica alle dimensioni etiche e pedagogiche dell'esperienza umana. Tale prospettiva si articola su quattro tematiche principali: la dimensione etica della responsabilità, iscritta in un quadro ontologico di riferimento; la responsabilità nella sua dimensione educativa; la bellezza declinata nelle sue valenze etiche e pedagogiche; il superamento dell'individualismo attraverso la ricomprensione della sfera sociale e politica. Il volume fornisce un contributo allo studio di Maritain, riproponendone il pensiero come un invito a superare gli steccati eccessivamente specialistici che caratterizzano vasti settori del pensiero filosofico e della cultura del Novecento.
Dalle risate confezionate delle sitcom americane al sorriso enigmatico della Gioconda, il libro coglie la radice autentica del comico nella frattura, nella discontinuità, nella contraddizione, nell'anomalia che solleva le quinte della realtà ordinaria, facendoci intravedere le possibilità che vi sono nascoste. Nella risata noi siamo come i personaggi dei cartoon che scoprono, tutto d'un tratto, di camminare sospesi nell'aria (e poi precipitano). Di qui il senso di sollievo e di liberazione racchiuso nel riso, che ci fa prendere le distanze dal mondo così com'è, rovesciandone la forza di gravità.
Fra i molti effetti che ha prodotto, la globalizzazione ha anche moltiplicato e intensificato le domande sociali di identità rivolte al sistema politico democratico. Da più parti all'autorità politica si chiedono oggi comunità morali omogenee, immuni dalla diversità e dal pluralismo degli stili di vita. Questo ha finito con il mettere sotto pressione il carattere laico o neutrale delle istituzioni e delle norme pubbliche. Contro questo stato di cose prende adesso posizione Salvatore Veca, che pronuncia una difesa lucida e appassionata della laicità come virtù assoluta delle istituzioni e delle scelte pubbliche.

