
Il volume raccoglie alcuni saggi scritti dall'autrice nel corso degli anni sul tema delle virtù e dei vizi, e qui poi rielaborati in una visione unitaria, nella convinzione che "una filosofia morale valida deve partire proprio da una teoria delle virtù e dei vizi". Ricollegandosi anche stavolta a una tradizione antica che da Aristotele passa a Tommaso d'Aquino per poi giungere al pensiero contemporaneo, la Foot affronta alcuni problemi centrali nel dibattito etico: il carattere benefico e correttivo delle virtù morali in quanto tali, il problema delle argomentazioni e delle credenze morali, il rapporto tra bontà e scelta, la dimensione sociale dell'approvazione e della disapprovazione morale.
Parla senza ascoltare, ha sempre ragione: è presuntuoso. Ha soldi e potere, tutto gli è dovuto: è borioso. E' bello e irraggiungibile, concentrato sul proprio corpo: è vanitoso. Sono questi oggi i superbi, esseri meschini, nei quali sembra difficile rintracciare qualcosa del bellissimo Lucifero che si ribella a Dio, o della tracotanza di Prometeo che ruba il fuoco o degli eroi omerici puniti dagli dei per la loro temerarietà e ambizione. La superbia occupa, nella gerarchia dei vizi, un posto speciale, ne è la regina perché radicata nella condizione originaria dell'uomo come male ambiguo, come desiderio di conoscere ma al tempo stesso di eccedere la misura. Queste pagine ci avvicinano ai grandi superbi della cultura occidentale: da Adamo ed Eva ai tiranni prigionieri delle ideologie, fino ai protervi paladini della tecnoscienza che manipola la vita, e alle figure banalmente arroganti dei nostri tempi. Con un interrogativo: la superbia ha definitivamente abdicato al suo senso eroico in favore della vanità e del narcisismo?
Laura Bazzicalupo insegna Filosofia politica nell'Università di Salerno. La sua area di ricerca è la biopolitica. Tra le sue pubblicazioni più recenti "Il governo delle vite. Biopolitica ed economia" (Laterza, 2006) e "Politica, identità, potere. Il lessico politico alla prova della globalizzazione" (Giappichelli, 2004).
E' il vizio che si vede, perché inscritto nella carne, oltre che nell'anima: cosa si può dire che non sia già stato detto sulla gola, sul vizio che con la sua diffusione planetaria è alla base del fenomeno dell'obesità globale o "globesity", come viene chiamata l'epidemia mondiale del sovrappeso? Si possono illustrare, accanto ai caratteri tradizionalmente attribuiti a questo peccato, tutti gli aspetti moderni che l'hanno modificato, attraverso gli eccessi del fast food e della McDonaldizzazione da un lato, e la ricerca dello slow food, del cibo genuino, biologico dall'altro. Il libro ripercorre le vicende dell'ingordigia, dagli smisurati e tragici banchetti del mondo antico ai menu del commissario Montalbano, dagli abusi gastronomici delle tavole imperiali all'insaziabile ingurgitare di Pantagruele. Se il rapporto col cibo è sempre stato difficile, ancor più difficile è trovare una misura tra concessione e proibizione. Ma poi peccato o malattia? Vizio volontario o predisposizione genetica, come si chiedono oggi dietologi e medici?
Francesca Rigotti insegna nelle Università di Lugano e di Zurigo. Per il Mulino è autrice di "La filosofia in cucina" (II ed. 2004), "Il filo del pensiero. Tessere, scrivere, pensare" (2002) e "Il pensiero pendolare" (2006). Ha inoltre pubblicato "Il pensiero delle cose" (Apogeo, 2007).
Non solo pigrizia ma anche tristezza, sconforto, inquietudine, indifferenza, noia, e soprattutto depressione. Se nasce come peccato capitale nella visione religiosa, l'accidia diventa malattia psichiatrica nella visione laica e moderna. Come è rappresentato nell'interpretazione occidentale questo male dell'anima? Dall'ascesi del monaco medievale allo spleen del dandy Baudelaire, dalla malinconia romantica di Leopardi alla noia di vivere di certi personaggi della letteratura russa come Oblomov o gli anti-eroi di Cechov, dall'angoscia esistenzialista di Heidegger, Sartre, Camus al vuoto oscuro e maligno nella mente del depresso dei nostri tempi, che chiede aiuto alla psicoanalisi ma anche agli psicofarmaci: un viaggio nelle rassomiglianze di umori imparentati ma non identici, annodati dal filo comune di uno scacco, di una mancanza, di una noncuranza rispetto al mondo e all'altro, che l'uomo vive in ogni epoca come tentazione dolorosa e devastante.
Sergio Benvenuto, psicoanalista e filosofo, lavora a Roma come ricercatore al CNR e dirige il "Journal of European Psychoanalysis". Tra le sue pubblicazioni "Dicerie e pettegolezzi" (Il Mulino, 2000), "Un cannibale alla nostra mensa" (Dedalo, 2000), "Perversioni. Sessualità, etica, psicoanalisi" (Bollati Boringhieri, 2005).
Quando, nel 1953, vennero pubblicate le "Ricerche filosofiche", Oxford e Cambridge erano la Mecca della filosofia analitica, e Ludwig Wittgenstein ne era il campione indiscusso. Il suo impatto sulla cultura filosofica del tempo indusse molti a ritenere che quel modo di pensare avrebbe conquistato anche il resto del mondo filosofico anglosassone. Fu una previsione sbagliata, come si può constatare osservando il quadro teorico di riferimento attualmente in auge nei dipartimenti di filosofia inglesi e statunitensi. La tradizione che risale a Wittgenstein non ha ottenuto negli Stati Uniti il prestigio atteso e in Gran Bretagna ha perso la centralità che pure aveva. Il volume documenta come ciò sia accaduto, raccontando il declino di quella illustre tradizione: la tendenza elei filosofi americani a recepire la filosofia "linguistica" con la mediazione di Carnap, ora dimenticando, ora fraintendendo Wittgenstein; e la resa di alcuni discepoli di Wittgenstein, sfidati dai mostri sacri della filosofia analitica (da Quine a Davidson, da Fodor a Putnam e Kripke) e incapaci di allearsi con i grandi wittgensteiniani eterodossi come Sellars, Strawson, Dummett e McDowell.
E' questo non solo l'ultimo libro di Hannah Arendt ma anche il coronamento finale della sua "vita activa". Rimasto incompiuto, si sarebbe dovuto comporre di tre parti: restano le prime due e un abbozzo della terza. La prima, dedicata al Pensare, si domanda dove si trovi l'io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo, concludendo che esso si pone tra passato e futuro, tra la memoria del non più e l'attesa del non ancora. Qui, nel presente del pensare, l'angelo della storia ferma talvolta il suo volo e ci fa essere liberi. Ed è proprio alla libertà che è dedicata la seconda parte, quella che studia una nozione sconosciuta ai greci antichi: il Volere. Solo il cristianesimo si pose infatti il problema di come conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio. E dal cristianesimo tale questione arriva sino all'epoca moderna, allorché la volontà si scontra con la legge di causalità, o quando ci si sforza di farla convivere con le leggi della storia. In appendice gli appunti della terza parte, dedicata al Giudicare.
Con l'eclissi delle fedi tradizionali il relativismo è diventato la filosofia dominante della cultura occidentale. In realtà ne esistono diverse varianti: per quello normativo le regole e i valori sono convenzioni culturali e tutte le culture si equivalgono; per quello cognitivo non vi è conoscenza certa, neppure nelle scienze. Boudon traccia la storia dei differenti relativismi e esorta a distinguere fra il relativismo "buono", che favorisce il rispetto per gli altri, e quello "cattivo", che conduce al nichilismo e nuoce alla democrazia.
Cos'è l'anima? Dove si trova? Da dove viene? Sin dalle origini della sua esistenza l'uomo ha tentato di rispondere nei modi più diversi a tali interrogativi, nell'ambito di una riflessione sull'anima che ci accompagna da sempre. Scrivere una storia del concetto di anima, come si propongono queste pagine, significa cercare i punti di contatto tra posizioni molto diverse, quando non opposte. L'anima infatti non è mai stata un oggetto univoco, ben definito, semplice, evidente. Il libro si addentra in modo rigoroso nella pluralità di senso che è intrinseca al concetto e che è espressione di una varietà e di una ricchezza sorprendenti. Infatti, trasformandosi continuamente, l'anima ha sempre fatto ritorno dopo ogni dichiarazione di morte, di volta in volta trasfigurata da nuove idee o da rinnovate polemiche, ma capace di adeguarsi a ognuna di esse.
Alla fine del Seicento, Pierre Bayle sostenne con determinazione che era meglio essere atei, piuttosto che idolatri e superstiziosi, che era preferibile non avere una religione, piuttosto che una cattiva religione. Legata ad una appassionata difesa del principio di tolleranza, dei diritti della coscienza individuale, dell'autonomia morale, la società di atei teorizzata da Bayle si colloca agli antipodi dell'ateismo ideologico dei sistemi totalitari a noi più vicini. Questo libro non si limita a presentare la presa di posizione di Bayle e a studiarne le origini culturali, ma ricostruisce alcuni dei momenti della grande controversia sollevata dalle sue provocatorie tesi, che vide intervenire i massimi esponenti dell'età dei Lumi, da Montesquieu agli Enciclopedisti, da Rousseau a Kant. Ampio spazio è dato al contributo che il pensiero inglese, da Mandeville a Hume, portò, in sotterraneo dialogo con Bayle, sul problema delle origini e della funzione sociale della religione e sulla questione del rapporto fra ateismo e politica.
Nella seconda metà del Novecento, tramontata l'egemonia idealistica, la filosofia italiana si è aperta a indirizzi di pensiero prima ignorati o poco conosciuti, importando nuove prospettive e cercando di adattarle all'ambiente culturale del nostro paese. Ciò è avvenuto per la fenomenologia e l'esistenzialismo, e più tardi anche per il marxismo, in misura minore per il neopositivismo e la filosofia della scienza. Il panorama filosofico italiano degli ultimi decenni appare così contraddistinto da una serie di "avventure" dagli esiti alterni, che l'autore ripercorre offrendo valutazioni severe e talvolta impietose. Nel corso del volume vengono così ripresi in esame il dibattito sullo storicismo, che segnò il distacco dalla concezione crociana della storia, la breve stagione del "nuovo illuminismo" che ebbe come protagonisti Abbagnano, Bobbio, Geymonat e Preti, e successivamente la deriva ideologica degli anni Sessanta e Settanta, infine le più significative espressioni del periodo postmoderno, che dall'avversione al sapere scientifico pervengono a un comune esito profetizzante.
Pietro Rossi è professore emerito dell'Università di Torino, dove ha insegnato dapprima Storia della filosofia e poi Filosofia della storia. E' socio dell'Accademia Europea, dell'Accademia Nazionale dei Lincei e dell'Accademia delle Scienze di Torino, che ha presieduto nel triennio 2003-2006. Ha diretto per un ventennio la "Rivista di filosofia". Ha anche condiretto, insieme a Carlo A. Viano, l'importante "Storia della filosofia" pubblicata da Laterza (1993-1999). Con il Mulino ha pubblicato di recente "L'identità dell'Europa" (2007).
Convivere con credi diversi: la lezione americana.
I padri fondatori degli Stati Uniti, in fuga dalle inquisizioni religiose in patria, vollero che non ci fosse più alcuna intolleranza nel nuovo mondo ed escogitarono un ordine costituzionale che garantisse la libertà religiosa, nel rifiuto di ogni religione dominante. Richiamandosi alla tradizione americana in tema di libertà di coscienza e di reciproco rispetto, Nussbaum ne individua due diversi nemici: da un lato la spinta verso una sorta di religione di stato che obbliga alla assimilazione le minoranze religiose; dall'altro una messe di movimenti antireligiosi che non accetta la manifestazione di credenze religiose in pubblico. In entrambi i casi vede compiersi una "violazione dell'anima", un crimine contro la coscienza intesa come facoltà dell'uomo di ricercare la base etica della vita e il suo significato ultimo.
Martha C. Nussbaum insegna Law and Ethics nell'Università di Chicago. Fra i suoi libri pubblicati dal Mulino ricordiamo: "Diventare persone" (2001), "Giustizia sociale e dignità umana" (2002), "La fragilità del bene" (II ed. 2004), "Le nuove frontiere della giustizia" (2007), "Giustizia e aiuto materiale" (2008), "L'intelligenza delle emozioni" (II ed. 2009), "Lo scontro dentro le civiltà" (2009).
Intesa da Omero e dai lirici greci come potere d'incanto della poesia, la grazia predomina nel medioevo nell'accezione religiosa del termine, per poi divenire nella stagione rinascimentale e, ancor di più, nel Settecento l'oggetto di una riflessione molto più ampia. Con la svolta del modernismo e del postmodernismo la nozione di grazia perde rilevanza, pur restando uno dei fondamenti del nostro modo di sentire e di conoscere. Alla grazia si può pensare lungo la storia come a un sorprendente congegno dell'immaginazione e dell'arte, un insieme di dispositivi retorici, compositivi, concettuali, mentali, sentimentali, emozionali, un apparato di iconologie e di atteggiamenti culturali. Muovendosi tra mito, filosofia e genio delle arti, questo libro illustra una fra le più importanti categorie estetiche ricomponendone i molteplici volti in un disegno grande e armonioso.
Raffaele Milani insegna Estetica nell'Università di Bologna. Tra i suoi libri ricordiamo "Il pittoresco" (Laterza, 1996) e "Il paesaggio è un'avventura" (Feltrinelli, 2005). Con il Mulino ha già pubblicato "L'arte del paesaggio" (2001), tradotto in inglese, francese e spagnolo.

