
I lavori di Kurt Gödel (1906-1978), considerato il più grande logico dopo Aristotele, uniscono la trasparenza della logica agli oscuri miraggi della magia, una combinazione da cui deriva il fascino tutto speciale del loro autore, un personaggio schivo e imprevedibile che, con Einstein, Schrödinger, von Neumann, Crick e pochi altri, ha a buon diritto un posto tra i protagonisti del Novecento responsabili della chiusura definitiva con il passato e della proiezione nel futuro. Ma queste grandi figure della scienza sono spesso ridotte a simboli caricaturali di una divulgazione semplificata, così che, se per Einstein si dice che tutto è relativo, nel caso di Gödel si citano i limiti della ragione, o addirittura la giustificazione della fede. Evitando ogni imprecisione e approssimazione, Gabriele Lolli sgombra il campo dalle versioni inesatte ed esagerate del pensiero gödeliano facendo luce, con uno stile chiaro e accessibile, sui temi che più colpiscono i non specialisti: la completezza logica, l'incompletezza e l'indecidibilità della matematica formale, la teoria degli insiemi, le origini dell'informatica, la filosofia della matematica.
Che cos'è la verità? E qual è il valore che le si deve attribuire? La disputa sul significato e sull'utilità della verità è al centro del dibattito filosofico contemporaneo, ma la rilevanza del tema è tale da attrarre anche l'interesse dell'opinione pubblica, che alla voce della filosofia può rivolgersi per riceverne stimoli e suggestioni. Da buon pragmatista, Rorty dubita che la nozione di verità possa essere di qualche utilità e mostra i pregiudizi celati dietro la verità sia nella sfera intellettuale sia in quella sociale. Engel preferisce una concezione realista, e difende il valore della verità come norma della credenza e della ricerca, nella scienza come nel dominio pubblico. Per Rorty è più pericoloso usare tale nozione che non sbarazzarsene. Per Engel l'importante è tener ferma l'idea che la verità è una rappresentazione accurata della realtà.
In questo libro Bernard Williams si confronta con l'etica antica, ritrovata più in Omero e nei tragici che nei filosofi. Nell'intento di sottolineare alcune somiglianze - tradizionalmente non riconosciute - tra le concezioni antiche e quelle moderne, l'autore concentra l'attenzione sulle fonti letterarie antiche per tracciare una sorta di mappa concettuale di idee quali quelle di agente morale, azione responsabile, vergogna, rimorso e necessità. Ciò che ne risulta è una sostanziale identità di contenuti tra quei concetti e i loro corrispondenti moderni: le idee morali di oggi sono, in realtà, più vicine a quelle dei greci di quanto non si possa credere. Pur senza voler in alcun modo negare l'alterità o sopravvalutare la modernità dei greci del V secolo, l'autore sottolinea come il mondo in cui si vive sia, in ultima istanza, una creazione europea guidata dal passato greco.
Uno dei temi più discussi nella filosofia morale contemporanea è quello della razionalità del comportamento morale: che cosa ci spinge a fare ciò che consideriamo giusto? O meglio: quali ragioni ci sono per fare ciò che giudichiamo di dover moralmente fare? Si tratta di ragioni di tipo particolare, diverse da quelle che giustificano scelte e comportamenti che non appartengono alla sfera della valutazione morale? E ancora: che cosa ci induce ad adottare i comportamenti che consideriamo razionali. In altre parole, c'è un legame tra la giustificazione di un'azione e la motivazione a compierla? Nel cercare la risposta più soddisfacente a questi interrogativi, l'autrice combina costantemente il rigore dell'argomentazione teorica con la chiarezza dell'esemplificazione, e riesce così ad analizzare e discutere in modo efficace le principali teorie della motivazione (da quelle classiche di Hume e Kant, a quelle più recenti di Prichard, Hare, Murdoch e Williams), per prendere infine posizione in difesa dell'idea che "giudicare" moralmente un'azione o una persona sia cosa molto diversa dal "descriverle".
L'etica kantiana è stata di frequente vista - e criticata - come un'etica dell'interiorità. Diversa la prospettiva adottata in questo libro che, avvalendosi del contributo di studiosi italiani e stranieri, mette in relazione la riflessione etica del filosofo di Königsberg con il "mondo". Il volume si articola intorno ad alcuni nuclei principali: il problema del rapporto tra la libertà del volere e il mondo naturale dominato dalla necessità meccanica; la questione etica in senso stretto, sia nel processo di deliberazione morale sia nella concretezza dei doveri e degli oggetti della volontà; il ruolo del "mondo", secondo Kant, nell'orizzonte morale; infine, la concezione kantiana del tempo storico come tempo del progresso e del perfezionamento che indica la direzione di una "politica morale".
Il volume offre una trattazione sistematica, sia storica sia teorica, del concetto di azione, uno dei più cruciali dell'intera storia della filosofia. Nell'affrontare i radicali cambiamenti di prospettiva che da Platone alla filosofia contemporanea hanno accompagnato la riflessione sulla natura, gli scopi e la rilevanza dell'agire, viene dedicata particolare attenzione all'uso che del concetto di azione è stato fatto in filosofia politica, in etica, nella discussione sul libero arbitrio e in filosofia analitica. Oltre ai grandi filosofi della tradizione, sono discussi con rilievo i contributi che hanno fornito su questo tema importanti autori contemporanei, da Karl Schmitt a Hannah Arendt, Ludwig Wittgenstein, Donald Davidson e Jürgen Habermas.
Il concetto di "ragione" ha una posizione di assoluta preminenza nello strumentario della filosofia. Nella tradizione occidentale la pluralità delle sue definizioni ha marcato le differenze essenziali dei sistemi teorici in conflitto, e per un lungo tratto della sua evoluzione la legittimità stessa del sapere filosofico è stata misurata dal suo essere fondato, appunto, sulla ragione. Scopo del volume è dar conto di questa pluralità, disponendo lungo il percorso dei suoi mutamenti l'insieme degli apporti teorici che hanno contribuito ad arricchirne il senso. A partire dagli indirizzi principali dell'antichità greca e del medioevo cristiano, attraverso le costruzioni metafisiche e le analisi critiche dell'età moderna, fino alle più recenti difese dell'opportunità del suo utilizzo, il libro ricostruisce la storia del concetto di ragione per tracciare una mappa con cui orientarsi nel territorio dei suoi significati.
Esiste, oltre alle singole cose rosse, la proprietà universale "rosso"? O esistono invece solo le entità individuali e particolari? Come spiegare il fatto che più entità tra loro distinte possono essere tuttavia uguali per un determinato aspetto? E che cos'è che distingue due entità che condividano esattamente le stesse proprietà? Questi sono alcuni dei problemi che costituiscono la questione degli universali e dei particolari, che, a partire dai dialoghi platonici e dalla metafisica di Aristotele, ha sempre rappresentato uno dei nodi centrali dell'ontologia. Di tale questione il libro ripercorre le tappe storiche principali, partendo dalla formulazione che ne fu proposta nell'antichità, esaminando gli importanti e variegati sviluppi medievali, individuandone la presenza talvolta nascosta nella filosofia moderna e ricostruendo i dibattiti della metafisica contemporanea, che ha visto una significativa rinascita di interesse per questi temi, soprattutto nell'ambito della filosofia analitica.
"In filosofia capita spesso, mentre si procede nella ricerca, di imbattersi in un pendio ripido e scivoloso. Si può decidere di saltarlo e di andare avanti lungo la strada maestra. Ma possiamo, in alternativa, lasciarci scivolare fino al fondo del fossato, per poi uscirne arrampicandoci faticosamente e tornare a progredire lungo il nostro percorso". Sono parole che, meglio di qualunque descrizione, valgono a dare un'idea dello spirito di questo breve libro in cui Michael Dummett presenta il proprio punto di vista su alcune delle più profonde questioni filosofiche. Originato da una serie di conferenze (le prestigiose Gifford Lectures), il volume si propone di trattare della nozione di realtà e dei vari modi in cui il linguaggio può riferirsi ad essa utilizzando uno stile piano e comprensibile, pur se non sempre elementare. Ne risulta una lettura piacevole e talora persino divertente per il gusto del paradosso e della provocazione intellettuale che permea le riflessioni di uno dei più autorevoli filosofi inglesi viventi.
"Possibile" e "necessario" sono termini molti comuni nella nostra lingua ma il loro significato è tutt'altro che banale. La tradizione filosofica si è cimentata infatti per secoli con i due concetti, sia per gli aspetti connessi alla logica e alla conoscenza (interrogandosi per esempio sulla natura delle leggi fisiche e naturali), sia per quel che riguarda la natura delle nostre azioni (dipendono da una libera scelta fra possibilità reali o sono dettate dalla rigida necessità?). Il volume ripercorre l'evoluzione dei due termini a partire dall'antichità con Aristotele e gli stoici, e fornisce un quadro storico in cui spiccano, nel medioevo, i nomi di Abelardo, Occam e Buridano, e in età moderna l'opera di ripensamento e di rielaborazione prima di Leibniz e poi di Kant. Dal Novecento in avanti "possibile" e "necessario" entrano infine nella riflessione sul linguaggio e sulla semantica, con gli studi di Carnap e Kripke.
La storia dell'opposizione bene/male coincide con la storia stessa dell'umanità. Non solo, ma bene e male sono sempre stati assunti in una costellazione di concetti affini e interdipendenti: da un lato bene, vero, innocenza, ordine, benessere, felicità; dall'altro male, falso, malvagità, disordine, sofferenza. A partire dal pensiero antico (Platone e Aristotele) e da quello cristiano (Agostino e Tommaso), l'autore ripercorre tutta intera la riflessione filosofica che l'Occidente ha svolto su tale opposizione, per approdare infine ai pensatori contemporanei del "dopo Auschwitz", fra i quali Jonas, Arendt e Ricoeur.
Che cosa distingue gli esseri viventi dai non viventi? Che cos'è la morte? È sensato averne paura? Esiste in noi qualcosa di immortale? Che cosa da senso alla vita umana? Sono domande fondamentali che ogni essere umano si pone e che stanno da sempre al centro della riflessione filosofica. Dopo aver tracciato un panorama delle diverse concezioni relative al tema della vita e della morte che si sono succedute dall'antichità sino alle filosofie dell'esistenza contemporanee (Rierkegaard, Jaspers, Heidegger, Sartre), il libro affronta la discussione più recente intorno all'etica della vita: da un lato ricostruisce il dibattito tra la filosofia, la biologia e la biomedicina, dall'altro identifica, anche nell'ambito della filosofia analitica contemporanea, le grandi linee del confronto sulle questioni centrali della bioetica: la concezione della vita, del suo inizio e della sua fine.

