
Pubblicato per la prima volta nel 1957, questo volume è un capitolo fondamentale della storiografia sulle origini della scienza moderna. Rossi vi dimostra come colui che ne è considerato il padre, affondi in pieno le radici del suo pensiero nel sapere magico-alchimistico della tradizione: Bacone emerge dalle filosofie del Rinascimento e in pari tempo le rifiuta. Il volume ricostruisce la complessità del tracciato intellettuale seguito dal filosofo inglese "dalla magia alla scienza", mostrandone sia le continuità, sia le rotture con il passato e ponendo al centro l'idea baconiana di una scienza cooperativa e pubblica, una scienza frutto del contributo di molti e finalizzata al dominio della natura e al progresso della civiltà.
La natura umana è un oggetto ricorrente dell'attenzione dei media. Essa è implicitamente chiamata in causa da qualsiasi problematica politica; sul come e sul quando dei suoi inizi esistono giudizi scientifici spesso contraddittori, strategie politiche contrapposte, laiche e confessionali, e una complessa normazione giuridica. Ma la centralità della natura umana nella riflessione filosofico-politica ha anche una storia ricca e articolata: si tratta di una tematica che da Platone e Aristotele confluisce nel pensiero cristiano di Agostino e Tommaso, fa i conti in età moderna con le scoperte geografiche e scientifiche, per suscitare infine nuova attenzione nel Novecento con l'antropologia filosofica di Gehlen e con la biopolilica di Foucault.
Recuperare il passato, rivivere eventi ed emozioni: nella costruzione morale degli individui così come delle collettività può essere questo uno dei compiti più dolorosi. Ma ci sono cose che abbiamo il dovere di ricordare? Può davvero la memoria condivisa valere a fondare o a rafforzare il sentimento identitario di una comunità? Esiste insomma un'etica della memoria? Tenendo sin dal principio ferma la distinzione fra etica e morale, l'autore si misura con tali interrogativi in pagine dense di riflessioni colte, ma anche di spunti di cronaca recente, di testimonianze e di ricordi personali, per giungere infine ad affermare che un'etica della memoria è un'etica tanto del ricordo quanto dell'oblio e del perdono, e che dunque la questione cruciale, se ci siano cioè cose che dobbiamo ricordare, ne comporta una parallela, se ci siano cose che dobbiamo invece dimenticare.
L'intera vicenda di uomo e di studioso di Gottfried Wilhelm Leibniz è segnata da tendenze fortemente contrapposte. Impegnato nei campi più disparati del sapere -filosofia, scienze, matematica, storia, diritto - ebbe un atteggiamento al tempo stesso sistematico, enciclopedico e dialogico, pronto ad accogliere sollecitazioni di ogni provenienza. Le sue opere fondamentali i "Saggi di teodicea", volti a giustificare la presenza del male nel mondo, e la "Monadologia", in cui si formula una vera e propria concezione dell'universo - hanno esercitato un influsso decisivo stilla riflessione successiva. Nel volume sono illustrate e documentate storicamente le idee leibniziane, ma anche ricostruite le questioni teoriche e gli obiettivi scientifici ad esse sottesi.
Quali sono i tratti essenziali e specifici che fanno, di noi, degli esseri umani? In che cosa consiste l'"umanità" dell'essere umano? Per rispondere a questa domanda, Williams indaga le differenze che ci distinguono dalle macchine ma anche dagli altri animali, individua i requisiti indispensabili di una efficace teoria dell'evoluzione, analizza il rapporto cruciale tra etica ed evoluzione (che cosa un essere umano "deve" e cosa "può" fare?), ricostruisce infine alcune delle diverse connotazioni che distinguono, nella storia del pensiero, i valori tipicamente umani di giustizia e libertà.
"Le virtù hanno un ruolo necessario nella vita dell'uomo così come il pungiglione nella vita delle api": ma come facciamo a giudicare se qualcosa è "buono" per gli esseri umani? Per gli organismi viventi in generale, è buono ciò che serve per nutrirsi, vivere e prosperare, vale a dire ciò che serve a realizzare le potenzialità della specie. Tuttavia, nel caso particolare dell'uomo, questo criterio di giudizio appare inadeguato, perché non si può concepire l'essere umano in senso soltanto biologico. Esistono attività di pensiero e sfere di vita - la capacità di usare l'immaginazione, di cantare o danzare ad esempio - senza le quali gli esseri umani potrebbero sopravvivere e riprodursi, ma non potrebbero raggiungere un pieno sviluppo. Ricollegandosi a una tradizione di pensiero che attraverso Tommaso d'Aquino risale sino ad Aristotele, Philippa Foot si interroga in queste pagine su che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, sulla virtù e sul vizio, sulle basi stesse del giudizio morale, e giunge a individuare i tratti che caratterizzano efficacemente la forma di razionalità pratica specificamente umana.
Di tutte le questioni che hanno ossessionato per secoli la filosofia, non ve n'è una che sia stata risolta con generale soddisfazione: rimangono tutte controverse quando non invalidate per decreto degli stessi filosofi. E, prima di ogni altra cosa, l'Essere resta filosoficamente opaco, mentre tutto - ivi compresa la ricerca dell'Assoluto - tende verso la propria disintegrazione. Eppure, questa fallimentare ricerca non è affatto priva di senso. Nel suo argomentare spregiudicato e aforistico, Kolakowski lascia intravedere una via d'uscita: solo accettando questa sfida conoscitiva, è possibili accedere, se non alla Verità, almeno ad alcuni abili, volatili frammenti di essa. Un piccolo classico sul senso stesso del fare filosofia.
L'esigenza di redistribuzione globale della ricchezza, la riduzione delle diseguaglianze tra nord e sud del mondo, la gestione dei flussi migratori, la protezione dai rischi ambientali, la lotta contro le reti transnazionali del terrorismo globale sono questioni che travalicano i confini nazionali e configurano quella che Habermas ha definito la "costellazione post-nazionale". Il fenomeno della globalizzazione sta trasformando i modi di pensare e di impostare i problemi di giustizia e la sfida che attende oggi un approccio di tipo normativo, è la necessità di riferirsi a criteri di giudizio e di valutazione etica non limitati a comunità chiuse ma validi al di là dei confini statali. Tuttavia, una convinzione molto diffusa vuole che la discussione sulla giustizia riguardi principalmente le relazioni tra cittadini di uno stato nazionale, non solo nelle classiche trattazioni filosofiche, da Platone a Rawls, ma anche nella comprensione comune. Il libro affronta in modo sistematico le questioni centrali attinenti la "giustizia globale", esaminando gli argomenti pro e contro, e analizzando le principali difficoltà di una giustizia non esclusivamente iscrivibile alla comunità politica locale, sia sul fronte teorico, sia dal punto di vista pratico.
Un libro sull'origine dell'umanità, su Dio e sulla creazione di Eva, sul paradiso terrestre e sul peccato originale. Ma non si tratta di un libro di teologia. Piuttosto, è un'indagine di confine fra storia dell'arte e storia delle idee. In primo piano c'è la donna che Dio volle dare come compagna all'uomo: Eva che nasce dalla costola di Adamo, Eva che si lascia sedurre dal serpente tentatore e afferra il frutto proibito, Eva che porta, in eterno, la colpa della perdita dell'Eden e del peccato originale. Un mito, quello della coppia originaria, che pervade l'arte, la fede e la cultura occidentale: lo si ritrova raffigurato sulla facciata di Notre Dame, nel portale d'Adamo a Bamberga, nella Cappella Brancacci a Firenze, nella Cappella Sistina in Vaticano. E lo si incontra, persino più spesso, in una ricca tradizione di testi che muove da san Paolo e sant'Agostino per giungere, attraverso una quantità di commenti medievali e moderni, sino a oggi. Dopo aver presentato le immagini e i racconti, le diverse incarnazioni e interpretazioni che del mito sono state prodotte nel tempo, Kurt Flasch dà conto della rielaborazione che la cultura europea ha compiuto di un materiale mitologico nato originariamente in Oriente e indaga le dottrine e le costruzioni di pensiero originate dal racconto paradisiaco: il tema del peccato originale e della salvezza.
Averroè (1126-1198), il filosofo e scienziato arabo-spagnolo celebre in Occidente soprattutto per i suoi commentari al pensiero di Aristotele, fu uno degli intellettuali più controversi del suo tempo. Rampollo di un'eminente famiglia della sua città natale, fu lui stesso per molti anni fedele servitore dei sovrani almohadi, che dal 1147 presero a regnare in Africa e nella Spagna musulmana. Caduto in disgrazia, fu esiliato, le sue dottrine vennero condannate e fu vietato lo studio della sua filosofia. Poco prima della morte, venne tuttavia riabilitato e accolto a corte. Studioso poliedrico e versatile, ha lasciato contributi in campo non soltanto filosofico, ma anche teologico, giuridico e scientifico. Massimo Campanini ricostruisce la vicenda di questo importante protagonista della cultura medievale, mettendo in luce i principali aspetti del suo pensiero, analizzando i caratteri specifici di un'eredità filosofica destinata a esercitare un'influenza decisiva sul sapere dell'Occidente latino, e individuando nella natura "militante" del progetto culturale che egli elaborò il tratto più moderno e perspicuo dell'intera sua opera.
È possibile definire l'arte? Che tipo di "cosa" è un'opera d'arte? Ha senso parlare di "proprietà estetiche"? Seguendo il filo rosso di queste tre domande, l'antologia si propone di contribuire al dialogo tra la riflessione estetica di tradizione continentale e quella di tradizione analitica. L'estetica e la filosofia dell'arte analitiche si sono sviluppate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti a partire dal secondo dopoguerra, ma oggi sono diffuse ben oltre i confini del mondo anglosassone. Nella convinzione che mettere a disposizione alcuni testi fra i più rappresentativi di questa tradizione favorisca l'avvicinamento a un universo di pensiero di notevole ampiezza e complessità, il volume è articolato in tre parti che riflettono i tre luoghi intorno ai quali si sono raccolti i temi e le questioni presenti nelle opere degli autori considerati: il problema della definizione dell'arte, l'ontologia dell'arte e la questione delle proprietà estetiche.
I lavori di Kurt Gödel (1906-1978), considerato il più grande logico dopo Aristotele, uniscono la trasparenza della logica agli oscuri miraggi della magia, una combinazione da cui deriva il fascino tutto speciale del loro autore, un personaggio schivo e imprevedibile che, con Einstein, Schrödinger, von Neumann, Crick e pochi altri, ha a buon diritto un posto tra i protagonisti del Novecento responsabili della chiusura definitiva con il passato e della proiezione nel futuro. Ma queste grandi figure della scienza sono spesso ridotte a simboli caricaturali di una divulgazione semplificata, così che, se per Einstein si dice che tutto è relativo, nel caso di Gödel si citano i limiti della ragione, o addirittura la giustificazione della fede. Evitando ogni imprecisione e approssimazione, Gabriele Lolli sgombra il campo dalle versioni inesatte ed esagerate del pensiero gödeliano facendo luce, con uno stile chiaro e accessibile, sui temi che più colpiscono i non specialisti: la completezza logica, l'incompletezza e l'indecidibilità della matematica formale, la teoria degli insiemi, le origini dell'informatica, la filosofia della matematica.

