
"Sta forse giungendo a compimento il senso espresso da più di duemila anni dalla nostra cultura che, come dice il nome, è "occidentale", cioè "serale", avviata a un "tramonto", a una "fine". L'evento occidentale è sempre stato presso la sua fine, ma solo ora, con Nietzsche, e poi con Heidegger e Jaspers, comincia a prenderne coscienza. Ma che cosa davvero finisce proprio oggi quando sembra che tutto il mondo insegua senza esitazione la via occidentale, fino ad annullare la specificità che finora ha reso riconoscibile l'Occidente e soprattutto la sua distanza dall'Oriente? Finisce la fiducia che l'Occidente aveva riposto nel progressivo dominio da parte dell'uomo sugli enti di natura, oggi divenuti, al pari dell'uomo, materiali della tecnica."
Il libro è articolato in tre parti, nella prima sono affrontate questioni di verità e di significato a proposito dei nostri modi di dire ciò che vi è nel mondo e quindi l'importanza del linguaggio, della traduzione, dell'interpretazione e della comunicazione. La seconda parte tratta questioni di giustizia e quindi il valore della libertà, del liberalismo politico, della tolleranza. Nella terza vengono esaminate questioni di identità, di qualità e significato della vita per essere umani quali siamo noi e quindi il peso che hanno ragione, emozioni, desideri e capacità per esistenze destinate a finire, come le nostre.
In occasione del centesimo anniversario dalla nascita di Hannah Arendt, una raccolta antologica di saggi centrati sulla questione fondamentale del totalitarismo, ripresi dai due volumi dell'Archivio Arendt. Il volume comprende i seguenti testi: "Che cosa resta? Resta la lingua"; "Ripensando a Franz Kafka"; "Colpa organizzata e responsabilità universale"; "L'immagine dell'inferno"; "Le tecniche delle scienze sociali e lo studio dei campi di concentramento"; "Le uova alzano la voce"; "A tavola con Hitler"; "Umanità e terrore; "Comprensione e politica"; "La natura del totalitarismo"; "Religione e politica"; "Gli ex comunisti"; "Una replica a Eric Voegelin"; "Sogno e incubo"; "L'umanità nei tempi oscuri: riflessioni su Lessing".
"Il neopaganesimo può essere variamente definito e interpretato. In questo caso per neopaganesimo si deve, però, intendere quell'atteggiamento, o quel punto di vista, che coincide con l'etica del finito o che comunque l'assume come propria." Inizia così la riflessione di Salvatore Natoli che ruota attorno al tema del neopaganesimo e della sua etica, nell'accezione di visione del mondo e senso, ethos, ossia costume e abitudine, più che regola e dovere. Etica del finito significa dunque comprendersi a partire dalla propria finitudine. Il neopaganesimo è quindi costitutivamente non cristiano, anche se non necessariamente anticristiano; il cristianesimo postula infatti una finitudine, ma è quella propria della creatura di Dio, non quella naturale del mortale. Il paganesimo cui Natoli fa riferimento è quello della visione greca del mondo, per cui la misura della finitudine è invece solo la morte; quindi il finito finché esiste è degno di esistere e l'uomo deve valorizzarsi nel tempo, mantenersi fedele al presente, essere all'altezza della propria morte. Per vivere il finito senza pretendere l'infinito, il pagano deve sapere quel che può, in assenza di speranza di salvezza e nella consapevolezza della comune fragilità umana. I nuovi pagani, qui presentato in edizione ampliata e con un nuovo titolo, è stato pubblicato per la prima volta da il Saggiatore nel 1995.
"L'Edipo re" di Sofocle, da cui "Edipo il tiranno" di Hölderlin, è uno dei vertici dello spirito umano. È la tragedia dell'uomo che spinge la sua ansia di conoscenza fin dentro l'oscurità del fato, per scoprire la verità del dolore umano, che mette in discussione ogni regola, ogni legge, ogni potere. Hölderlin proprio su questo punta la sua attenzione: sull'uomo che, spinto dall'ansia di conoscere lo smisurato, fa della ricerca la sua grandezza, ma anche la sua rovina. Le traduzioni da Sofocle sono l'ultimo lavoro di cui Hölderlin vide la stampa. La traduzione dell'"Edipo re", criticata e addirittura irrisa all'inizio dell'Ottocento, si è rivelata successivamente un'opera di immensa poesia, su cui hanno scritto pagine memorabili Benjamin, Heidegger e Brecht.
"Il Dio del Mill non è un «principio del mondo»; ma è un essere completamente inserito nel mondo, come vi sono inseriti tutti gli altri esseri. L'ipoteticità della sua esistenza significa però che alcuni filosofi possono ammetterlo, altri non ammetterlo; non significa però che, se lo si ammette, si possa attribuirgli un'esistenza al di fuori del mondo. La lotta tra bene e male non è, per il Mill, una lotta fra due principi trascendenti; è semplicemente la lotta degli esseri intelligenti e buoni che vivono nel mondo per imporre al corso dei fenomeni un genere di sviluppo invece che un altro. Non manichesimo dunque, ma illuminismo." (dall'Introduzione di Ludovico Geymonat)
Cos'è l'Io, cos'è la verità, cos'è la libertà, cos'è il tempo, cos'è il linguaggio? Queste le domande irrinunciabili cui tenta di rispondere la filosofia. Filosofia che Friedhelm Moser vede come una città da visitare con gli occhi del viandante che compie una serie di incontri. In questo libro l'autore cerca di guadagnare nuove simpatie alla disciplina filosofica, costruendo un testo pieno di esempi tratti dalla quotidianità e senza una nota a piè di pagina.
L'autore si diverte ad esplorare il confine fra astrazioni filosofiche e preoccupazioni quotidiane. Alla base del lavoro è il tentativo di affrontare la logica, matematica e filosofica, dalla posizione del traduttore che, attraverso un linguaggio accessibile a tutti e attraverso l'arma del comico e del paradossale, riesce a far percepire il lavorio e l'armonia del pensiero. Animato dalla volontà di restituire, attraverso il riso, il rigore del ragionamento e di "rimontare", passando per parabole e giochi di parole, le più ardue teorie filosofiche, l'autore usa massime e aneddoti come specchio dell'intelligenza umana e svela come dietro la risata dell'assurdo, si celi sempre una sequenza di snodi filosofici.
Il vero rischio della cultura contemporanea è il niente. Opinioni in libertà. Il caos non interpretato, banalizzato. Per opporsi al niente bisogna ricominciare da capo: sapere su cosa possiamo contare, da cosa dobbiamo difenderci, come riconoscere i nemici e gli amici dei nemici. Tornare alla scuola del mondo e delle idee. Filosofo e psicoanalista di origine argentina, da molti anni a Parigi, Benasayag concepisce questo libro come una "scatola degli attrezzi" per i nostri tempi: perché non ci sia più soltanto un feedback individualista ma anche un pensiero favorevole alla creazione di legami.
Jean-Luc Nancy riesce a tratteggiare con misura e leggerezza i contorni fondamentali della questione fondamentale del volume: che cosa significa essere giusti, in che senso la giustizia non è solo applicazione della legge, qual è la tensione tra l'universalità della legge e la singolarità irripetibile delle persone sottoposte a essa, che cosa significa dare a ciascuno secondo i propri bisogni, che cosa sono i "bisogni" di cui parlava Marx. Tutto questo, senza rinunciare a un discorso rigoroso, capace di problematizzare le cose dette e le opinioni correnti, e senza rinunciare al tentativo di parlare anche ai più lettori più giovani.
Quando dico "ti amo" che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto, chi parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il mio eccesso, la mia follia? Non c'è parola più equivoca di "amore" e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione. Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l'amore si nutre di novità, mistero e pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall'idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l'amore in un affetto privo di passione o nell'amarezza della disillusione. Qui Freud ci pone una domanda: "Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?". Umberto Galimberti ci consegna un volume in cui l'acutezza del pensiero penetra i meandri del sentimento e del desiderio, registrando i mutamenti intervenuti nelle dinamiche dell'attrazione, nel patto con l'amato/a, nei percorsi del piacere (dall'onanismo alla perversione). Sullo sfondo si muove, come un fantasma, continuamente evocato e rimosso, quello che propriamente o impropriamente gli uomini non smettono di chiamare amore.
Il libro è il ritratto della crisi religiosa e filosofica verificatasi agli albori del mondo moderno, ai tempi di Newton, Cartesio, Rembrandt e, soprattutto, di Leibniz e Spinoza, il logico e matematico inventore del Calcolo. Al centro del racconto è Dio. Lo scenario è quello di un'Europa appena uscita dalla guerra dei Trent'anni, segnata dalle difficoltà di un'altissima conflittualità religiosa, scossa da rivolgimenti politici altrettanto profondi. Le due "idee" del divino che Leibniz e Spinoza elaborano sono tutt'altro che estranee a questo sfondo, rispetto al quale emergono come conseguenze e contromisure. L'autore contribuisce a fare di questa ricostruzione del passato un'immagine ben viva per l'attuale panorama politico, diviso tra rinascite di vario segno, dai neoilluminismi ai neotradizionalismi cristianeggianti.

