
Furono i roghi, ad accendere i Lumi. Nello splendore come nella ferocia, il Gran secolo, che tanto amò il paradosso, fu inarrivabilmente paradossale: la meraviglia barocca convisse con il rigorismo formale, l'impulso ascetico con la dissimulazione più o meno onesta, il libero pensiero con un dogmatismo occhiuto e vendicativo. Solo il Seicento avrebbe potuto generare tutte le grandi idee che alimentarono la modernità, e solo il Seicento avrebbe potuto cercare con tanta pertinacia di distruggerle appena nate. Senza riuscirci, certo, e anzi stimolandole, quasi in virtù di quella "reazione uguale e contraria" teorizzata - non a caso proprio in quegli anni - da Newton. Ci fu chi pagò con la vita, con il carcere, con l'infamia e il bando le proprie tesi; ma le difese. E le affidò ai libri, che a loro volta patirono la confisca, la clandestinità, il rogo; ma sopravvissero. Perché le idee non bruciano, anche se possono accendere le menti e provocare rivoluzioni. Ed è proprio di quelle idee e di quei libri cosi travagliatamente giunti fino a noi - che forse non li leggiamo nemmeno più - che siamo gli eredi. Questo nuovo, volume di Steven Nadler è appunto la storia di un libro sulfureo e dannato, il "Trattato teologico-politico"; del suo autore, pessimo ebreo, mediocre mercante, buon tagliatore di lenti, immenso filosofo; del suo funambolico stampatore, cui certo non difettava l'ingegno.
Che cosa c'è di nuovo nel "nuovo realismo" di cui si parla tanto da un anno a questa parte, in Italia e all'estero? E il nuovo realismo non significa un ritorno alla vecchia metafisica? Come si collega alle voci più vive della situazione filosofica internazionale? E quali sono i risvolti teorici e politici della messa in crisi del postmoderno? Ecco alcuni degli interrogativi a cui risponde questo volume fornendo una straordinaria batteria di argomenti a favore del realismo, ma anche dando spazio a voci dissenzienti.
Chi era Socrate? Quali i contenuti del suo pensiero? E perché "l'uomo più giusto del suo tempo" fu messo sotto accusa per empietà ad Atene, simbolo di democrazia? Il filosofo più "paradossale" di tutti è stato autore e vittima post mortem, e oggi più che mai, di un ulteriore paradosso. Non ha scritto nulla, e secondo molti è vano cercarne i tratti "storici" nel contrasto tra le fonti (Aristofane, Platone, Senofonte...); eppure la sua vita e il suo pensiero sono al centro della riflessione dagli Stoici a Ficino, a Nietzsche o Foucault. Ma la varietà delle fonti si spiega meglio con la ricchezza della figura di Socrate che liquidando notizie e divergenze come creazioni ex nihilo. Questo libro muove dalla sua persona, il ruolo sociale che Socrate ha consapevolmente tradotto nell'eccentricità della sua figura intellettuale; ne esplora poi il metodo (fra confutazione e aporia, eros e ironia) e i temi di pensiero (l'anima e la sua cura, il bene e la virtù) di cui fu iniziatore come filosofo; infine, il processo e la condanna a morte, che Socrate ha affrontato da cittadino di una città che aveva fortemente criticato, perché l'aveva profondamente amata.
Questo volume illustra I temi e le concezioni dell'etica attraverso la presentazione dei suoi principali autori classici, esaminati lungo un percorso cronologico che consente di registrare le continuità e le trasformazioni delle categorie filosofiche. Nelle linee evolutive che sono rintracciate lungo i secoli, le nostre concezioni morali trovano le loro prime formulazioni, le argomentazioni e le distinzioni filosofiche, i contenuti sostantivi e soprattutto un bacino fondamentale per la riflessione etica attuale. Attraverso l'esame dettagliato dei grandi autori, da Platone a Nietzsche, Piergiorgio Donatelli fa emergere i vari piani e dimensioni dell'etica. Tra questi, i modelli (l'etica come sapere, modo di vivere, critica della società, autocomprensione riflessiva), le teorie (giusnaturalismo, sentimentalismo, razionalismo...), la natura dell'etica (il ragionamento pratico, la psicologia morale, il luogo o la realtà della morale), le nozioni filosofiche centrali (virtù, doveri, diritti, coscienza, libertà), il rapporto con le altre sfere (politica, religione, estetica), i nuclei sostantivi (le tassonomie di virtù e doveri, le concezioni della giustizia, della libertà, di ciò che ha valore, della sessualità). Cosi concepito, il libro offre al lettore un tessuto di idee e punti di vista indispensabili a strutturare la riflessione intorno ai problemi complessivi della vita umana individuale e associata.
L'avventuroso ritrovamento del corso di Lovanio conferma quale sia stato il problema che ha orientato, dall'inizio alla fine, il lavoro di Michel Foucault: quello della verità, nei suoi rapporti con la soggettività. Una verità qui declinata nella forma peculiare ed esclusiva della storia dell'Occidente, quella della confessione. Il cuore di queste lezioni, infatti, è costituito dalla ricostruzione del dispositivo che va dalle pratiche penitenziali nel cristianesimo primitivo alle procedure di veridizione di sé e sottomissione nel monachesimo cenobitico. È li, secondo Foucault, che è stato allestito un nuovo tipo di soggettività, ormai indissolubilmente legato all'obbligo di verbalizzazione della colpa commessa e al dovere di esplorazione degli arcana conscientiae, nucleo dell'inquadramento cristiano dell'esistenza individuale. Attraverso la progressiva generalizzazione ed estensione di un'ermeneutica che si mette a ricercare nel "foro interiore della coscienza" e nelle spire della concupiscenza la verità segreta dell'anima, Foucault diagnostica la nascita di una forma di governo degli individui destinata a investire la vita nella sua totalità, fino alle tecniche giudiziarie dell'età contemporanea e alle procedure di medicalizzazione dell'esistenza, origine di tutte le psicologie che pretenderanno, di lì in avanti, di decifrare i misteri dell'anima, facendoci credere che solo così potremo accedere alla libertà e alla verità...
Nella seconda metà del XVIII secolo la filosofia tedesca giunse a dominare la cultura europea. Per un certo periodo essa contribuì a trasformare, nell'intero mondo occidentale, non solo il modo in cui gli individui concepivano se stessi, ma anche quanto essi pensavano circa la natura, la religione, la storia, la politica e la struttura della mente umana. In questo studio di ampio respiro Terry Pinkard intreccia la vicenda storica della Germania - che allora, da coacervo di principati, si stava trasformando in nazione emergente e dotata d'una cultura autonoma - all'esame delle correnti e dei momenti nodali della filosofia classica tedesca. L'indagine prende le mosse dal pensiero di Kant, con la sua enfasi rivoluzionaria sull'idea di "autodeterminazione", e ne ricostruisce l'Influsso attraverso gli sviluppi del Romanticismo e dell'idealismo, fino a Schopenhauer e Kierkegaard. Il libro di Pinkard - che è esponente di primo piano della rinascita degli studi hegeliani nella filosofia americana contemporanea - si rivolge a tutti coloro che sono interessati alla storia della filosofia e della cultura, e più in generale alla storia delle idee.
In una stagione che tende a tradurre il crollo dei principi morali in un facile relativismo, il pensiero di Vladimir Jankélévitch costituisce il più influente e rigoroso tentativo filosofico di imboccare una strada diversa. In questo libro, in cui la sua cinquantennale ricerca raggiunge uno dei vertici, il filosofo decostruisce, con straordinario acume analitico e tensione etica, la nozione di purezza nella sua dialettica complessa con l'impurità. Contro tutte le metafisiche, antiche e moderne, che hanno cercato di immunizzare l'esperienza umana, purificandola dalla sua stessa costitutiva molteplicità, Jankélévitch riconosce nell'infinita alterazione della vita l'unica fonte di senso per l'azione umana. In tal modo, in un paradossale elogio dell'equivoco, l'impurità diventa la sede indepassabile di una purezza non metafisicamente presupposta, ma calibrata sull'attitudine intransigente a discernere in ogni singola occasione il bene dal male.
La filosofia è ormai un'attività praticata non da pochi saggi, ma da molte migliaia di professionisti in tutto il mondo. Come sempre avviene, la professionalizzazione ha portato con sé un'intensa specializzazione. Una prima conseguenza è che una buona parte di ciò che i filosofi scrivono è comprensibile a pochi. Una seconda conseguenza è che - come avviene nelle scienze naturali e in matematica, ma anche nelle scienze sociali - molti filosofi sembrano occuparsi di problemi minuti e questioni di dettaglio, del tutto interne a programmi di ricerca di cui il pubblico colto ha solo un'idea approssimativa. Ciò significa che la filosofia ha rinunciato a provare a rispondere alle Grandi Domande che, almeno in un'immagine molto diffusa, hanno costituito in passato la sua ragion d'essere? E ha inoltre rinunciato a rivolgersi alla generalità degli esseri umani, come sembra proprio della sua specifica vocazione? Lo specialismo e il tecnicismo non sono forse in contraddizione con la natura stessa della filosofia? In questo libro, un convinto sostenitore del professionismo filosofico prova a difenderne le motivazioni pur senza minimizzarne i rischi, e proponendo anche alcuni parziali rimedi.
Tutti concordano circa l'importanza di Platone, ma quasi nessuno è pronto a riconoscere che la conoscenza che ne abbiamo è mediata da secoli di interpretazioni, dibattiti, polemiche. Platone non era un platonico, ha osservato Hans-Georg Gadamer: ma per capire Platone non si può prescindere dai suoi eredi. Colmando per la prima volta questa lacuna, il libro di Mauro Bonazzi propone una ricostruzione dettagliata della storia millenaria del platonismo antico, dalla fondazione dell'Academia nel 380 a.C. alla chiusura della scuola neoplatonica di Atene nel 529 d.C., quando gli ultimi neoplatonici si avventurarono oltre i confini dell'impero romano, nella speranza illusoria di trovare in Persia un governo sensibile alla filosofia. Di contro allo stereotipo di una filosofia perenne che si trasmette identica di generazione in generazione, il lettore scoprirà cosi che a caratterizzare il platonismo antico fu invece una discorde polifonia: una volontà instancabile di seguire le pieghe dei dialoghi e una capacità inesausta di trovare nuove soluzioni nel tentativo di dare conto della ricchezza di Platone in tutta la sua complessità. Da Speusippo a Cicerone, da Cameade a Plotino, scettiche o metafisiche, politiche o epistemologiche, le vicende del platonismo costituiscono una pagina memorabile nel lungo cammino della filosofia antica.
Rousseau sosteneva che una donna sensibile conosce l'amore meglio di tutti i filosofi con i loro trattati rivolti all'analisi dei sentimenti. Con questo libro Gilles Tiberghien si propone di restituire all'esperienza amorosa una pluralità di significati nei quali tutti possano riconoscersi. Scritto nella forma di uno scambio epistolare, "Una storia senza fine" dà conto di tali differenze, assegnando ai quattro protagonisti, due uomini e due donne, l'espressione di un modo fondamentale di vivere il sentimento. Sviluppato nell'arco di quattro stagioni legate alle diverse tappe dell'amore, l'attesa, l'incontro, la fusione erotica, la gelosia, il distacco, la ripresa, la promessa d'eternità, questo saggio "romanzesco" trova ispirazione non solo nel pensiero dei grandi filosofi, ma anche in quei perfetti esploratori della vita amorosa che sono i romanzieri e i poeti.
Non è affatto strano se due sacerdoti cattolici che vivono in un paese a dominanza protestante fanno amicizia, specie se a legarli sono anche interessi artistico-intellettuali e se uno di loro - che si picca di essere un musicista di vaglia - suona ben volentieri le sue composizioni per intrattenere l'amico nelle lunghe e freddissime serate invernali. Ed è altrettanto comprensibile che i due accolgano a braccia aperte nel loro minuscolo cenacolo culturale un correligionario straniero, uno schivo studioso francese che, a quanto pare, desidera soltanto essere lasciato in pace, a scrivere. Quando poi, dopo dieci anni di frequentazione, lo straniero parte per un paese lontano, farlo ritrarre per ricordarne l'aspetto è il gesto più spontaneo e affettuoso che ci si possa attendere da un rattristato amico. Semplice. Chiaro e distinto, anzi. Perché, se l'innocua vicenda si svolge in Olanda alla metà del Seicento, lo straniero può facilmente chiamarsi René Descartes e il pittore a disposizione rischia di essere Frans Hals... Con la consueta amabilità, Steven Nadler ci guida questa volta in un insolito viaggio filosofico-culturale attraverso un periodo cruciale per la storia del pensiero, quanto straordinario per la fioritura artistica. Quadri celebri e celebri trattati - le Meditazioni metafisiche, le Passioni dell'anima, i Principi della filosofia - vedono la luce e si mescolano sullo sfondo del Secolo d'oro olandese, tra polemiche teologiche, gare musicali e la vicenda di un piccolo, controverso, ritratto...
Non c'è filosofo, tra gli antichi e i moderni, che non abbia parlato di felicità. Dare ragione della vita e del modo di renderla migliore è stato parte essenziale di una competenza sui generis, dichiaratamente fondata sulla conoscenza dell'uomo, che ha mantenuto alto per secoli il prestigio di questa figura intellettuale. Medici dell'anima, o del disordine della mente, i filosofi hanno dispensato diagnosi e prescrizioni per rendersi felici con cognizione, indagando ogni piega del rapporto dell'individuo con se stesso, con gli altri, con la precarietà dell'esistenza. Il libro intende presentare al lettore, introducendoli e commentandoli, testi che esprimono con particolare forza la pretesa strategica che ha accompagnato a lungo la ricerca filosofica, dialogando spesso con gli altri saperi a disposizione di ciascuna epoca. Questo primo volume risale alle origini stesse della storia del pensiero, riconoscendo a queste voci un indiscutibile primato nel configurare una gamma di alternative poi sempre rivisitate. Il secondo volume, "Tra i moderni", ne presenta importanti sviluppi in alcune aree di discussione dell'età moderna, dove la questione si rinnova e diventa più complessa, rispetto all'universalismo fiducioso degli antichi, imponendo di superare alcuni parametri di implicita esclusione: il genere, la classe, la fede religiosa.

