
"La mia impressione è questa: siamo di fronte a un'autrice vera, diversa dai poeti 'di moda', potente nell'espressione, capace di condensare in immagini lancinanti un pensiero di vasta portata, insieme lirico e, si potrebbe quasi dire, epico, poiché sa attraversare la soggettività individuale affilata da un'esperienza terribile (la malattia, un tumore, di cui le poesie dicono parcamente ma chiaramente quel che si può dire, senza pietismi o autocompiacimenti) e aprirsi a uno sguardo sugli altri, sui sofferenti, sui minacciati, sui negati. Ne esce una poesia civile e persino politica nel senso più ampio e più alto del termine; e basta scorrere rapidamente le note conclusive per farsi un'idea chiara di questo aspetto, e dell'ampiezza dello sguardo, che passa da Nairobi alle isole Eolie, dalle Dolomiti ai romeni di Tor di Quinto, letti in controluce con il comunicato nazista circa le Fosse Ardeatine, dai rom ai bambini malati di cancro. Il titolo riassume molte cose; le parole che lo compongono sono di Paolo di Tarso, e suggeriscono contemporaneamente l'esistenza del dolore e la relativizzazione del dolore; il male che ci accompagna e che dobbiamo credere di poter superare; il realismo, la lucidità, ma insieme una specie di utopia da difendere; e tutto questo con un tono leggermente alto, leggermente solenne, ma di una solennità appena accennata. Non vedo al momento in Italia molti poeti in grado di tenere il passo di Cristina Alziati". (Fabio Pusterla)
Una breve storia del lirismo occidentale in lingua volgare distinto in due diversi generi: la lirica classica (dai Provenzali al Settecento) e la lirica postclassica (quella successiva alla svolta romantica, tuttora praticata). Il volume illustra quel fondamentale passaggio dal primo al secondo genere lirico e traccia le linee principali di quella tradizione lirica in nome della quale questi due generi distinti ancora oggi sono percepiti come uno solo. Poeti e opere sono considerati nei loro contatti con altre personalità e con altri testi.
Il volume raccoglie tutta l'opera poetica di Anne Michaels. I lettori italiani che hanno apprezzato il romanzo "In fuga" per l'intensità dello stile e la presenza etica dei suoi temi, ritroveranno in queste poesie i temi che hanno amato del romanzo: la permanenza dei legami d'amore oltre il tempo; la separazione e la morte; le affinità misteriose fra gli esseri umani e il mondo animale, vegetale e minerale; il contributo alla memoria per riscattare il male e il dolore; la bellezza della creazione artistica per sopportare la perdita e il lutto propri della condizione umana; il coraggio della scoperta scientifica per rivelare i segreti movimenti dell'universo.
A centocinquant’anni dalla nascita del poeta, vede nuovamente le stampe questo libro dettato medianicamente dallo stesso Trilussa negli anni Ottanta del Novecento a un’anziana quasi cieca, Fernanda De Marco, una trasteverina “doc” con un passato da soprano lirico che cantò in tutto il mondo. Trecento pagine dall’origine senza dubbio misteriosa, ma ricche di umanità, commoventi e spiritose, smaliziate e ingenue: l’autobiografia di uno scrittore navigato, scritta con la freschezza di un fanciullo.
Sostiene Marazico che il mestiere del poeta sia riordinare le parole che erano già tutte dentro il nostro cuore quando siamo nati, ma che con il tempo si sono sparpagliate e confuse come le tessere dello Scarabeo. Il poeta non fa altro che rimetterle al posto giusto, dando loro nuovamente colore, vita e senso. O magari trovandone uno nuovo, mai immaginato prima. Con le sue poesie in un romanesco molto potente, messo in rima con metrica perfetta, Marazico dialoga ogni giorno dal web con migliaia di lettori e ogni giorno si rinnova esattamente la stessa magia: lungo le strade impolverate dei suoi versi riconosciamo noi stessi e il nostro presente, e scopriamo che anche nel tempo dell'oscurità resistono fiammelle più luminose che mai. Se leggendo questi versi sentirete il friccicore nello stomaco, quello sarà il segnale: la connessione è avvenuta, siete pronti per la poesia.
Raccolta di ispirazione patriottica dedicata al compito di ridare dignità, attraverso il mito del ritorno del giovane re Sebastiano, a un Portogallo oramai sconvolto e imbarbarito dai fascismi, portoghesi e no, che si stanno propagando in tutta Europa. "Messaggio", composto in un arco di tempo di oltre vent'anni, è l'unica opera in portoghese pubblicata in vita da Fernando Pessoa con il suo proprio nome. Ma è al tempo stesso opera fondamentale per "decodificare" Pessoa: l'uomo sradicato che si è rifugiato "nel tono minore di una condizione impiegatizia assunta a metronomo di una vita angosciosamente sola, senza famiglia, senza donna, senza Dio".
Questa antologia – che prende il suo titolo da una delle più belle poesie incluse, quella di Cesare Pavese – vuole offrirsi come un omaggio ad una delle presenze più assidue e più discrete degli animali nelle nostre case: il gatto. Da tempo questo straordinario felino si contende con il cane la palma di animale più amato dall’uomo; tuttavia, a suo favore, occorre dire che la presenza dei gatti in poesia supera forse quella dei cani. Dipenderà probabilmente anche dalle caratteristiche di mistero e di indipendenza che questo animale possiede; forse, però, dipende soprattutto da un’illustre tradizione che, se ha avuto in prosa il suo grande capostipite moderno nel racconto de “Il gatto nero” di Edgar Allan Poe, in poesia ha visto Charles Baudelaire come capostipite di una ricca e straordinaria serie di testi dedicati ai gatti: da Verlaine a Pascoli, da Corazzini ad Apollinaire, da Yeats a Neruda, da Lorca a Borges, da Pessoa a Montale, da Saba a Pavese, da Penna a Rodari, da Eliot a Éluard, da Ferlinghetti a Bukovsky, da Prevert ad Auden, da Fortini alla Szymborska, fino ad alcuni dei maggiori poeti italiani dei nostri giorni: Raboni, Benni, Marcoaldi, Dario Bellezza…
Fra gli animali che da sempre accompagnano la vita degli uomini, il gatto e il cane si contendono la palma dei più amati, al punto che si potrebbe sostenere che buona parte dell'umanità si divide tra 'gattofili' e 'cinofili'. Tuttavia è certamente il gatto che ha giocato un ruolo più centrale di qualsiasi altro animale nell'ispirazione dei poeti, come dimostra questo volume, un'esauriente antologia di testi dedicati a questa presenza così comune, eppure sempre così enigmatica, nelle nostre case. Anche se l'antologia è particolarmente incentrata sulla poesia moderna e contemporanea, non potevano mancare alcuni testi più antichi, come il sonetto di Torquato Tasso, l'apologia' felina del poeta inglese Christopher Smart, i due haiku del poeta giapponese Basho e del suo allievo Shiko, che rispettivamente aprono e chiudono il libro. Fra questi estremi di diverse e lontane classicità, troviamo le poesie di romantici inglesi come Wordsworth, Shelley, Keats; di francesi come Baudelaire, Verlaine, Apollinaire, Prévert; di alcuni dei massimi poeti del Novecento, da Yeats a Rilke, da Borges a Neruda, da Pessoa a Garcia Lorca, da Alberti a Bukovsky, fino a grandi poeti dei nostri giorni come l'irlandese John Montague, la polacca Wieslawa Szymborska, la brasiliana Marcia Theophilo. Anche nella poesia italiana moderna la figura del gatto è ben presente. L'antologia offre, anche qui, una ricca messe di poeti fra i nostri maggiori, fino ad arrivare alle generazioni a noi più vicine.
Questa edizione raccoglie in ordine cronologico tutte le poesie e le opere teatrali pubblicate dal poeta e quelle postume. Le poesie compongono un itinerario creativo che, partendo dall'elaborazione romantico-simbolista degli elementi costitutivi del mondo infantile - il canto della ninna nanna, il mito della favola - e traendo successivamente ispirazione dal folclore gitano-andaluso, approda - arricchito dall'esperienza newyorkese - a un linguaggio surreale e barocco, fortemente immaginifico. La poesia di Lorca non è mai paga di sé e trae vita dal costante contatto con la realtà, dai contrasti più violenti - primo fra tutti quello tra amore e morte - e dal bisogno di conciliare la tradizione con l'avanguardia, perché "la luce del poeta è la contraddizione". Il teatro di Garcia Lorca, con i drammi, le tragedie, le farse, le commedie, i semplici divertimenti, testimonia una parabola creativa che, nell'ambito scenico, si presenta tanto rapida e breve quanto densa di motivazioni, di istanze, di confluenze tra eredità colta e tradizione orale popolare, linfa, questa, di un'arte intimamente rivoluzionaria. Fa da sfondo l'ambiente andaluso, il quale, peraltro, non è ridotto mai a pura evocazione regionalistica, ma agisce da protagonista nel dramma che di volta in volta racchiude.
Sono qui raccolte in edizione completa tutte le poesie di Carducci, comprese le giovanili e le disperse. Esaltato a suo tempo e poi ingiustamente dimenticato, Carducci si presenta con i suoi versi ricchi di contenuti, caldi di passione e classicamente limpidi nella forma. La battaglia politica, la rievocazione della storia, i trasporti amorosi, i dolori familiari, l’attrazione per la bellezza, il senso del paesaggio e della natura animano una poesia che ha il colore del suo tempo, ma ripropone anche valori attuali di cui si torna a sentire il peso: la chiarezza del linguaggio, la forza delle idee.
Sono inanellate in questo libro, una dopo l'altra, le perle più luminose dello scrittore bengalese Rabindranath Tagore, premio Nobel per la Letteratura, che celebrò l'amore umano e divino incantando generazioni di lettori in tutto il mondo. Ogni gioiello di questo scrigno prezioso declina in mille sfumature l'amore per se stessi, per gli altri, per Dio e l'intera Creazione. Sono schegge narrative, liriche e parabole, alcune tradotte per la prima volta in Italia. La straordinaria capacità evocativa del narratore-poeta fa risuonare a ogni pagina echi della grande letteratura sacra e profana: da Gilgamesh al Cantico dei Cantici, dalla Bhagavad gita ai mistici Sufi, da Dante a Shakespeare fino ai romantici Wordsworth e Keats. Cesellando frasi e versi con sensibilità tutta orientale, Tagore crea intarsi di rara bellezza, una preziosa alchimia che abbraccia cielo e terra e che prova ai pessimisti che l'amore, quello autentico, vince sempre: sul dolore, sull'ingiustizia, sulla morte.
Il libro arriva quattro anni dopo "Vedere Cose" e ne rappresenta l'ideale continuazione. La poesia di Heaney incide il tempo delle cose, sfiora la storia dei grandi e fissa per sempre l'elegia familiare. Tornano i grandi artigiani intenti al lavoro, i suoni liquidi e ondeggianti di risacche e scrosci, i colori del cielo di Irlanda di contro ai paesaggi dove vento e luce si incontrano a ridosso dell'oceano. La naturale concisione di Heaney lascia talvolta il posto a un andamento narrativo più sciolto, mentre il verso si libera e fluttua nel racconto di un ricordo per tornare docile alla terzina, alla semirima, all'allitterazione come chiave sonora per aprire il mistero delle cose.