
La poetessa giapponese di "Se sei triste guarda il cielo" ha toccato il cuore di molti lettori. E ameranno anche la leggerezza delicata e l'ottimismo di questa sua nuova raccolta. Perché le parole della piccola donna di cento anni sono tanto semplici che sembrano scritte da una bambina. E come le parole dei bambini hanno una saggezza profonda e una capacità unica di sollevare l'animo e il morale, di inondarci con un'epidemia di meravigliosa tenerezza.
Nel 1970 Pier Paolo Pasolini curò personalmente un volume di "poesie vecchie" tratte da "Le ceneri di Gramsci" (1957), "La religione del mio tempo" (1961) e "Poesia in forma di rosa" (1964). Considerava questa scelta come "un atto conclusivo di un periodo letterario per aprirne un altro" e su richiesta di Livio Garzanti ne scrisse l'introduzione, intitolandola "Al lettore nuovo". L'antologia - qui riedita integralmente con l'aggiunta di una breve nota proponeva un volume di poesie a sei anni di distanza dall'ultima raccolta pubblicata.
Narratrice famosa in tutto il mondo, e molto amata anche nel nostro paese, Nina Berberova (San Pietroburgo 1901 - Philadelphia 1993) esordì come poeta giovanissima, quando ancora viveva in Russia. Emigrata prima a Berlino nel 1922, poi a Parigi nel 1923 insieme a Vladislav Chodasevic - uno dei maggiori poeti russi del Novecento - continuò a coltivare la poesia, pubblicando però quasi esclusivamente saggi, romanzi e racconti. Solo ottantenne, dopo i riconoscimenti ottenuti dal volume di memorie "Il corsivo è mio", Nina Berberova decise di raccogliere in volume una scelta delle sue liriche composte fra il 1921 e il 1983, molte inedite, altre apparse nelle riviste russe dell'emigrazione tra gli anni Venti e i Sessanta.
Il libro raccoglie alcune delle più belle odi nerudiane dedicate al libro e al suo mondo: la tipografia, gli scrittori, la poesia, la critica... Dopo "Ode al vino e altre odi elementari", ancora una volta sorprende, di questo grande poeta, la molteplicità della sua ispirazione; niente sembra sfuggire alla sua poesia, e caratteristica peculiare delle odi nerudiane è proprio questa "conquista" delle cose e dei nomi nell'unico linguaggio che il poeta può riconoscersi: quello della poesia.
Dopo la vittoria dei franchismi e la caduta della repubblica, Rafael Alberti lasciò la Spagna, rifugiandosi prima a Parigi e poi in Argentina. Nel 1963 si trasferì a Roma, dove visse a lungo, legandosi all'ambiente letterario e artistico della capitale. E a Roma, alla Roma popolare del Belli, alla città più segreta e affascinante, antiufficiale e antimonumentale, sono dedicate le poesie di 'Roma, peligro para caminantes', uscite per la prima volta nel 1972, poco dopo la scomparsa di un altro grande artefice di questa raccolta, Vittorio Bodini, che a Rafael Alberti fu particolarmente legato ed al quale il poeta spagnolo volle testimoniare la sua riconoscenza nel prologo da lui stesso scritto per l'edizione italiana.
Eugenio Montale definiva Kavafis "un vero alessandrino, nello spirito e nella carne", e ne indicava la "genialità" proprio nella consapevolezza del poeta neogreco "che l'Ellade di allora corrispondeva all'homo europaeus di oggi". In questo modo il grande poeta italiano rispondeva a quei critici - e non furono pochi, all'inizio - che avevano rimproverato a Kavafis una presunta mancanza di "originalità", senza saper vedere come invece la sua poesia fosse riuscita nell'impresa di "immergerci in quel mondo come se fosse il nostro": e un'immersione in profondità, come solo la grande poesie riesce a fare.