
Per Mila Bibikova, la parola mamma è vuota, staccata da qualunque sentimento: la trova scritta nei libri, ma non ha posto nel mondo popolato di orfani in cui trascorre l’infanzia. Del resto, aveva tre anni quando sua madre fu arrestata in quanto moglie di un nemico del popolo e internata in un gulag. Mila conosce benissimo, invece, il significato di Partito e Stalin, e quel volto baffuto che la fissa da tutte le pareti è per lei l’immagine più prossima a una figura paterna. Anche se è stato proprio quell’uomo a privarla del vero padre, giustiziato per crimini contro la rivoluzione.
L’unico brandello di famiglia a cui Mila può aggrapparsi è la sorella maggiore, Lenina. Insieme affrontano la prigione e gli stenti, fino a quando il caos della Seconda guerra mondiale le divide, e Mila finisce in una città ai piedi degli Urali popolata da bambini allo sbando, che si nutrono di erba della steppa e vivono seguendo la “legge dei lupi”.
Se crescendo Mila impara a lottare per sopravvivere, una volta adulta non smette di combattere. Innamoratasi di un giovane diplomatico inglese, si ritrova di nuovo dalla parte del “nemico” quando lui viene espulso dal suolo sovietico. Ostacolato dalla Cortina di ferro, il loro amore si nutrirà per ben sei anni di fiumi di inchiostro: lettere che saranno capaci di superare le barriere innalzate dall’odio e dall’ideologia.
Partendo da quelle lettere ritrovate in soffitta, il figlio di Mila riannoda i fili di un’incredibile saga familiare, in cui rivivono alcune delle pagine più drammatiche della storia del Novecento e in cui il coraggio di una donna diventa un inno all’amore e alla libertà.
Sotto il ponte più antico di Parma, il cadavere di un uomo affiora dalla riva melmosa. È stato assassinato, e poi gettato in acqua chissà dove, finché la corrente non l'ha portato lì. Il commissario Soneri, incaricato delle indagini, si affida come sempre all'istinto e raccolti i primi, labili indizi, decide di risalire il fiume. In un freddo, piovoso pomeriggio di gennaio, il suo tragitto a ritroso lo conduce in un borgo isolato dell'Appennino, vicino a un passo percorso un tempo da mercanti e pellegrini e ora battuto da ambulanti extracomunitari, ma anche da "spalloni" della droga. I paesani parlano poco e malvolentieri, l'ostilità verso l'intruso, perdipiù sbirro, è palese, tuttavia Soneri arriva a scoprire in fretta l'identità della vittima - un ricco e temuto imprenditore del posto - e a legare il suo nome a un pesante scontro di interessi sul futuro di quelle montagne. Col passare dei giorni l'inchiesta si fa sempre più inquietante, mentre il commissario cerca, letteralmente, di trovare la pista giusta fra sentieri impervi che si perdono in un paesaggio intatto di neve, alberi e acqua. In questo scenario che lo affascina e insieme lo turba, s'imbatte in alcuni bizzarri personaggi, raccolti in una sorta di "comunità dei boschi", e in uno scomodo prete dalla fede eversiva, confinato per punizione in quel luogo dimenticato da Dio...
"Ma chi sono questi uomini, chi sono i 'demoni'? I demoni sono anzitutto 'uomini d'idea', come li definisce Bachtìn, cioè uomini posseduti, tormentati, divorati da un'idea, cioè da una concezione onnicomprensiva, onniesplicativa e onnirisolutiva della realtà, uomini che si credono in possesso della 'Verità', ma ognuno dei quali si è costruito una sua Verità' in una forma aberrante, distruttiva, catastrofica. In questi uomini - secondo Dostoevskij - si ritrova una caratteristica specifica ed esclusiva dello spirito russo: il russo è divorato da un'inesausta sete di verità ed è in grado di dedicarsi appassionatamente, fanaticamente al perseguimento dell'ideale da lui concepito, fino ad arrivare a ogni eccesso e a ogni estremo, compreso il sacrificio totale di sé." (Gianlorenzo Pacini)
Nel Libano della fine del XIX secolo, Wakim Nassar è costretto a fuggire dal suo villaggio a causa di un'oscura lite. Con tenacia e caparbietà saprà ripartire dal nulla, creando delle grandi piantagioni di arance nei dintorni di Beirut. Insieme alla sua sposa Hélène fonderà una famiglia numerosa, diventando un capo-clan temuto e rispettato. La grande casa che farà costruire in mezzo agli aranceti, ammirata dalle genti che passano da lontano, sarà il simbolo della sua gloria. Ma la Prima guerra mondiale, le malattie, le intemperanze di uno dei suoi figli mineranno il suo effimero impero. I discendenti di Wakim dovranno lasciare, uno dopo l'altro, la grande casa che ora rischia di andare in rovina, e prenderanno la via dell'esilio. Questo romanzo ricco di colore e di risonanze, attraversato da personaggi straordinari e curiosi, racconta l'ascesa e la caduta della famiglia Nassar. Sullo sfondo, uno spaccato di storia del Libano, dall'Impero ottomano al mandato francese.
Arthur Lee è un medico cinese: vive a Boston e ogni tanto pratica l'aborto, non per lucro ma per convinzioni morali. L'intera comunità dei medici ne è al corrente. Un giorno però muore Karen Randall, una ragazza minorenne. Muore per un aborto mal riuscito mormorando il nome di Lee, che viene subito arrestato e messo al bando. Ma John Berry, amico di Lee, è certo della sua innocenza e, sfidando l'ostilità della high society, le ire della polizia, le vendette della malavita, conduce un'indagine spietata che si conclude con una rivelazione sconvolgente. Il libro è stato originariamente intestato a Jeffery Hudson pseudonimo di Michael Crichton.
Nelly Boxall, la cuoca di Virginia Woolf, non ebbe mai una stanza tutta per sé; dovette condividerla per anni con la cameriera Lottie, peraltro sua amica. Il diritto ad averla quella stanza, - che la Woolf, pubblicando "Una stanza tutta per sé", eresse a condizione essenziale per una donna intellettualmente emancipata - è pervicacemente negato alle sue domestiche. Ma questa è solo una delle contraddizioni che segnano il lungo e tormentoso rapporto di Nelly con la sua signora, raccontato in questo libro di Alicia Giménez-Bartlett. La Bartlett racconta di come si sia appassionata alla vicenda di Nelly e di casa Woolf e, al resoconto delle sue ricerche sull'Inghilterra dell'epoca, alterna il racconto della cuoca così come viene fuori dalle pagine del giornale intimo che Nelly tenne per 18 anni (il tempo che rimase al servizio della scrittrice), riordinato e riempito grazie alla lettura comparata dei due diari, quello della cameriera e quello della signora.
"Curioso, smarrito, furioso, sincero." Così è stato definito dall'Independent il protagonista di questo romanzo. Si chiama Lev, e già il nome - breve, poco noto, da pronunciare quasi con voce sommessa - dà le prime pennellate al ritratto di un uomo che attraversa l'Europa dell'Est in cerca di qualche forma di sopravvivenza. Sulle sue speranze incombono i fantasmi della moglie morta e la nostalgia per la figlia, ma ad alleviare i momenti di sconforto riaffiora il ricordo di Rudi, l'esuberante amico fraterno che coltiva il suo sogno americano al volante di una scassata Chevrolet. Quando arriva a Londra, Lev viene risucchiato da una città frenetica, spesso ostile, dominata da un cinico culto del successo, che gli offre un lavoro nel ristorante di un famoso chef per poi spedirlo nei melmosi campi del Norfolk. Fra incontri bizzarri e insperate opportunità, Lev trova l'amicizia nella casa di un idraulico irlandese alcolizzato, riscopre l'amore fra le braccia dell'inquieta e sensuale Sophie, e impara ad affrontare ogni sfida con l'unica risorsa a cui può aggrapparsi: un'incrollabile fede nei sogni.
Un bel mattino, a Milano, a Roma, o in qualsiasi altra città del mondo, le lampadine non si accendono, il frigorifero è spento, niente caffè al bar, niente benzina alle pompe. In un batter d'occhio crollano banche e assicurazioni, il denaro non vale più. Il panettiere con forno a legna è preso d'assalto, tornano in auge le biciclette e l'energia prodotta dal sole, dal vento e dai combustibili vegetali finalmente si afferma. Le guerre del petrolio non hanno più ragione di esistere. I potenti di turno rimangono intrappolati nelle loro ville superprotette e superaccessoriate, mentre i politici e i religiosi paludati smettono di fare chiacchiere inutili e razzolano insieme agli altri affamati. Le città si svuotano e si riempiono di nuovo le campagne. E ovunque si ritorna spontaneamente a riunirsi, a discutere.
L'autrice racconta la storia di una nonna (nonna della narratrice), della sua vita, del suo matrimonio e dei suoi amori. In quest'ordine, appunto, perché alla nonna tutto capita un po' in ritardo, quando ormai non ci spera più. Il matrimonio sembrava una possibilità sfumata (per via di una sentimentalità troppo accesa che faceva fuggire i pretendenti), quando a Cagliari, nel '43, arriva un uomo che viene ospitato dalla famiglia e si sdebita sposandone la figlia. Ma non è ancora l'amore, quell'amore vagheggiato e sognato da tutti i personaggi di Milena Agus, con tanto sfortunato ardore. Ed ecco che sembra arrivare inaspettato, durante un viaggio in Continente, durante una cura termale per curare il "mal di pietre", i calcoli renali.
Un inno alla vita e all'amore terreno; ma anche un canto di dolore e di disperazione. È questo il senso della lunga lettera indirizzata ad Aurelio Agostino, il grande Padre della Chiesa, vissuto nel IV sec. d.C, da Floria Emilia, sua ex amante e madre del suo unico figlio. Una lettera mai venuta alla luce, fino al 1995, quando Jostein Gaarder, spulciando tra gli scaffali di una vecchia libreria antiquaria di Buenos Aires, non s'imbatte nel prezioso codice. Un ritrovamento importante, poiché attraverso le struggenti parole di Floria prende forma una figura appena accennata nelle celebri Confessioni ed emergono i tratti di quell'unione felice. Dalla voce di Floria scaturisce, così, un racconto accorato e commovente, ironico fino al sarcasmo ma vibrante ancora di tenerezza e desiderio, in cui una donna, ferita nel proprio orgoglio, ma non rassegnata, si ribella alla perdita del proprio uomo, ponendo a lui, a se stessa e a noi le eterne domande sul divino, la natura umana e il significato dell'amore.
Portsmouth, 1787. È la vigilia di Natale, e il ladruncolo John Jacob Turnstile, quattordici anni, è stato preso di nuovo con le mani nel sacco. Questa volta, può scegliere la sua condanna: un anno di galera o due come sguattero a bordo di una nave. Il ragazzo non ha dubbi: sceglie il mare. Il Bounty è un maestoso vascello della flotta inglese, e John, incantato dalla vastità dell'oceano, accoglie con tutta la meraviglia di cui è capace la nuovissima vita che gli si apre di fronte. Senza immaginare che sta andando incontro a uno dei viaggi per mare più travagliati di tutti i tempi, diventando testimone della più celebre rivolta della storia della marina britannica. Ma negli occhi spalancati e impazienti di un ragazzo, anche una pericolosa avventura come quella che porterà il Bounty a Tahiti, terra coloratissima dove il tempo sembra non essere mai cominciato, può diventare un'irripetibile occasione di crescere davvero, e imparare il significato dell'amicizia, della lealtà, del coraggio. Per assaporare, finalmente, qualcosa che somiglia molto alla libertà. Con questo nuovo romanzo, John Boyne ci regala una storia piena di emozione e di avventura, raccontando con straordinaria delicatezza il passaggio all'età adulta di un ragazzo che la vita ha messo dura prova.
"Il fascismo ci aveva portato via le scuole, la lingua, persino i nomi. Tutto ciò che poteva esprimere, anche vagamente, la nostra identità nazionale fu cancellato." Boris Pahor era solo un bambino quando a Trieste fu proibito parlare sloveno. L'italianizzazione forzata, imposta dal fascismo alla città multiculturale in cui era nato e cresciuto, lo segnò per sempre. Studente più volte bocciato, seminarista per ripiego, soldato dell'esercito italiano, antifascista militante, deportato politico, insegnante e infine scrittore acclamato, Pahor ripercorre qui gli snodi della sua esperienza scandita dai tre no che oppose con uguale fermezza al fascismo, al nazismo e al comunismo. Attraverso il racconto personale - dall'incendio della Casa di cultura slovena ai campi di concentramento, dalle memorie di infanzia al primo amore salvifico - l'autore di "Necropoli" ricorda ai troppi che vogliono dimenticare che il fascismo non fu un regime tollerante, ma incarnò un male violento e oppressivo. E ripete che è giusto commemorare le vittime della barbarie delle foibe, ma è altrettanto necessario ammettere prima i soprusi di una dittatura senza pietà nei confronti delle minoranze. Perché la tragedia delle terre di confine nasce proprio dai silenzi di una memoria troppo indulgente con se stessa.