
«Avati sembra a volte l’erede di Piero Chiara, il narratore nato che fra ricordi e invenzioni scrive beato come un rubinetto aperto. Ho lavorato con Chiara, conosco Pupi e posso assicurare che si assomigliano. Ho frequentato molto Fellini e di nuovo posso garantire che le affinità elettive ci sono e come.»
Tullio Kezich, «Corriere della Sera»
Il figlio più piccolo ruota intorno alla figura di un «faccendiere», un personaggio chiave della nostra moderna commedia dell’arte. Luciano Baietti è un imbroglione cinico e senza scrupoli ma dalla simpatia irresistibile. Scaltro e attivissimo, megalomane e gran seduttore, è un uomo di successo che vive sempre sull’orlo del fallimento: con le donne, negli affari, nei rapporti con i media e con la politica... Quando tutto sembra perduto, grazie anche ai suggerimenti del suo diabolico consigliere e al clan dei suoi complici, riesce sempre a tirarsi fuori da guai. Uno come lui si salva sempre, a qualunque costo: magari coinvolgendo nei suoi traffici il figlio più piccolo, un ragazzo di vent’anni che ha abbandonato a una madre ingenua e protettiva...
Da decenni Pupi Avati guarda l’Italia – quella di oggi e quella di ieri – con il lucido distacco dell’intelligenza ma anche con la partecipazione affettuosa di chi nel nostro paese ha le radici e gli affetti. Da questo paese ora buffo ora tragico, Avati ritaglia personaggi e storie che divertono e al tempo stesso ci fanno capire meglio chi siamo davvero.
Potremmo incontrare gli eroi casalinghi del Figlio più piccolo al bar sotto casa o all’uscita di scuola, e ritrovarli il giorno dopo sui rotocalchi o al telegiornale, come protagonisti del gossip o di un fatto di cronaca. Le loro vicende regalano una parabola esemplare sull’Italia di questi anni: sgangherata, divertente e feroce, improbabile e vera.
Quella di Azincourt è una delle battaglie più famose della storia, teatro di uno scontro disperato tra l’esercito inglese e quello francese. Era il 25 ottobre 1415. Per gli inglesi rappresentò una straordinaria vittoria, che assunse dimensioni epiche molto prima che Shakespeare la immortalasse nel suo Enrico V...
Nicholas Hook è un arciere inglese di umili origini che, per salvarsi da una condanna a morte, parte come mercenario per difendere Soissons, la città in mano al duca di Borgogna. Le informazioni che riporta in patria sulle atrocità dell’assedio, unite alla sua abilità nel combattere, gli fanno guadagnare credito presso re Enrico V, che lo vuole con sé nella campagna diretta alla conquista della corona francese. Là, sulla piana di Azincourt, i nemici, in netta superiorità numerica, verranno sconfitti in una battaglia nella quale Hook avrà un ruolo cruciale.
Dal maestro del romanzo storico Bernard Cornwell un’opera che rappresenta un unicum nella sua produzione: una vicenda costruita su una rigorosa documentazione, capace di far rivivere in tutta la sua realtà una delle battaglie più drammatiche della storia.
A oltre un secolo dalla sua pubblicazione, Alice, come romanzo e come personaggio, conserva ancora intatta tutta la sua freschezza, incantando non solo i più giovani ma anche gli adulti, che nel suo mondo meraviglioso scoprono un altro sé, pronto a sfidare ardui giochi linguistici, entusiasmanti trucchi psicologici, situazioni impossibili che mettono in discussione la realtà e svelano l'irresistibile fascino dell'assurdo. In un romanzo in cui la sospensione dell'incredulità è d'obbligo, il gusto del gioco non può essere dimenticato e va riscoperto con occhi che sappiano guardare al di là del consueto. Perché qui è l'essenza della vita, e forse tra i sogni segreti di tanti c'è proprio la tana di un coniglio bianco in cui perdersi, uno specchio al di là del quale riscoprire la bellezza della vita reale. È letteratura per ragazzi? È un libro da leggere punto e basta. (Presentazione di Simona Vinci) Età di lettura: da 11 anni.
Il sogno di possedere un ritratto che invecchi al suo posto, assumendo i segni che il tempo dovrebbe tracciare sul suo volto angelico, diviene per Dorian Gray una paradossale, terribile realtà. Ma non saranno tanto le tracce del tempo che passa a fermarsi sul dipinto di quel bellissimo giovane, quanto le nefandezze di cui la sua anima si è macchiata. Un'anima giunta al culmine della dissolutezza, corrotta e degradata, trascinata nell'abisso della turpitudine e del vizio dal cinismo e dalla sfrenata avidità di piaceri di ogni sorta. Dalla sua sfida diabolica alla giovinezza eterna, Dorian uscirà sconfitto, schiavo di un ideale, assurdo desiderio di far coincidere l'arte con la vita. "Il ritratto di Dorian Gray" è considerato il romanzo simbolo del decadentismo e dell'estetismo.
Il libro
A Venezia tanto si ama e tanto si è amato; nessuno resiste alle sue sensuali atmosfere. E come raccontare la città più romantica del mondo se non ripercorrendo i grandi amori che ha ispirato? Veneziano è il seduttore per eccellenza, Giacomo Casanova, di cui questo libro ricorda le più spregiudicate prodezze amatorie. Veneziana è Bianca Cappello, futura moglie di Francesco I de’ Medici, che l’ansia d’amore mette in fuga dal palazzo del padre. Dalla Serenissima passano una ricca marrana perseguitata e il suo amante segreto, i cui intrighi alla corte di Costantinopoli scateneranno la battaglia di Lepanto. A Venezia lascia il segno Lord Byron, l’inquieto poeta inglese, che qui fa sue oltre duecento donne, “contesse e mogli di ciabattini, nobili, borghesi o popolane”. Non potevano mancare la passione travolgente fra Isabella Teotochi Albrizzi e il giovane Ugo Foscolo, la burrascosa storia fra Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse, e l’idillio “proibito” fra l’Hemingway maturo e un’affascinante baronessina diciannovenne, musa ispiratrice del suo Di là dal fiume e tra gli alberi. Per arrivare ad avventure e follie d’amore più recenti, come le nozze da fiaba tra la giovanissima Ira Fürstenberg e il principe Alfonso Hohenlohe o la presunta storia di Julia Roberts sul set del film intitolato – naturalmente – Tutti dicono I love you. Undici straordinarie vicende di passione e sentimento attraversano cinque secoli di storia, accomunate dal medesimo sfondo: Venezia, l’impareggiabile ruffiana.
Una bugia detta bene è immortale.
Libertà di stampa di Mark Twain propone per l'anniversario della morte dello scrittore alcuni saggi inediti sul tema della libertà di pensiero e di opinione. Una tematica di grandissima attualità analizzata da uno degli scrittori più estrosi, divertenti e acuti della letteratura mondiale del Novecento.
L'impudente genialità di Mark Twain punta il dito sul mestiere d’informare, sui metodi di costruzione e persuasione dell'opinione pubblica, sulla censura, sulla "troppa libertà" di certa stampa e sull'eccessiva cautela di certa altra, senza risparmiare colpi alla categoria a cui egli stesso apparteneva.
Solo ai morti è permesso di dire la verità, asseriva Twain dopo che diversi dei suoi scritti furono censurati o respinti dai suoi editori e caporedattori, sopportando le conseguenze dello scomodo privilegio di quella libertà di opinione a cui cercò sempre di dare espressione: «un uomo non é indipendente, e non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare, deve seguire la maggioranza. Per questioni molto importanti, come la politica e la religione, deve pensare e sentire come la maggior parte dei suoi vicini, altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari».
Gli scritti inediti Libertà di stampa, Fortuna e Opinioni di granturco - quest'ultimo inserito da Joyce Carol Oates tra i cento migliori saggi americani del XX secolo - spiccano tra gli altri scritti proposti (Privilegio dei morti. Riflessioni sulla libertà d’opinione; Avviso alla gioventù; Pregare in tempo di guerra; Giornalismo nel Tennessee; Come diressi un giornale per agricoltori). Una serie di articoli e racconti su uno dei temi più controversi del momento, caratterizzati da un inconfondibile talento umoristico e polemico.
Il cuore di questa raccolta pulsa tra la virtù e la maledizione del potere dell'informazione: «l’ammaestramento fa cose meravigliose. Non c’e nulla che l’addestramento non possa fare. Nulla e al di sopra o al di sotto della sua portata. Può trasformare i cattivi principi in buoni, e i buoni in cattivi; puo' annientare ogni principio, e poi ricrearlo».
Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino avere quattordici anni è difficile. E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina. Lo sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case popolari si sono trovate e scelte. Quando il corpo adolescente inizia a cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai alternative: o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppure sbatti in faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti aiuti a essere qualcuno. Loro ci provano, convinte che per sopravvivere basti lottare, ma la vita è feroce e non si piega, scorre immobile senza vie d’uscita. Poi un giorno arriva l’amore, però arriva male, le poche certezze vanno in frantumi e anche l’amicizia invincibile tra Anna e Francesca si incrina, sanguina, comincia a far male.
Attraverso gli occhi di due ragazzine che diventano grandi, Silvia Avallone ci racconta un’Italia in cerca d’identità e di voce, apre uno squarcio su un’inedita periferia operaia nel tempo in cui, si dice, la classe operaia non esiste più. E lo fa con un romanzo potente, che sorprende e non si dimentica.
Antonio Debenedetti si conferma un maestro indiscusso del racconto italiano.
Sandro Veronesi
Una modella bellissima e misteriosa è vittima di un omicidio involontario. Un terrorista degli anni di piombo fa i conti con il proprio fallimento. Il giovane Abel incontra in chat una donna e un destino spietato. Dal fascismo alla contestazione studentesca, dall’Italia democristiana a quella disorientata di oggi, con il suo paesaggio urbano quasi irriconoscibile, i racconti di questa antologia gettano uno sguardo disincantato su oltre mezzo secolo di storia del nostro Paese. Dalla pagina di Antonio Debenedetti, dallo stile che gli è valso il paragone con i grandi della letteratura novecentesca, affiora una curiosità vorace per l’uomo e le sue contraddizioni – il desiderio, la tenerezza, la solitudine, il rancore, la paura e la perversione. Crudele perché splendidamente a fuoco, la sua scrittura fa pensare, secondo le parole di Alberto Moravia, a “una musica da camera disinteressata e ambigua, che quando finisce si rimpiange che non continui”.
Al pari delle Braci e di Divorzio a Buda, questo romanzo appartiene al periodo più felice e incandescente dell’opera di Márai, quegli anni Quaranta in cui lo scrittore sembra aver voluto fissare in perfetti cristalli alcuni intrecci di passioni e menzogne, di tradimenti e crudeltà, di rivolte e dedizioni che hanno la stupefacente capacità di parlare a ogni lettore.
Seduto alla sua scrivania, l'imprenditore autodidatta Balram Halway, detto la Tigre Bianca, scrive sette lucide e impietose lettere al primo ministro cinese che si appresta a visitare l'India. Gli racconta delle proprie origini e delle propria storia: la storia di un ragazzo di una delle caste piú basse che da un fangoso villaggio all'interno del paese (dove «ogni buona notizia si tramuta in una cattiva notizia, e in fretta») arriva a New Delhi, dove mall luccicanti, sontuosi palazzi e auto tirate a lucido da magri autisti in ciabatte si accostano a bordelli di lusso con bionde prostitute dell'Europa dell'est. Qui, nel nuovissimo quartiere di Gurgaon, Balram Halway assiste alla progressiva e inarrestabile corruzione del suo padrone, ne assimila la mentalità e intuisce che il modo per fuggire dalla gabbia della miseria esiste: commettere un omicidio, rubare e mettersi in proprio. Grazie a un duro lavoro, a pasti trangugiati in fretta, a un codice morale dettato dalle necessità produttive, ma soprattutto applicando le auree regole degli affari apprese da Mr Ashok, il suo defunto ex principale, il successo non tarda ad arrivare. Per il futuro si vedrà: forse potrebbe investire parte del proprio capitale in una scuola per bambini poveri di Bangalore: una scuola piena di Tigri Bianche, in cui non si parla né di Gandhi, né dei 36 milioni di divinità indiane.
La cucina di una casa popolare, un tavolo, due uomini seduti intorno. Uno dei due è bianco, l'altro è nero. Sul tavolo c'è una Bibbia. I due uomini parlano. Non si conoscevano prima di questa mattina, quando il nero ha strappato il bianco alle rotaie del Sunset Limited sotto cui stava per lanciarsi. Ma quello era solo l'inizio. Ora i due devono andare oltre. E cosí parlano. Dai due lati del tavolo, da prospettive, lingue e colori antitetici, fra picchi di comicità e abissi di disperazione senza contatto possibile oltre all'ingegno folgorante della penna che li ha partoriti.
Un «romanzo in forma drammatica» che raggiunge il nucleo pulsante dell'indagine esistenziale di McCarthy. Non ci sono approdi, prese di posizione, risposte. C'è solo una domanda: che cosa ti divide dal tuo Sunset Limited?
Non lasciatevi ingannare. Si chiama Santuario dei Redentori, quello in cima a Shotover Scarp, ma è un luogo che non dà nessun rifugio e offre ben poca redenzione. Anzitutto è circondato, a perdita d'occhio, da un'arida boscaglia, è avvolto da una perenne coltre di fuliggine ed è così grande che è facilissimo perdersi, proprio come ci si perderebbe in una landa desolata. Poi ci vivono più di diecimila ragazzi, tormentati dalla fame e dal gelo, costretti a pregare e a fare penitenza, stremati da punizioni brutali e da un addestramento sfibrante. E tutto perché i Redentori hanno un disperato bisogno di soldati da mandare in guerra contro gli Antagonisti, contro coloro che non credono in nessun Dio. Una guerra che dura ormai da due secoli. Questa è stata la vita di Cale da quando, dieci anni prima, è stato strappato alla sua famiglia e condotto nel Santuario. Adesso Cale di anni ne ha quattordici: il suo passato è stato cancellato, il suo presente è un inferno e il suo futuro è la morte sul campo di battaglia. La stessa fine di tutti i suoi compagni. Però Cale non è come gli altri. Non si lamenta, non rimpiange, non protesta. Il suo sguardo è freddo e spietato, il suo cuore è calmo e risoluto, la sua mente è lucida e determinata. Perché Cale ha un piano. Deve fuggire. Ma non si può sfuggire al destino. Infatti, dopo aver abbandonato il Santuario, Cale si ritroverà in un mondo ancora più crudele e pericoloso. Un mondo in cui bisogna combattere con le armi e con l'astuzia.

