
Questi racconti, scritti nella seconda metà degli anni ottanta, sono di ambientazione prevalentemente africana, ma non si svolgono solo in Sudafrica, o nel resto del continente. Offrono piuttosto una panoramica del mondo nel suo complesso. Sono storie diverse tra loro, in differenti paesi, con personaggi di varia estrazione sociale e razziale. Sono sedici narrazioni lapidarie e folgoranti, tra cui: una fuga dal Mozambico attraverso il Kruger Park, in condizioni così dure da rendere i fuggitivi simili agli animali che i turisti vanno ad ammirarvi; un rapporto d'amore tra una meticcia e uno svedese, messo in pericolo dall'impegno politico di lei; la paura dei bianchi di essere assaliti nelle loro case e il tentativo di trasformare quindi le abitazioni in bunker, con il rischio di rimanervi imprigionati a propria volta; l'eterno interrogarsi da parte di alcuni bianchi sulla possibilità reale di considerare il Sudafrica il loro paese; il disgusto di un controrivoluzionario verso ciò che ha fatto; la colpa segreta di un ricco agricoltore afrikaner. Sono spesso storie di violenza, esplicita o implicita che sia, narrate in modo incalzante, con finali per lo più imprevisti e aperti, che lasciano il segno. Con sguardo disincantato e problematico, e in uno stile asciutto e incisivo, Nadine Gordimer vi affronta temi a lei particolarmente cari, quali la politica, l'amore, il futuro, l'incontro e lo scontro tra culture, le conseguenze di sradicamento e migrazioni.
Nel 1857, al tempo della pubblicazione dei Fiori del male, Baudelaire dichiara che gli artifici dello stile poetico sono un ostacolo allo sviluppo di un pensiero che abbia come oggetto la verità. È l'atto di nascita dello Spleen di Parigi, la serie di poemi in prosa che, a partire dalle città immense e dai mille destini che vi si intrecciano, cercano di trovare un linguaggio che li sappia esprimere, ma che sappia esprimere anche i soprassalti di una vigile coscienza in cui essi si riflettono come una esperienza incancellabile. Questo linguaggio deve afferrare l'inafferrabile, deve trasformare la dissonanza che domina il Moderno, come la sua cifra più autentica e tragica, in un canto di bellezza che si elevi sopra le nebbie delle strade, sopra la cupa foresta di pietra dei tetti e delle mansarde che abbuiano la città.
"Questo libro è anche un sasso scagliato contro quest'immagine angelica del bambino, che deve essere sempre innocente, felice, coi capelli biondi e il sorriso dolce, i piedini teneri e puri. Il suo personaggio sarà una testa matta, coi capelli rossi, un bambino ombroso, infelice, cattivo, spione, invidioso, bugiardo, a un passo dal suicidio, persecutore di animaletti domestici, pieno di pidocchi, coi piedi inguardabili per la sporcizia [...] Ancora: si da un sacco di arie da padroncino con la cameriera, ogni tanto in famiglia se la gioca da saputello, e arriva perfino a causare il licenziamento della vecchia domestica Honorine." (dalla prefazionedi Rossana Campo)
Vienna, fine Ottocento. Un coppia mondana: un medico e una donna bellissima. Dopo la confessione del sogno di un adulterio da parte di lei, il dottor Fridolin si ritrova tra le strade della capitale austriaca in avvenimenti oscuri e quanto mai onirici. Il sogno rappresenta, indubbiamente, il motore degli avvenimenti che si succedono in questa fortunatissima novella di Arthur Schnitzler. Esso innesca una crisi nella coppia protagonista della narrazione, ma si rivela allo stesso tempo terapeutico, in particolare nel momento in cui viene rivelato, comunicato, ovvero quando non appare più legato soltanto all'interiorità di chi lo sperimenta.
È il primo testo letterario, non di finzione, in cui l'autore esiliato dal mondo, è davvero convinto di rivolgersi soltanto a se stesso. È anche un documento della patologia psichica di un uomo che cerca compensazione e sollievo nella libera attività del sognare, contemplare, divagare della mente e quindi nel registrare nella scrittura, l'ebbrezza di questo abbandono. Un romanzo di "ecologia della mente", testimonianza poetica e psichica di un'operazione alchemica: una trasformazione della sofferenza in musica, del disagio del vivere in estasi, dove immanenza e trascendenza, vita e sogno, coincidono.
Cosa turba la serenità della diciannovenne Yayoi? Della sua vita idilliaca in seno a una "famiglia felice della classe media che sembra uscita da un film di Spielberg", dove il giardino è ben curato, gli abiti perfettamente stirati, i fiori sempre freschi sul tavolo e i genitori comprensivi e sorridenti? Forse a minacciare l'equilibrio di Yayoi è una sensibilità paranormale che le fa percepire presenze invisibili, e che contrasta con l'incapacità a ricordare gli anni dell'infanzia, stranamente cancellati dalla sua memoria. O forse il pericolo è il suo trasporto per Tetsuo che tende a superare i limiti dell'affetto fraterno.
Il narratore risiede in un villaggio normanno. Nella solitudine brumosa della campagna, in una casa dalle scale scricchiolanti, piena di piccoli notturni rumori, raccoglie materiali documentali sul misterioso popolo dei Gamuna: le fonti maggiori sono le lettere e i taccuini di un amico viaggiatore, gli articoli di un aviatore argentino e il diario che una suora vietnamita gli legge quando egli si reca a trovarla al di là della Manica. Gianni Celati dà vita a un romanzo di antropologia fantastica ricreando la storia dei Gamuna, della loro lingua, dei loro costumi, del mistero che li circonda.
"Venga, le ho detto. Perché? Guardi fuori, è già l'alba. E allora? È ora che lei torni a casa a dormire. Cosa c'entra che ora è, sono mica una bambina. Non è questione di ore, è una questione di luce. Che cavolo dice? È la luce giusta per tornare a casa, è fatta apposta per quello. La luce? Non c'è luce migliore per sentirsi puliti. Andiamo". Si incontreranno per tre volte, ma ogni volta sarà l'unica, e la prima, e l'ultima.
Una ragazza bonaerense bellissima, destinata a diventare l'Emmanuelle argentina, fugge in Spagna inseguita dai militari. Anni dopo, il cadavere di una barbona assassinata viene ritrovato a Barcellona. Carvalho, insieme al fidato Biscuter, dovrà chiarire inquietanti misteri che coinvolgono il giudice Garzón, l'ispettore-semiologo Lifante, tutta una serie di emarginati e un nucleo di alleanze segrete tra diversi stati. La Barcellona crepuscolare del Barrio Chino sta ormai diventando la città del design mentre, un po' dappertutto, nuovi cadaveri spuntano come funghi velenosi. E, sempre presente, il tango. A dieci anni dalla sua scomparsa, torna Manuel Vázquez Montalbán con un romanzo inedito della serie Carvalho, quasi un prologo al "Quintetto di Buenos Aires", ritroviamo qui personaggi, stile e temi ricorrenti nell'opera di Manuel Vázquez Montalbán, come la buona cucina, la figura di Pepe antieroe sexy, o il Biscuter consigliere-intellettuale-modernizzatore.
Dalla Napoli borbonica fastosa e miserabile, passando per la Napoli sfigurata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, fino a oggi, per vicoli e palazzi, umide stamberghe e salotti sontuosi, si dipana il destino dello Scurnuso, "il Vergognoso". È uscito dalle mani sensibilissime dell'orfano Sebastiano, ceduto ancora bambino al pastoraio Tommaso Iannacone come risarcimento per un lavoro non pagato. Sebastiano ha disegnato e scavato nella creta il suo amore per il padre adottivo e maestro, perché risuonassero per sempre la musica di quelle dita gentili e lo spasimo della bellezza. Quel miracolo sopravvive nel tempo, attraverso proprietari diversi, nel farsi e disfarsi dei grandi presepi. Passa di mano in mano destando ogni volta uno sgomento segreto. Una sequenza narrativa che ha come protagonista la bellezza stessa, una bellezza umile che dice le ragioni di un durevole incantamento.
Torna l'ineffabile commissario Jules Magrite, con i baffi, le maglie a righe, la passione per i cibi di qualità e i vini d'annata. Torna in Italia come turista. Al suo fianco il giudice Michelle Lapierre, conosciuta durante le indagini su un caso sanguinoso. Con lei vive una relazione di abbandono e pudore, di tenerezza e disincanto, che in questa vacanza potrebbe consumarsi o, chissà, diventare una vera storia d'amore. La loro permanenza a Ischia - o, come dicono i francesi, "Iscià" - è appena cominciata quando l'omicidio di un giovane romeno scuote la quiete dell'isola. Magrite non tarda a farsi coinvolgere, anche perché dal giorno del suo arrivo Peppe 'o Francese - meglio noto ai flic come Pépé le Couteau - lo riempie di racconti e confidenze, su di sé e i suoi compaesani, come se davvero non avesse aspettato altro. E oltre il sipario delle buganvillee, delle scogliere e dell'acqua verde-azzurra il commissario scopre ben presto corruzione, degrado, criminalità. Pépé le Couteau accompagna Magrite dentro l'inferno di uno dei più celebrati paradisi mediterranei. Fino a dove? E a che prezzo? Dopo "Giallo su giallo", Gianni Mura scrive un noir civile intenso e appassionato.
Nel giugno del 1940 l'esercito italiano attacca la Francia sul confine alpino: i francesi sono già prostrati dalla disfatta appena subita a opera dei tedeschi, ma i fanti italiani avanzano con enorme fatica e l'equipaggiamento inadatto miete più vittime, per assideramento, delle pallottole nemiche. "Alla prova della montagna il fascismo era già finito", scrive Bocca. L'autore ha girato il mondo e all'Italia ha dedicato diversi libri: qui ritorna alla "patria alpina", alla provincia incastonata tra le montagne da cui proviene e che diventa il crogiuolo in cui si mettono alla prova gli uomini e le idee. Dalla grande schiatta piemontese dei maestri di antifascismo - i Gobetti, i Galimberti, gli Einaudi, i Bianco - al rapporto con i valligiani nella Guerra di Liberazione, alla scoperta dell'eredità occitanica tra Piemonte e Francia, dalla provincia eterna che produce buoni alimenti ma è politicamente sempre rivolta al passato, fino alle montagne amatissime in cui ha passato la sua giovinezza di forte sciatore e che sono ora anch'esse vittime dell'industrializzazione, trasformate in palestre meccanizzate per il tempo libero.

