
“Ricordi come cercavi di trattenermi?
Ritenevi che si debba restare là dove si è stati messi.
Può anche darsi che tu abbia ragione,
ma ho la certezza che il mio posto sia proprio in Israele,
e la dimostrazione è che fin dal primo minuto
di questo viaggio tutto mi è stato propizio.
Uno lo sente, se va contro la provvidenza o se, invece,
segue la propria vocazione.”
Non poteva che essere una grande scrittrice russa, già direttrice letteraria del Teatro Ebraico di Mosca, a narrare la tragica ma anche avventurosa e mistica vicenda – ispirata a una storia vera – di Daniel Stein, l’eroe di questo romanzo fatto di decine di testimonianze diverse: lettere, interviste, diari, articoli di giornale, atti giudiziari, dai quali i vari personaggi si affacciano per far udire la propria voce, la propria “verità”. E la figura di Daniel Stein, il ragazzo ebreo che lavorando come traduttore per la Gestapo riesce a far fuggire trecento ebrei dal ghetto di Emsk, s’impone su tutte. Il suo è lo stesso dono delle lingue che fu fatto agli apostoli nella Pentecoste, è la capacità di mettere in comunicazione gli uomini e le culture. Lo confermano le tappe del suo cammino: l’arresto, una fuga avventurosa, l’attività fra i partigiani, l’approdo in un convento femminile, la conversione al cattolicesimo, la scelta di diventare frate carmelitano e infine, dopo la conclusione della guerra, il trasferimento in Israele. Qui, a Haifa, Stein fonda una comunità ispirata alla primissima chiesa, la “chiesa di Giacomo”, dove la messa si celebra in ebraico e si tenta una sintesi di ebraismo e cristianesimo. Ma al di là dei fatti, è il magnetismo di Stein a tenere insieme questo puzzle narrativo, un’avvincente polifonia di storie che si dispiegano fra l’Europa orientale dell’Olocausto e l’Israele del dopoguerra, la terra dove, come dice un personaggio, “ogni vita è un romanzo”. Una vecchia comunista irriducibile, finita in un ospizio israeliano; sua figlia emigrata in America e perseguitata dal passato; una monaca dalla tormentata vita interiore; un medico salvatore di ebrei e affascinato dalla millenaria sapienza ebraica; un ex dissidente russo, diventato fanatico ultrareligioso a Hebron, che partecipa a un attentato terroristico e vede il figlio sedicenne morire suicida... Una carrellata epica nella storia vicina-lontana, sulle orme di un maestro di ecumenismo, quel Daniel Stein in cui l’autrice vede forse uno dei trentasei giusti sui quali, secondo una leggenda ebraica, si regge il mondo.
“Se vi piacciono i libri come L’Alchimista o Il piccolo principe,
amerete La timidezza delle rose.”
Time Out
Diana è una ragazza poco più che ventenne. Tutto nella sua vita sembra scorrere normalmente – amici, amori, studio –, fino a quando una lettera sconvolge la sua vita. La madre, infatti, prima di morire, le ha lasciato un messaggio in cui le rivela l’esistenza di una sorella gemella, Mary, che il padre aveva portato via con sé. Dopo aver ascoltato le parole di un vecchio cartomante, che la fanno riflettere sul suo destino, e dopo aver letto le lettere che Mary aveva mandato alla madre parlando di un giardino di rose a Istanbul, Diana si convince alla ricerca di sua sorella. Parte così per la Turchia. Non sa ancora cosa l’attende: un viaggio nel sapere, che ridefinirà profondamente tutta la sua vita, sia passata che futura.
1848. La rivoluzione infiamma l’Europa. Milano insorge contro la dominazione austriaca. In soli cinque giorni un popolo conquista la libertà, una nazione nasce, un uomo e una donna si amano perdutamente. Per farlo, tradiscono tutti, rimanendo fedeli soltanto a se stessi, alla purezza di un sentimento assoluto. 1885. Il senatore del Regno d’Italia Italo Morosini riceve un manoscritto anonimo. Quelle pagine lo sospingono indietro di quarant’anni, quando un manipolo di giovani male armati sconfisse l’esercito più potente del mondo: l’Impero asburgico. Ma quelle righe raccontano anche la passione d’amore che travolse la bella Aspasia, allora musa della rivolta, ora fedele e remissiva moglie del senatore. In un’Europa insanguinata dal terrorismo anarchico, quando tutte le illusioni sembrano perdute e tutte le passioni spente, il destino bussa alla porta. Intrecciato a un potente quadro del nostro Risorgimento e scritto come un grande romanzo ottocentesco,Una storia romantica parla in realtà di noi, di come, straziati da una dolorosa precarietà sentimentale, siamo condannati a vivere tra le rovine di un mondo che sognò ideali e amori assoluti.
Tonino Guerra sente la vita da novant’anni. E nel sentirla l’ha immaginata oltre ogni umana comprensione. L’ha resa eterea, la vita, con quel diluvio di fantasia e parole che la pazienza, la dedizione e il metodo gli fanno profondere ogni giorno nell’arte. La sua arte è il suo sentire. Le storie, i versi e i segni non sono che le differenti forme che assumono i suoi sensi sensibili. Questo libro è il viaggio che per la prima volta, e in forma sistematica, Tonino Guerra compie all’interno di questa molteplicità, un’enciclopedia del fantastico entro cui rifugiarsi per ritrovare la nostra sensibilità, la nostra fantasia, la nostra vita. Dice Tonino: “Se uno siede in un posto dove sedeva un altro finisce per sentirsi in qualche modo quell’altro.” Allo stesso modo leggendo questo libro, anche solo una pagina o per intero, tutto d’un fiato, potremo sperare di trasformarci in poeti, e se non tali, uomini dalle vite sensibili. Questo dicono pure alcuni amici di ieri e di oggi di Tonino, la cui testimonianza abbiamo voluto condividere insieme alle parole del poeta: Pedro Almodóvar, Theo Angelopoulos, Bernardo e Clare Bertolucci, Carlo Bo, Italo Calvino, Gianfranco Contini, Gerardo Filiberto Dasi, Enrica Fico Antonioni, Dario Fo e Franca Rame, Natalia Ginzburg, Andrea Guerra, Elsa Morante, Ennio Morricone, Giovanni Nadiani, Renzo Piano, Nicola Piovani, Juan Piqueras, Giuseppe Prezzolini, Francesco Rosi, Roberto Roversi, Luis Sepúlveda, Vittorio Sgarbi, Alberto Sughi, Ersilio Tonini, Umberto Veronesi, Wim e Donata Wenders.
“Come faccio
a capire se è amore o infatuazione?” chiese.
“All’inizio la differenza non si vede,”
rispose il Señor Peregrino.
“Ci vuole tempo prima di riuscire a capire.
Ma ciò che ha un valore autentico resiste alla
prova del tempo.
E con l’amore non è diverso.”
“Una storia di redenzione e fede
alimentate dalla forza dell’amore:
Cecilia Samartin
offre un’illuminante prospettiva
sul vero significato della bellezza.”
Publishers Weekly
“Incredibilmente intenso,
senza essere sentimentale.”
Kirkus Review
“Realismo e illusione si fondono
in una storia piena di vita.”
Dallas Morning News
“Il personaggio di Jamilet
è un ritratto dal grande fascino letterario.”
Entertainment Weekly
Jamilet è una bellissima ragazza messicana con un segreto che non si può né si deve rivelare: il suo corpo è segnato da un “marchio diabolico”, una “voglia” che le ricopre il collo, la schiena e le gambe. Il naturale disagio che prova mette in discussione ogni aspetto della sua vita, costringendola a vivere ritirata e a fuggire le compagnie, buone o cattive che siano: nessuna libertà, nessuna prospettiva. C’è un’unica cosa da fare: andarsene, dare una svolta radicale alla propria esistenza lontano dalla sua casa e dalla sua gente. Emigrata clandestinamente negli Stati Uniti, Jamilet incontrerà il suo destino nella figura di un originale paziente della clinica in cui ha trovato lavoro: il Señor Peregrino del titolo. Obbligandola con un sottile ricatto ad ascoltare la storia della sua vita e di un meraviglioso pellegrinaggio a Santiago de Compostela, il vecchio saggio trasformerà la mente di Jamilet, mettendola dinanzi alle sue paure e fornendole la consapevolezza necessaria per vincerle una volta per sempre. Da un’autrice salutata dalla critica e dal pubblico come “una nuova Isabel Allende”, un romanzo di fede e di redenzione, e insieme un grande omaggio al potere magico e liberatorio della parola.
Una domanda, uno schiaffo, la maledizione pronunciata nei confronti della madre da un bambino di nove anni. È l’episodio taciuto ne I miei luoghi oscuri, il libro in cui James Ellroy riapriva il caso dell’omicidio tuttora irrisolto di Geneva Hilliker. Jean la rossa, assassinata tre mesi dopo che suo figlio ne aveva invocato la morte. Episodio cruciale dal punto di vista umano ma anche letterario, vero e proprio innesco per la vocazione narrativa che già covava nei pensieri contorti del piccolo Ellroy. “Ero un Ellroy allora. Adesso sono un Hilliker.” Questa trasformazione radicale, conversione a una visione matriarcale del mondo, suggella il rapporto con le donne che scandisce la vita di James Ellroy fin dall’infanzia: “fiamma inestinguibile”, ricerca mistica e affannoso inseguimento, caccia famelica e insieme innocente. Volti che si affastellano, si confondono, si sovrappongono nella loro unicità. Volti scorti attraverso le finestre delle case, per le strade di una Los Angeles “caliginosa e tersa” o sui marciapiedi di Manhattan, volti evocati in solitudine, al buio. Intrecci narrativi che si sviluppano e oscillano spasmodicamente tra vita reale e pagina scritta, tra storia e Storia. Ellroy si confessa in pubblico. Non fa sconti a se stesso, stavolta non tace nulla. Mette a nudo tutte le proprie ossessioni, paure, contraddizioni, perversioni. Riconosce la propria arrogante megalomania e la capacità di sfruttare il passato, si proclama romantico destrorso e trova in Beethoven un fragoroso alter ego. Fa ammenda per gli errori commessi e il dolore procurato. Salda il debito verso tutte le donne della sua vita, da Jean all’ultima delle prostitute rimorchiate sul Sunset Strip. Caccia alle donne può essere considerato un ‘memoir di formazione’, il racconto di un avvicinamento alla maturità durato oltre cinquant’anni. Percorso accidentato, convulso e frenetico come il ritmo della prosa ellroyana, costellato da eccessi e successi, cani parlanti e dipendenze, due matrimoni, un esaurimento nervoso, fetide stamberghe, notti all’addiaccio e case da sogno. “Parole vertiginose” e silenzi roboanti. Invisibilità e umori corporei. Fino alla consapevolezza che la vita reale non è la trama di un noir in bianco e nero.
“Ti è mai capitata
una cosa del genere,
che qualcuno
che credi di conoscere a fondo
cambi
fino a diventare
irriconoscibile?”
Mariti e mogli chiamati da incontri o avvenimenti inattesi a fare i conti con la propria vita. Persone di mezza età che si vedono protagoniste, con un po’ di nostalgia, di una vita lontana da quella sognata negli anni ’70. Artisti che vengono a patti con i propri bisogni, ma non per questo smettono di sognare. Hanif Kureishi ci regala storie e personaggi fra i più riusciti del suo mondo narrativo, penetrandone le attese, le delusioni e le felicità, e restituendoci, come solo lui sa fare, umori e incanti della vita quotidiana, in tutte le sue contraddizioni, fra “matrimoni e decapitazioni”, come recita il titolo di una delle storie incluse nel volume.
Le vicende narrate hanno inizio nel dicembre del 1982 e terminano la notte del 9 novembre 1989, con la caduta del muro di Berlino. Protagonisti del romanzo sono i membri di una famiglia alto-borghese di Dresda, che ha cercato di sfuggire alla durezza del regime socialista rifugiandosi nel quartiere “separato” di Dresda, “la torre”. Tre i protagonisti principali: Christian, che sta tornando a casa per la festa del cinquantesimo compleanno del padre; Richard, il padre appunto; e suo fratello Meno, zio di Christian. Tutti e tre sono raffinati intellettuali: Meno lavora per una casa editrice; Christian suona il violoncello, legge molto e studia con accanimento perché vuole diventare un medico famoso; Richard, chirurgo, è un appassionato d’arte. L’ambiente raffinato ed elitario in cui vivono è una specie di torre di avorio, lontana dai meccanismi del sistema socialista. Ma fuori di lì la vita è meno “pura”: Richard, che ha una relazione extra-coniugale e una figlia illegittima, viene ricattato e obbligato a spiare i colleghi. Meno deve più di una volta censurare le opere che amerebbe pubblicare. Christian, per poter essere ammesso alla facoltà di medicina, è costretto ad arruolarsi per tre anni come volontario nell’esercito e a subire terribili umiliazioni. Tutti i protagonisti vengono colti nel momento limite in cui dovranno decidere se stare ancora col regime o schierarsi contro e mettere a rischio la sicurezza della “torre”.
“Non sarei mai arrivato al romanzo se non mi si fosse presentato dinnanzi il commissario Kostas Charitos. Quale che sia il mio successo come romanziere, lo devo innanzi tutto a lui. Ci sono personaggi che ti balzano davanti all’improvviso quando non ne avevi neanche mai sospettato l’esistenza. Mi è sbucato davanti nell’autunno del 1993. Era il terzo anno della serie televisiva Anatomia di un delitto, di cui, svogliatamente, scrivevo la sceneggiatura, braccato dalle scadenze. All’improvviso, si è materializzata nel mio studio una famiglia formata da tre persone: padre, madre e figlio. Una tipica famiglia greca, di quelle che si possono incontrare in qualunque quartiere piccoloborghese di Atene. Il mio primo pensiero è stato quello di mandarli tutti al diavolo e buonanotte. Ecco come è andato il mio primo contatto con Charitos. Entravo nello studio e lo trovavo lì, pronto a martellarmi il cervello. In capo a un mese la sua presenza si era trasformata in una tortura quotidiana. Non riuscivo a concentrarmi, e ogni sforzo per farlo sloggiare – con le buone o con le cattive – falliva miseramente. Una mattina, ebbi un’illuminazione: per tormentarmi così, questo tale non poteva che essere un dentista o uno sbirro. Fu la prima volta che pensai che Charitos potesse essere un poliziotto.”
Petros Markaris
In una Roma inedita e misteriosa, sospesa tra il presente e l’eternità, si muovono i protagonisti di questo romanzo d’amore e di iniziazione. Come in una sorta di “Cielo sopra Berlino” di inizio millennio, tra le strade e i segreti della città si incrociano non soltanto le storie di ragazzi come tanti, ma anche le storie di fantasmi che continuano a vivere tra i vivi e interagiscono con loro. Un varco segreto e misterioso eppure vicino a ognuno di noi, un giardino elettrico, rimescola i piani dell’al di là e dell’al di qua: in essi si intrecciano le storie di Giuseppe, innamorato di Benedetta; di Davide, amico fraterno di Giuseppe, che da quando ha rotto il suo fidanzamento con Ludovica non è più capace di amare; di Ludovica stessa, che si ostina a vivere in un passato che non c’è più e che in sogno trova il passaggio per il giardino elettrico: infine, della ragazza del Big Star, con forti tendenze masochiste, la traccia di ali sulle sue spalle e il rimpianto di un grande amore perduto. A varcare la porta dei vivi, Giulia Durer, suicida, che sembra il doppio oscuro della ragazza del Big Star, e Epic, fantasma di una rock star inglese, che in Davide rivede se stesso: loro, che osservano i vivi e i morti vagare per Piazza Venezia, toccheranno le vite dei protagonisti di questa storia cambiando per sempre il corso del futuro. È a Roma infatti che per tutti loro il tempo tornerà su se stesso, fermandoli infine alle soglie dell’aldilà, dove la sorte di ognuno dovrà sciogliersi per sempre o restare incompiuta. Un esordio narrativo audace, che unisce avventura e lirismo, amore e sogno, passioni e un erotismo soffuso e avvolgente, al cui centro campeggia l’idea che la realtà visibile nasconde sempre un’altra realtà e che in circostanze particolari queste due dimensioni si tocchino oltrepassando il corso del tempo e del destino.
Sidney, affermato studioso di poesia romantica, dopo due divorzi decide quasi d'impulso di sposare una ragazza molto più giovane di lui, Constance. L'uomo, senza esserne del tutto consapevole, tende ad assumere nei confronti della moglie atteggiamenti paterni, suscitando una reazione violenta, legata ai drammi che hanno segnato la vita della ragazza: la morte precoce della madre, la freddezza e l'indifferenza del padre e la gelosia per una sorella minore, Iris, allegra, spontanea e appassionata. Quando il padre rivela brutalmente a Constance la verità sulla sua nascita (frutto di una relazione della madre con il marito di Mildred, la domestica di famiglia), la giovane donna entra nel tunnel di una lucida follia che ha un solo fine: la vendetta contro Iris e Mildred, che sapevano la verità e non le hanno detto niente, e contro il proprio padre, il Grande Assente, che l'inconscio ferito considera responsabile di ogni infelicità. Uno stupefatto e angosciato Sidney assiste allo sprofondare della moglie in un abisso da cui non solo il suo matrimonio, ma la sua stessa vita rischiano di uscire distrutti.
“Scrutò il mio palmo per lunghi minuti,
e lo guardai anch’io, come se non l’avessi
mai visto prima. Era attraversato da pieghe,
sporco, pieno da croci e solchi profondi
che lo tagliavano in due. Mi era capitato
di vedere palmi senzaquasi un segno.
Il mio non era uno di quelli, anzi, ne era ben
lontano. Rimasi ad aspettare, come in attesa
di un verdetto. ‘Un vero e proprio atlante,’
disse, le sue dita seguivano le linee più lunghe
sul mio palmo. ‘Che fiumi di desiderio,
che montagne di ambizione!’ ‘Volevo cioè,
speravo’ ‘Voglio voglio, voglio, spero, spero,
spero,’ ripeté a pappagallo l’astrologo,
‘è proprio quello che dice anche la tua mano,
il tuo palmo non è nient’altro che un atlante
di desideri impossibili’. Toccò la linea
della vita e disse: ‘Nient’altro che desiderio’.”
La storia d’amore tra due persone
che si ritrovano quando
il resto del mondo li ha abbandonati
Anuradha Roy ci racconta la storia epica di una famiglia bengalese del Ventesimo secolo che inizia sulle sponde di un fiume in piena, pronto a travolgere ogni cosa, minaccioso e infinitamente distruttivo. In un luogo pieno di colori intensi e profumi speziati, dove i gelsomini fioriscono nei sobborghi e il ruggito della tigre solca il silenzio delle lunghe notti, una famiglia, appena giunta in città, fa conversazione intorno a un tavolo. Sotto il chiacchiericcio leggero scorre però una corrente tumultuosa. Nirmal sogna la felicità con una cugina vedova a cui però non può aspirare; sua figlia Bakul, orfana di madre, pensa solo a come sfuggire alla noia della cena. Vorrebbe correre libera insieme a Mukunda, un orfano senza casta adottato dalla famiglia. In una stanza all’ultimo piano della casa, la matriarca della famiglia farfuglia parole senza senso, ma felice di gridare oscenità con tutta l’aria che ha nei polmoni. Nel frattempo Amulya, lo stanco patriarca, dedica tutto il suo tempo al giardino mentre la sua dinastia si sta lentamente disfacendo davanti ai suoi occhi. Anuradha Roy scrive con un ritmo che seduce il lettore, conducendolo nell’intricata, incantevole storia di una famiglia travolta da amore e desiderio, rifiuto e accettazione, conformismo e ribellione. Una storia commovente nella sua nostalgia per ciò che è destinato a perdersi per sempre, e il profondo desiderio per ciò che non arriverà mai.

