
Questo carteggio sembra tracciare una mappa degli ultimi dieci anni della vita di Benedetto Croce, anni importanti per via della guerra, della fine del fascismo e della rinascita della democrazia, ma anche per il suo saggio del 1942 che creò tanto scalpore ed è ritornato ora di straordinaria attualità: "Perché non possiamo non dirci cristiani". La pubblicazione di questo saggio nella rivista "La Critica" fu accolta con grande sorpresa perché quelle considerazioni che apparvero come un improvviso avvicinarsi di Croce alla religione. Il mondo cattolico guardò a Croce con occhio diverso, mentre quello laico si domandava come era maturata quella riflessione. Oggi è possibile ricostruire il processo attraverso il quale Croce arrivò a elaborare il famoso saggio, perché sono state ritrovate le lettere che il filosofo scriveva in quell'epoca alla marchesa Maria Curtopassi, sua lontana parente, autrice di poesie animate da uno spirito di intensa religiosità. Le lettere sono inedite e rappresentano un prezioso contributo per conoscere come si è sviluppato il pensiero di Croce sui temi della religione, della funzione della chiesa cattolica e del rapporto tra filosofia e religione. È un Croce poco conosciuto, che svela un particolare sensibilità verso i problemi della fede e il soprannaturale.
Una raccolta di lettere che l'Autrice scrisse a Maria Zambrano tra il 1961 e il 1975 e che costituiscono senza dubbio una chiave d'accesso indispensabile per la conoscenza autentica della vita e dell'opera di due pensatrici tra le più significative del Novecento.
Un'antologia di estratti fra i più diversi della letteratura di viaggio. Nella scelta si è privilegiato lo humour e l'interesse esotico dei paesi visitati. Tra gli autori, alcuni sono molto famosi come Charles Dickens o Mark Twain, altri, come Alexander Kinglake o Eliot Warurton, sono meglio conosciuti come scrittori di libri di viaggio. Molto rilevante è la presenza femminile: al contrario degli uomini che focalizzano l'interesse sul cosa e dove, le donne si concentrano maggiormente sul come e perché, risultando, spesso, più divertenti, lucide e perspicaci della loro controparte maschile. Gli estratti sono ordinati per tema: la partenza, le prime impressioni, l'architettura, la natura, gli incontri, gli usi e costumi, l'abbigliamento, le avversità, l'euforia, il ritorno, in breve tutti gli aspetti dell'essere altrove, a formare un unico, grande viaggio virtuale, pur nella diversità degli stili, dei caratteri, dei resoconti di questi autori.
Un incontro casuale in treno si trasforma in una lunga amicizia. Uno scrittore importante, Giovanni Testori, ogni mattina svuota le sue tasche piene di storie davanti a un giovane scrittore condannato a far carriera in pubblicità. Sulle carrozze delle Ferrovie Nord spuntano i fantasmi di Luchino Visconti, Pasolini, Géricault, Alain Delon, Arbasino, Grünewald, Gadda, Rubens, papa Wojtyla, Montale, Tanzio da Varallo, Giulio Einaudi… E poi compaiono folle di poveri disperati e sublimi dementi, boxeur, prostitute, mariuoli, magnaccia, ragazzi sbandati e apocalittici disintegrati, i protagonisti dei primi libri di Testori. Personaggi reali e inventati che hanno popolato una vita piena di eccessi, sregolatezze, passioni assolute, misticismi erotici, bestemmie e preghiere, dannazioni e conversioni… In parallelo alle vicende dello scrittore lombardo emerge la trama di una metropoli in piena mutazione. Si scorge il passaggio dagli anni del terrorismo all’edonismo reaganiano. Ogni mattina una nuova puntata corre sulle linee di una ferrovia che attraversa la vita come una landa senza fine, una transiberiana domestica con moltitudini di pendolari scarrozzati su una città agitata dalla caffeina del profitto.
1906, Senlis, cittadina medievale a pochi chilometri da Parigi: nella solenne cattedrale gotica, la Vergine Maria ordina a una donna di quarantadue anni di dipingere. Séraphine è una domestica, figlia di povera gente, e ha sempre obbedito. Obbedisce anche ora, senza esitare; del resto il suo desiderio di dipingere è più forte del pensiero. Séraphine è un'ispirata. Non ha mai preso una lezione di pittura né di disegno, né mai vorrà prenderne. Dipinge di notte, al lume di una lampada a petrolio, cantando salmi, dopo aver portato a termine i "lavori neri" del giorno, le umili fatiche quotidiane che le permettono di guadagnarsi da vivere e sono l'opposto dei suoi "lavori colorati" notturni. Dipinge unicamente fiori, frutta, alberi, forse un ricordo della sua infanzia in campagna - è nata nel 1864 ad Arsy, un villaggio dell'Oise, nel Nord della Francia. Mai una figura umana nelle sue tele, mai un volto. Questa routine è spezzata dall'incontro con il collezionista Wilhelm Uhde, scopritore di Picasso, Braque e del doganiere Rousseau, che la fa conoscere ai più importanti galleristi di Parigi. Séraphine continua a dipingere grandi tele di impressionante intensità, ma la sua mente è destinata a smarrirsi. Nonostante le premure di Uhde e i tentativi di guidarla su una via di regolare creatività, la donna è sempre più in preda alle sue ossessioni. Nel 1931 viene ricoverata nell'ospedale di Senlis e l'anno successivo nel manicomio di Clermont dove resterà fino alla morte.
In queste lettere discrete, complici, appassionate e sofferte, la Storia e la nascente Italia unita appaiono sullo sfondo di un anomalo, estremo romanzo d’amore. Protagonista, nei messaggi che Cavour scrisse all’ultima donna della sua vita, Bianca Ronzani, è la passione sincera di un uomo conscio delle proprie fragilità e dei propri sentimenti. Non c’è spazio per simulazione o compiacimento in questi messaggi spesso frettolosi, scritti tra il 1856 e il 1861. La politica stessa vi si mostra per quel che è, nella sua dimensione meno nobile, e i suoi protagonisti appaiono alla luce di una quotidianità che li rende più umani e ne svela tratti insospettati e inimmaginabili tristezze. In una prosa schietta, ironica e autoironica, Cavour non teme di confrontarsi con il tempo che passa, con l’amore per una donna molto più giovane e con i bilanci di una vita che non lo soddisfa più. Lasciati alle spalle tutti i desideri, la gloria e la vita mondana, uno solo è l’antidoto al peso dei giorni: «la Bian - ca» – con lei, il tepore del suo affetto.
Politico e patriota italiano, Camillo Benso conte di Cavour fu ministro del Regno di Sardegna, capo del governo e, infine, primo presidente del Consiglio del Regno d’Italia. Perseguì una politica liberoscambista e si affermò come leader della destra liberal-moderata. Divenuto presidente del Consiglio, attuò programmi di ammodernamento e di sviluppo economico e civile, affermando la piena laicità dello Stato. Svolse una intensa attività diplomatica e politica verso gli stati italiani e verso le forze liberali e democratiche, convincendo gli altri statisti europei ad affrontare la questione italiana al congresso di Parigi del 1856, dopo la guerra di Crimea. Fu il fautore dell’accordo con la Francia (Plom bières ’58), preludio alla seconda guerra d’Indipendenza. Morì il 6 giugno 1861 poco dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia.
Il romanzo rivela un episodio semisconosciuto della storia italiana durante la seconda guerra mondiale. Nel 1941, la Cina (in quanto stato nemico del Giappone, membro dell'Asse) diventa nemica dell'Italia. I pochi cinesi nella penisola il governo italiano li fa rinchiudere nell'ex monastero di Isola (ai piedi del Gran Sasso, in Abruzzo), adibito a campo di concentramento. Il campo non ha sbarre, e i guardiani sono piuttosto tolleranti. Malgrado i rapporti con gli abitanti di Isola siano sporadici e difficili, gli internati vengono guardati con rispetto. La vita di questi centosedici individui travolti dalla Storia, cambia con il crollo del regime fascista. Se alcuni decidono di rimanere, altri scappano facendo perdere le proprie tracce, mentre altri ancora si uniscono alla Resistenza. Durante l'evasione un cinese vede "passare l'aereo che avrebbe cambiato tutto", diventando testimone inconsapevole della fuga di Mussolini dal Gran Sasso. L'autore sceglie di non dare la parola agli internati e di farne emergere l'umanità, i ricordi, le paure e i sentimenti attraverso una scrittura precisa, rarefatta, dove ogni parola è pesata, una scrittura capace nella sua pregnanza di catturare e restituire l'inesprimibile che abita in fondo ai cuori di questi come di tanti altri immigrati. L'elenco finale con i centosedici nominativi restituisce ai protagonisti l'individualità cancellata dalla Storia, e che solo il romanzo può riportare in vita.
Quante volte nella nostra quotidianità accade ai sentirci aggrediti o indispettiti da qualcuno senza essere in grado di replicare, almeno sul momento? Le situazioni possono essere le più disparate: il guidatore di una quattro per quattro che continua a stare incollato alla nostra auto, una signora che ci tratta da omosessuali perché non la troviamo seducente, l'incontro con qualcuno che si ritiene indebitamente dotato di un'intelligenza superiore, un presentatore che ci guarda con disprezzo dallo schermo televisivo, un testimone di Geova che viene a venderci Dio come se si trattasse di un aspirapolvere... Costretti a rimuginare sulla nostra incapacità di reagire sul momento, pensiamo e ripensiamo alle frasi ad effetto capaci di zittire questi imbecilli che non siamo stati capaci di formulare. L'autore si sofferma sulle situazioni più offensive con un ragionamento fermo e implacabile, così da fustigare l'importuno di turno, ribaltandogli contro le sue stesse ragioni. Le sue caustiche lettere, ispirate da un animo vendicativo, ci consentono di attenuare il ricordo di queste situazioni umilianti e intollerabili, fornendoci altrettanti suggerimenti per "cantarle chiare". Leggendole potremo placare i nostri cupi rimuginii e, tornando a confrontarci con il nostro persecutore, sperare di inchiodarlo alla sua cattiva coscienza, recuperando quella serenità che proviamo quando il mondo riacquista il proprio equilibrio.
I destini dei fratelli Cioran, uniti in gioventù dalla passione intellettuale e dal fervore politico, si separano sul finire degli anni Trenta. La guerra mondiale e la cortina di ferro che taglia l'Europa in due blocchi contrapposti, li costringeranno a quarant'anni d'esilio forzato. L'uno, Emil, meteco a Parigi, nel cuore di quel "paradiso desolante" che è diventato ai suoi occhi l'Occidente; l'altro, Aurel, prigioniero in patria, in una Romania ormai simile a un grigio inferno "che non è più di nessuno". I due fratelli affidano alla sorte incerta e vulnerabile della missiva il desiderio di sentirsi uniti, nonostante la Storia stessa cospiri contro di loro. Dalle lettere ad Aurel emerge un altro Cioran, per certi versi inedito. Benché animato da un orrore gnostico per la procreazione, di fronte alle sofferenze dei congiunti il "persuasor di morte" cambia registro, rivelandosi di volta in volta provvidenziale medico dell'anima, consulente familiare e scrupoloso... farmacista. Sotto il segno della malinconia - eredità a un tempo familiare e culturale - Cioran si riconcilia col fondo romeno della sua anima ed è colto da un'"ineffabile nostalgia" per i luoghi incontaminati dell'infanzia, metafora del suo sradicamento metafisico.
Tre racconti di sottile indagine della psicologia femminile. Hélène, Ornella, Ulde sono personaggi intessuti dei ricordi dell'autrice, che si imprimono nella memoria del lettore recuperando la dimensione del tempo nella brace dei sentimenti. Un capolavoro che riconcilia con la letteratura (pp. 192).