
Il capolavoro di C.S. Lewis in una nuova edizione integrale impreziosita dai disegni originali di Pauline Baynes. Dalla pubblicazione, nel 1949, di "Il leone, la strega e l'armadio", i sette volumi delle Cronache di Narnia sono ormai diventati un classico della letteratura del Novecento. Età di lettura: da 10 anni.
"Le lettere di Berlicche" hanno reso il nome di Lewis noto a milioni di lettori in tutto il mondo. Per un'ispirazione improvvisa, all'uscita di una chiesa, una domenica mattina d'estate, si configurò nella mente dell'autore qualcosa che, per dirla con le sue stesse parole, "potrebbe essere sia utile sia divertente... e consisterebbe in una serie di lettere che un vecchio diavolo in pensione invia ad un giovane diavolo che ha appena cominciato a lavorare sul suo primo 'paziente'. L'idea sarebbe quella di mostrare tutta la psicologia della tentazione dall'altro punto di vista". Il testo venne scritto velocemente, comparve a puntate su un periodico nel 1941 e l'anno seguente in forma di libro. Da quella lontana primavera le riedizioni non si contarono e Lewis stesso non riusciva a spiegarsi un tale favore del pubblico, se non per il fatto che le tentazioni descritte avevano un riscontro nella sua personale esperienza.
L'entusiasmante viaggio nel magico mondo di Narnia governato dal leone Aslan, popolato di animali parlanti, centauri, gnomi e streghe malefiche impegnati nell'eterna lotta tra il bene e il male. Riuniti in un unico volume i sette romanzi della saga che trascende il genere fantasy, ormai riconosciuta tra i classici della letteratura. "Il nipote del mago", "Il leone, la strega e l'armadio", "Il cavallo e il ragazzo", "Il principe Caspian", "Il viaggio del veliero", "La sedia d'argento", "L'ultima battaglia". Età di lettura: da 11 anni.
Funzionario di Satana di lunga esperienza e grande efficienza, Berlicche invia al giovane nipote Malacoda, diavolo apprendista, una serie di lettere per istruirlo nell'arte di conquistare (e dannare) il suo "paziente". Ogni manifestazione della vita, dal pensiero alla preghiera, dall'amore all'amicizia, dal divertimento alla vita sociale, dal piacere al lavoro e alla guerra: tutto viene distorto a scopo diabolico e diventa un espediente per perdere gli uomini. Divertente, intelligentissimo, vero e proprio "catechismo infernale", Le lettere di Berlicche narra con arguzia la contesa di un'anima tra il bene e il male, sullo sfondo dell'Inghilterra bombardata della Seconda guerra mondiale. Uno scenario in cui l'inferno non è un buco nero pieno di fuoco, grida e forconi, ma un'azienda perfettamente efficiente; perché - scrive l'autore nella Prefazione all'edizione del 1961 - «il male supremo non è compiuto in quegli squallidi "covi del crimine" che Dickens amava descrivere. Non è compiuto neppure nei campi di concentramento e nei campi di lavoro. Lì vediamo il suo risultato finale. Invece viene concepito e ordinato (mosso, assecondato, portato avanti e scandito) in uffici puliti, caldi, coi tappeti e ben illuminati, da uomini tranquilli coi colletti bianchi, manicure perfetta e guance ben rasate che non hanno bisogno di alzare la voce». Un'immagine che, oggi come ieri, mette i brividi più di mille code biforcute e ali di pipistrello. Prefazione di Andrea Monda.
Dopo il successo delle "Lettere di Berlicche", C.S. Lewis aveva ricevuto pressanti richieste per realizzare un'opera che, invece di calarsi nella realtà demoniaca, si immedesimasse in una visione angelica e paradisiaca. Egli tuttavia rifiutò il compito, sentendosi inadeguato, ma è pur vero che "Il grande divorzio", benché attraverso un sogno, tratta dell'inferno e del paradiso. Da un lato approfondisce l'affresco che l'apprendista tentatore Berlicche, in seguito fattosi più "professionale", traccia della sua logica e del suo mondo, dall'altro evoca in immagini folgoranti e in colloqui drammatici una sorta di avvicinamento alla logica del cielo. Avvicinamento che i personaggi del romanzo tendono in maggioranza a interpretare come rifiuto di un'alterità intravista.
"Le lettere di Berlicche" hanno reso il nome di Lewis noto a milioni di lettori in tutto il mondo. Per un'ispirazione improvvisa, all'uscita di una chiesa, una domenica mattina d'estate, si configurò nella mente dell'autore qualcosa che, per dirla con le sue stesse parole, "potrebbe essere sia utile sia divertente... e consisterebbe in una serie di lettere che un vecchio diavolo in pensione invia ad un giovane diavolo che ha appena cominciato a lavorare sul suo primo 'paziente'. L'idea sarebbe quella di mostrare tutta la psicologia della tentazione dall'altro punto di vista". Il testo venne scritto velocemente, comparve a puntate su un periodico nel 1941 e l'anno seguente in forma di libro. Da quella lontana primavera le riedizioni non si contarono e Lewis stesso non riusciva a spiegarsi un tale favore del pubblico, se non per il fatto che le tentazioni descritte avevano un riscontro nella sua personale esperienza. In questo volume, le "Lettere" sono unite a ciò che Lewis ha voluto considerare una sorta di seguito: "Il brindisi di Berlicche".
I quattro amori che l'autore distingue nell'animo umano sono l'affetto, l'amicizia, l'eros, la carità. Ognuno di essi, preso singolarmente, è stato trattato piuttosto spesso: da san Bernardo a san Paolo, da Ovidio a Stendhal. Più difficile, invece, è trovare chi li abbia considerati insieme. Lewis l'ha fatto. Egli vede ciascuno dei "quattro amori" emergere nell'altro, ci mostra come uno possa anche trasformarsi nell'altro, ma non perde mai di vista la reale e necessaria differenziazione tra loro. L'autore delle "Cronache di Narnia" sa essere lucido e vigoroso nell'incidere queste fondamentali linee dell'animo umano e il risultato è un ritratto parlante dell'unico e profondo desiderio di felicità, in cui ciascuno sarà indotto a ritrovare familiari somiglianze.
"A viso scoperto" è una reinterpretazione del mito di Amore e Psiche. Se la fonte della storia è dichiaratamente l'allegoria antica, il racconto risulta molto differente. Ci troviamo in un clima lontano dalle grandi civiltà classiche, in un luogo rintracciabile forse in Turchia, forse vicino al Mar Rosso, in un'epoca situabile tra la morte di Socrate e la nascita di Cristo. Un monarca brutale e incompetente regna su un rozzo palazzo e ha tre figlie: Orual, la donna guerriero dall'orribile viso, Redival e Psiche. È un mondo in attesa, in transizione, dove un vecchio ordine spirituale sta morendo e uno nuovo sta per prendere il suo posto. È il mondo in cui si apre un intricata vicenda: avvenimenti politici e militari, una carestia, un sacrificio, amori, invidie, pentimenti. Abbondano sogni e visioni, vengono aperti trabocchetti, che trasportano verso archetipi situati nel profondo. In questo libro, che Lewis stesso considera la sua migliore opera narrativa, egli ha creato dei personaggi multidimensionali, misti di bene e di male in proporzioni sempre diverse, come dei reali esseri umani.
L'autore de "Le cronache di Narrnia" ci racconta un'altra storia fantastica, un viaggio allegorico il cui protagonista passa attraverso le varie esperienze della vita alla ricerca di qualcosa che appaghi un suo misterioso e incessante desiderio, che si rivela però insaziabile qualunque cosa gli venga concessa come soddisfazione. Il giovane protagonista trova qualche risposta ai suoi interrogativi nel lungo pellegrinaggio che deve intraprendere, la cui meta prende forma non alla fine del viaggio ma sulla via del ritorno. Draghi, giganti e nani, ombre e creature enigmatiche abitano questa favola moderna che ha il mordente di un'avventura e il respiro filosofico di una parabola sui grandi temi dell'esistenza umana.
Il dolore puro è difficile da raccontare. Ma qui qualcuno ci è riuscito, con una precisione e un’onestà che ci lasciano ammirati, arricchiti. Questo è un libro che riguarda da vicino chiunque abbia avuto nella sua vita un dolore. C.S. Lewis pubblicò nel 1961, sotto lo pseudonimo di N.W. Clerk, questo breve libro che racconta la sua reazione alla morte della moglie. Illustre medioevalista e amatissimo romanziere, amico di Tolkien e come lui dedito alle incursioni nel fantastico, C.S. Lewis si è sempre dichiarato innanzitutto uno scrittore cristiano. Ma un cristiano duro, nemico di ogni facile consolazione. E ciò apparirà immediatamente in questo libro perfetto, dove l’urto della morte è subìto in tutta la sua violenza, fino a scuotere ogni fede. Non c’è traccia di compiacimento o di compatimento per se stessi. C’è invece un’osservazione lucida, che registra le sensazioni, i movimenti dell’animo che appartengono al segreto di ciascuno di noi – e che spesso non vogliamo riconoscere.
Quando C.S. Lewis – uno dei due più celebri membri del gruppo degli Inklings di Oxford (l’altro era Tolkien) – si lanciò, nel corso degli anni Trenta, nella azzardata impresa di scrivere una trilogia di fantascienza metafisica, il mondo non era ancora invaso da miriadi di racconti di guerre stellari. Lewis li anticipò – ma subito andò ben oltre. Di fatto, ciò che più gli stava a cuore non era la creazione di remoti scenari cosmici (nella quale peraltro era maestro), ma qualcosa di più avventuroso: narrare una nuova sfida fra Bene e Male in cui il Bene riesca a vincere in modo plausibile. E qui, nella descrizione della lotta fra l’eroe Ransom e il feroce Weston che vuole corrompere l’innocenza del pianeta abitato dalla Signora Verde, l’acume del teologo si incontra felicemente con l’estro del romanziere. Come in Tolkien, anche in C.S. Lewis la sapienza fabulatoria ha innanzitutto la funzione di svelarci una impalcatura etica e metafisica estremamente salda.
C.S. Lewis, grande studioso del Medioevo e romanziere fantascientifico, si trovò a un certo punto della sua vita a essere, come egli stesso osservò con affilata ironia, «forse il più depresso, il più riluttante convertito d’Inghilterra». Ma che cosa lo aveva obbligato a passare da una posizione di cauto agnosticismo alla fede? Il cristianesimo così com’è, cioè quel nucleo irriducibile in cui si intrecciano pensiero, emozione e gesto – e che sta dietro a tutte le disparate divergenze dottrinali, a tutte le dispute ecclesiastiche. È questo il nucleo che rende «naturalmente cristiano» chiunque sia nato in Occidente negli ultimi duemila anni.
Come raccontare, come rendere evidente tutto ciò? C.S. Lewis volle usare la massima immediatezza, obbligandosi a parlare nel modo più semplice delle cose ultime. E il risultato fu una riuscita impressionante. Così queste conversazioni radiofoniche, che risalgono agli anni Quaranta, sono rimaste ineguagliate: soprattutto per la perspicuità con cui rendono palpabili i più ardui problemi teologici, mostrandoceli nella loro vera natura di possenti cunei conficcati nella circolazione della nostra mente. Da essi, che lo vogliamo o no, non possiamo prescindere: e allora, insinua Lewis, tanto vale che ce ne lasciamo illuminare.

