
Un giallo negli anni della strategia della tensione" autobiografico e fuori dal coro su cosa significava essere "di destra" nell'Italia degli anni Settanta. " Gennaio 1978: in una plumbea mattinata invernale, a Milano, viene ritrovato il cadavere di un giudice, ucciso davanti alla porta di casa. L'assassino, senza volto e senza nome, ha bloccato la strada con un'automobile e ha fatto fuoco mirando direttamente al cuore. E' chiaramente opera di un professionista, e tutto sembra collegare il delitto all'escalation di violenza durante gli anni del terrorismo politico e della strategia della tensione", soprattutto alla luce delle simpatie di sinistra del magistrato. L'indagine è affidata al Maresciallo Antonio Pavan del Nucleo Operativo della Compagnia di Milano Cagnola, chiamato a scoprire la verità tra infiltrati, depistaggi e poteri oscuri. Ma soprattutto a confrontarsi con una realtà apparentemente priva di senso e valori di riferimento. "
"Qui dentro ci sono nove racconti a forte carica umoristica in cui la narrazione esalta aspetti microscopici talvolta invisibili dell'esistenza, insospettabili trame, elementi irrilevanti eppure capaci di ribaltarne il racconto. In quasi tutte queste storie esiste un imprevisto trascurabile, un tarlo, un insetto che si insinua sornione nella trama, si intrufola, si accomoda, si incista, si nutre al buio, fa la tana, corrode, si ingrassa, prolifica, crepa e deflagra sino a provocare il ribaltamento della trama e costringere la storia a riscrivere il finale. Mentre ci disponiamo ad osservare il disegno che incessantemente la vita traccia sulla tela dei personaggi, nel momento in cui giriamo il quadro scopriamo che un qualche diavolo di inaccessibile vizio, una sequela di accenti di cui non ci siamo accorti, uno scivolone, una carezza involontaria, una luce accesa nella casa di fronte, hanno mutato del tutto la scena. E così a cucire le trame dei destini della vita ma anche della morte è un filo invisibile di fulminee irrilevanze, moscerine appunto in grado di travolgere gli eventi e di precipitare i personaggi da situazioni sentimentali in disgrazie irresistibilmente comiche o così indicibilmente tragiche da sfiorare la farsa." (Anna Marchesini)
"Qui dentro ci sono nove racconti a forte carica umoristica in cui la narrazione esalta aspetti microscopici talvolta invisibili dell'esistenza, insospettabili trame, elementi irrilevanti eppure capaci di ribaltarne il racconto. In quasi tutte queste storie esiste un imprevisto trascurabile, un tarlo, un insetto che si insinua sornione nella trama, si intrufola, si accomoda, si incista, si nutre al buio, fa la tana, corrode, si ingrassa, prolifica, crepa e deflagra sino a provocare il ribaltamento della trama e costringere la storia a riscrivere il finale. Mentre ci disponiamo ad osservare il disegno che incessantemente la vita traccia sulla tela dei personaggi, nel momento in cui giriamo il quadro scopriamo che un qualche diavolo di inaccessibile vizio, una sequela di accenti di cui non ci siamo accorti, uno scivolone, una carezza involontaria, una luce accesa nella casa di fronte, hanno mutato del tutto la scena. E così a cucire le trame dei destini della vita ma anche della morte è un filo invisibile di fulminee irrilevanze, moscerine appunto in grado di travolgere gli eventi e di precipitare i personaggi da situazioni sentimentali in disgrazie irresistibilmente comiche o così indicibilmente tragiche da sfiorare la farsa." (Anna Marchesini)
Certi incontri hanno una forza quasi magica, perché dilatano lo sguardo lasciando affiorare le nostre paure più profonde. A volte sono persone, altre idee, altre ancora solo voci. Ma tanto basta. Non saremo più gli stessi. È quello che ci racconta Anna Marchesini in questo suo ultimo romanzo. Due vite, due donne, due storie vicine e lontane: una creatura che sta per venire al mondo e un'orfana che del mondo conosce solo l'indifferenza. Un prima e un poi legati a doppio filo dalla stessa presenza: il passaggio dell'arrotino che deposita le sue orme sulla polvere, lo specchio di tutto quello che nella vita temiamo e amiamo. In bilico tra il sorriso e la lacrima, queste pagine sono un inno alla gioia e alla libertà, il dono più bello di una delle più grandi artiste italiane degli ultimi anni.
Un testo traboccante di slogan, flash, nonsensi, finti ricordi, amnesie autentiche, voci notturne, folgorazioni gratuite, frasi inutilmente profonde, parapoesie, similpensieri, giochetti di parole: insomma tutto quello che, poco a poco, ha occupato lo spazio del teleschermo, cercando di omologarci in preda al luogo comune. Un messaggio che Marchesi ci ha lanciato dall'altra sponda, l'ultima spiaggia dell'umana intelligenza, invitandoci paradossalmente a dedicarci più al futile che al presunto funzionalismo di questo mondo. Prefazione di Guido Clericetti.
Una storia ottocentesca, ma modernissima: una contestazione della donna romantica attraverso l'evidenza prosaica della fatalità piccolo-borghese. E la storia della maturazione di una ragazza di provincia, figlia di un notaio, che riesce a fatica a liberarsi dell'"immensa uggia" che la soffoca per anni, abdicando all'amore, intenso ma inespresso, per un suo giovane pretendente e rassegnandosi, lei "fresca come una rosa", a sposare un quarantenne brutto e incolore. "La Colombi - osserva Natalia Ginzburg nella nota introduttiva presenta le persone e i fatti senza colorarli di rosa né sollevarli in una sfera nobile" ma in "un modo ruvido, allegro e sbadato" che conquista il lettore. Italo Calvino pubblicò questo romanzo per la prima volta da Einaudi nella collana "Centopagine".
Il giorno in cui Riccardo riceve la telefonata, per lui sua sorella è solo un pensiero fastidioso, un ricordo cacciato con rancore. Cresciuti vicini, stretti in un rapporto necessario e profondo, non si sentono più da anni: a Irene, scrittrice molto amata, Riccardo non ha mai perdonato di aver scritto di lui nel romanzo che l'ha portata al successo. Di aver parlato di quel dolore devastante che l'ha reso un uomo duro e cinico e che ha trasformato per sempre la sua famiglia. Ora Irene è in coma dopo un grave incidente e Riccardo si trova a doverle stare accanto. Da lui tutti si aspettano una pena che non riesce a provare, un amore che non sente più. Ma, un giorno dopo l'altro, accanto al corpo muto eppure così vivo di sua sorella, quell'amore torna a pulsare. Anche attraverso la lettura del libro di Irene, che Riccardo si era sempre rifiutato di leggere e che ora gli restituisce la sua vita in un modo che non era mai riuscito a vedere. Lentamente le parole di Irene riescono a scalfire il muro dietro al quale Riccardo si è nascosto per anni, permettendo al dolore di uscire, e liberarlo. La storia della trasformazione di un uomo, il racconto intenso e forte di un risveglio. Dei sentimenti, dei ricordi, di un possibile nuovo legame. Per trovare il coraggio di mettere da parte il dolore più grande e prendersi cura di ciò che resta.
Aleida March: una ragazza cubana di umili origini. L'infanzia, il golpe di Batista del 1952, l'assalto alla caserma Moncada di Santiago, il definirsi di una crescente consapevolezza rivoluzionaria. E infine l'incontro d'amore con Ernesto "Che" Guevara nella Sierra Escambray. Da questo momento, la vita di Aleida si confonde con la straordinaria avventura umana e politica del Che. Risoluta, instancabile nel saper conciliare gli obblighi famigliari (i quattro figli avuti dal Che) e le responsabilità politiche, Aleida, dopo il matrimonio del 1959, sarà sempre al fianco del marito, in un rocambolesco intreccio di battaglie, azioni politiche, viaggi clandestini. Immune dall'enfasi bellica che spesso contraddistingue le memorie dei capi rivoluzionari, il racconto autobiografico di questa tenace eppur dolcissima donna, in cui le armi e gli amori paiono armonizzarsi in un profilo più alto, è innanzi tutto una testimonianza di vita. Una vita pericolosa, vissuta con estremo coraggio, anche dopo la scomparsa tragica del Che, nel 1967. A quarant'anni di distanza, questo libro ci consente di penetrare nell'intimo di un cuore autenticamente ribelle e di conoscere particolari inediti dell'esistenza privata e pubblica del Comandante, di Fidel e del loro mondo. È la storia di un mito e di un amore assoluto. Il libro include una galleria di immagini fotografiche tratte dall'archivio personale di Aleida March e alcuni scatti, sin qui inediti, dello stesso Che Guevara.
Non luogo per eccellenza, il cimitero è una realtà vitalissima. Per definizione è un territorio "oltre", destinato ad accogliere i defunti che, espurghi dell'esistente, vengono ammucchiati a parte, fuori dal consesso dei viventi. Il cimitero, spazio fisico e mentale dove sono messe in gioco le angosce suscitate dal rimpianto per qualcuno che se rie è andato (o finalmente toltosi dai piedi), è il controtipo lucido e inconscio della più aulica follia umana: la sopravvivenza di se stessi. Nei cimiteri tutto si svolge sotto mentite spoglie, giacché sono soltanto i viventi che conferiscono senso al luogo più inverosimile mai inventato dall'uomo. I morti sono inerti. Possono tuttavia permettersi periodici ritorni nella mente di coloro che stanno ancora fuori dei funebri recinti: vicende che riguardano lembi di esistenza, storie di transiti, di salme, ossa, ceneri, materiali trafficati dai vivi nell'insistenza strenua, quanto inutile, di conferire ordine a quegli strani oggetti, fisici e mentali, che sono l'avanzo dei viventi di ieri. Sotto forma di culto dei morti, nel vacuo fasto delle tombe, gli ancora non estinti tentano di esorcizzare il molesto terrore di non essere più. D'altra parte il cimitero è un affare che riguarda sempre e soltanto chi non vi è ancora andato a finire.
Greta frequenta l'ultimo anno di liceo nell'amata Verona. La sua vita scorre tranquilla tra lo studio, le uscite con le amiche e un rapporto non sempre facile con la sua famiglia. Fino a quando non incontra David, nigeriano d'origine e musulmano di religione. Dovrà allora fare i conti con una realtà nuova, una Verona dai tanti volti con profonde spaccature e pericolosi conflitti. Una storia d'amore e d'ingiustizie, d'amicizia e di speranze, con al centro un gruppo di giovani nella loro inquieta ricerca di sé...
Insegnanti una categoria a parte. Vale ancora questo giudizio? Nel tentativo di capirlo, Paolo Marcacci, giornalista sportivo, scrittore ma in questo caso soprattutto insegnante di lettere in una scuola media di Roma, ci racconta la categoria, osservata dal di dentro, vissuta quotidianamente, monitorata con occhio sempre ironico ma spesso anche spietato, inclemente. Tutti abbiamo avuto degli insegnanti e tutti li abbiamo detestati o amati alla follia, a seconda dei casi, per ciò che ci hanno lasciato o fatto subire. È stato normale, per generazioni di studenti, osservare generazioni di insegnanti, carpirne i comportamenti, i tic, le frustrazioni, i "riti" comportamentali, le modalità espressive. In questo caso però è un insegnante a descrivere i suoi colleghi, in una galleria infinita di personaggi e situazioni di volta in volta ridicoli, bizzarri, malinconici; pescando nella propria esperienza quotidiana, nel vissuto della cattedra, avendo come unica fonte di ispirazione i colleghi che in questi anni gli sono capitati in sorte raccontando con mano leggera e contenuti profondi, un mondo di professoresse e professori, di riti e di abitudini che scandiscono l'anno scolastico, di psicologie che si aggrovigliano e si scontrano in un terreno dove il solenne e il ridicolo continuano a convivere, spesso all'insaputa di coloro che ne sono i protagonisti.
Marbodo di Rennes (1035-1123), coltissimo prelato e poeta, è autore di un poemetto "De lapidibus" e di altri tre testi sullo stesso argomento, due in prosa e uno ancora in versi redatti, forse, nel 1093. Qui riuniti in un'edizione tradotta e commentata, costituiscono una silloge capace di scrutare la natura fascinosa delle gemme preziose, per un epoca che ne percepiva a un tempo la polarità di scienza e di allegoria.