
1910. Tolstoj è ormai circondato da tanti discepoli, oggetto di una vera e propria adorazione, assistito da sempre da sua moglie Sofja, dal suo medico, il suo segretario, la figlia Sasha. Pur avvolto da questa rete di presenze, la sua vecchiaia non è serena: avverte infatti intorno a lui i primi conflitti per il futuro del suo patrimonio e crescono le pressioni per controllare il suo testamento. Chi sarà l’erede del suo patrimonio? La moglie, che ne farà fonte di arricchimento familiare o, come vogliono i suoi discepoli, l’umanità intera, per diffondere l’eredità dell’amato maestro? Sentendosi privato della sua libertà, Tolstoj. non trovando altre soluzioni, per liberarsi da tutti, sceglie un gesto estremo: la fuga. Ma anche così non troverà pace né eviterà i conflitti; arriverà solo all’ultima stazione. Attraverso la voce della figlia di Tolstoj, Parini ci restituisce la personalità e i pensieri di uno scrittore che si trova tra la vita e la morte ma che, nonostante tutto, si lascia guidare sempre dalla sua libertà.
Jay Parini, romanziere e poeta, è nato nel 1948 in Pennsylvania. Attualmente è docente di lingua inglese al Middlebury College nel Vermont. Ha scritto sei romanzi e fra questi: Benjamin’s Crossing, The Apprentice Lover; fra le sue opere di poesia The art of subtraction: new and selected poems. Oltre alle biografie di John Steinbeck, Robert Frost, e William Faulkner, è autore di un volume che raccoglie i suoi saggi su temi letterari e politici e di The Art of Teaching. Ha curato The Oxford Enciclopedia of American Literature ed è un collaboratore regolare del “Guardian” e di altri giornali. Dal 2005 è l’agente letterario esecutivo di Gore Vidal.
Buenos Aires all'inizio del Novecento è una grande città in crescita tumultuosa. Per molti immigrati "e come quando si sta in prigione e ti manca l'aria; solo che qui la gabbia è fatta di troppe strade, di case troppo affollate, di rogge puzzolenti di acque luride". C'è un assassino che si aggira per la città, e che per anni, impunito, fa strage di innocenti. Le vittime sono soprattutto i figli degli italiani che vivono nei conventillos in condizioni di assoluta povertà. Ragazzini abbandonati a se stessi, ninos de calle i cui sogni sono destinati a spegnersi nella rabbia giorno dopo giorno. Chi può volerli morti? La verità sta sotto gli occhi di tutti, ma nessuno la sa vedere. Possono intuirla solo gli stessi bambini, perché quella verità, forse, si muove all'altezza dei loro occhi.
«Che mi domando e dico: cos'ho mai fatto nella mia vita, oltre a scappare? Il Dante sorride tra sé mentre prova a rispondere... Ché se la vita la fosse un catalogo, potrebbe scriverci: andato in guerra, dato lezioni, emigrato, sposato, diventato padre, ammalato, confinato, letto libri, scritto quatter patanflànn di poesie, viaggiato di notte su un camion per un sacco di riso e una tolla di latte condensato da portare alla Milena, urlato per i bombardamenti, gridato d'allegria nel sole di aprile, venduto libri, perduto il lavoro, finito sotto processo, ben pistaa in la pirotta, camminato... Insomma, una lista lunga, e non sempre di faccende volgari».
Ma di tutto questo nella borsa «degli Avanzi» che porta a tracolla restano solo poveri «barlafüs», destinati a finire insieme al Dante «in pasto ai vermi - ipotesi umile - o ai corvi - ipotesi romantica - o agli avvoltoi - ipotesi eroica - o ai piccioni - ipotesi terratèrra».
Il Dante si sente diverso dalle altre lingére, che per paura e vergogna non amano mostrarsi e si rintanano nei loro cantucci. A fargli mantenere la testa alta è la cultura di cui nella sua famiglia adottiva si è nutrito fin da piccolo: non ha mai chiesto l'elemosina, e non frequenta neppure il refettorio della San Vincenzo; da quelle «dame del biscottino» «non ci va non ci va non ci va», perché dovrebbe in cambio fare il segno della croce. «Mangià e bev in santa libertà, diga chi v¿ur, l'è on gust cont i barbìs», scriveva il Porta. Parole sante, secondo il Dante, ché anche il primo dei poeti milanesi «l'era della razza dei poerìtt ma gnücch».
Lui preferisce accettare quello che la gente gli offre in cambio di un calembour, di una storia ben raccontata o della recita di una poesia. E sa star bene con gli amici, con cui spartire le cicche e un po' di grappa. Intanto rimescola tra sé e sé riflessioni sul mondo, filastrocche, citazioni, frammenti di ricordi o forse di sogni: «memorie che si somministra da solo col gusto di chi fa un solitario...»
Fino a quando il suo destino non si compie nel «punto preciso in cui poggiare l'orecchio per terra di modo da sentire battere il polso della città».
"La montagna, più che un luogo geografico, è un'esperienza: quella di un mondo potente nella sua resistenza a certe pazze vertigini della modernità, ma assolutamente marginale". E proprio come la montagna sono marginali e potenti le figure che l'hanno abitata, e che abitano questo libro. Sono le donne lupo, capaci di "affrontare a viso aperto il grave del mondo". Sono balenghe, diverse, eccentriche, "tutte falciate dalla stessa sentenza di emarginazione, servite alla comunità per mettere in scena sempre lo stesso canovaccio". Eppure, forse proprio per questo, cariche di un'oscura forza leggendaria. Una ricercatrice s'inoltra per le valli piemontesi facendo interviste con il suo registratore. Le hanno parlato di una donna, la Fenisia, che vive isolata nel Paese Piccolo, vicino al vecchio cimitero è lei la memoria di quei posti. È nata nel novembre del 1928, non ha mai vissuto altrove e "il lavoro della sua famiglia è sempre stato quello del sotterramorti". Comincia così il rapporto tra la scrittrice e l'anziana donna e, scabro e incalzante, si dipana il racconto di una vita da cui emergono figure femminili impossibili da dimenticare: la madre Ghitìn, la nonna Malvina, la bionda cugina Grisa, "un bisqui di settebellezze", rinchiusa in manicomio per aver osato ribellarsi a un padre violento. "Agli uomini il sudore e alle donne il dolore", la vita in valle è sempre stata durissima, specie per chi ha la sfortuna di nascere femmina.
Nel Galles del XIII secolo, Llewelyn, terzogenito di lord Griffith, nasce nello stesso giorno di Samson, figlio di una domestica. Samson passerà accanto al suo signore tutta la vita in qualità di servitore, amico e cronista. Tutto ha inizio perché lord Griffith, figlio illegittimo di Llewelyn il Grande, supremo capo del Galles del Nord, non ha ricevuto in eredità il titolo sul quale, secondo le leggi gallesi, potrebbe accampare pieni diritti. Quando nel 1240 il fratello David diviene principe di Aberffraw, Griffith, estromesso dal potere, pone la propria famiglia sotto la protezione del re d'Inghilterra. Ma il figlio Llewelyn si ribella: decide di rimanere nel Galles, e di lottare per coronare il suo sogno di un Paese unito e indipendente.
«Segui le pietre, solo loro regalano la felicità». Luna è una bambina quando il nonno le dice queste parole speciali insegnandole che l'agata infonde coraggio, l'acquamarina dona gioia e la giada diffonde pace e saggezza. E lei è certa che quello sia il suo destino. Ma ora che ha ventinove anni, Luna non crede più che le pietre possano aiutare le persone. Non riesce più a sentire la loro voce. Per lei sono solo sassolini colorati che vende nel negozio di famiglia, mentre il nonno è in giro per il mondo a cercare gemme. Perché il suo cuore porta ancora i segni della delusione. Si è fidata delle pietre, di quello che nascondono, di quello che significano. Si è fidata di quel ragazzo di sedici anni che attraverso di loro le parlava di sentimenti. Dell'amicizia che cresceva ogni giorno e racchiudeva in sé la promessa di un amore indistruttibile. Leonardo era l'unico a credere come lei nel fascino dei minerali e dei cristalli. Leonardo che in una notte di molti anni prima l'ha abbandonata, senza una spiegazione, senza una parola. E da allora il mondo di Luna è crollato, pezzo dopo pezzo. A fatica lo ha ricostruito, non guardando mai più indietro. Fino a oggi. Fino al ritorno di Leonardo nella sua vita. È lì per darle tutte le risposte che non le ha mai dato. Risposte che Luna non vuole più ascoltare. Fidarsi nuovamente di lui le sembra impossibile. Ha costruito intorno al suo cuore un muro invalicabile per non soffrire più. Ma suo nonno è accanto a lei per ricordarle come trovare conforto: il quarzo rosa, la pietra del perdono, e il corallo che sconfigge la paura. Solo loro conoscono la strada. Bisogna guardarsi dentro e avere il coraggio di seguirle.
In questo romanzo non si racconta "la guerra vista da dietro le quinte" - in guerra non vi è nulla di teatrale e di fittizio - bensì la graduale scoperta, da parte di un'adolescente, che le parole gonfie di retorica dei bollettini radiofonici fascisti e le bandierine spostate sulla "carta geografica dell'Impero" servono solo a nascondere l'orrore di ogni guerra e il dolore che ne deriva. Nella normale vita di una ragazzina quattordicenne, tra la disciplina del collegio e le libertà estive, i balli serali e le passeggiate in bicicletta, se la guerra appare inizialmente sotto le trionfalistiche spoglie di eroici combattenti, ben presto cominciano a filtrare le prime drammatiche notizie sui soldati italiani mandati allo sbaraglio, nei rigori invernali prima del fronte greco e poi di quello russo. Ma sia la lettera inviata al Duce, per "infondergli coraggio", dalla protagonista insieme a un'amica, sia i fioretti collegiali per propiziare la vittoria finale, non potranno evitare la disfatta e i caotici giorni di incertezza che seguiranno all'8 settembre, tra bombardamenti aerei, rastrellamenti dei soldati tedeschi e repubblichini e finanche razzie di cosacchi... Lungo tutto il romanzo, è la Storia, o piuttosto la follia di pochi, che scrive e riscrive, intreccia e poi dista la vita delle persone, i loro umili eroismi e le loro viltà, siano giovani ebrei fuggiaschi o intere famiglie sfollate in montagna.
Il Leviathan, sgangherato carrozzone dal pittoresco equipaggio, si aggira per un’Europa fuori dal tempo, devastata da guerre e carestie, spettacolari miracoli e allucinazioni collettive. Alla guida c’è Wulferio, teatrante istrione che vaga mettendo in scena il suo spettacolare “teatro delle crudeltà”. Wulferio ha una meta precisa, un lontano convento dove lo attende una monaca che si dice abbia scritto i drammi piùallucinati mai messi in scena. Attraverso avventure tragiche e irriverenti, pericoli e colpi di scena, Wulferio riuscirà a raggiungere la monaca ormai in punto di morte e giurerà di mettere in scena l’intera sua opera. Senza sapere che quel giuramento lo consegna a un pericolo più grande: quelle estreme rappresentazioni chiedono infatti un tributo di sangue sempre nuovo e Wulferio si troverà ad attraversare territori selvaggi alla ricerca di giovani vittime per il suo crudele teatro, braccato dalle milizie mercenarie dello spietato Doppio Sombrero, fi no a una conclusione grandiosa e visionaria quanto le sue rappresentazioni... La storia, raccontata dal giovane monaco Brendano, fedele testimone del delirio di Wulferio, ha la forza di un romanzo d’avventura e il fascino di una meditazione pericolosa sul Male e la sofferenza umana.
Sono mani buone a nulla quelle del vecchio seduto sulla soglia della casa affacciata sul golfo del Tigullio. L'ha abbandonata molti anni prima, ma ora è tornato e culla dentro di sé l'idea di una personale rivincita contro il flusso distruttore del tempo: ricostruire un roccolo, una piattaforma sugli alberi da dove potrà godere l'attimo in cui l'ultimo raggio del sole sprofonda nel mare. Secondo stregoni e sciamani, quel raggio conduce in interminabili viaggi l'anima di colui che ne è attraversato. Per questo il vecchio non si arrende di fronte alle difficoltà dell'impresa per un uomo inadatto al lavoro manuale, come reperire gli attrezzi necessari alla costruzione o portare a termine il lavoro nonostante il cancro resinoso che svuota dall'interno i pini del bosco, compreso quello a venti passi da casa, il punto più alto da dove avrà la vista dell'estremo tramonto. Tutti i giorni una bambina appare dal bosco con un fagotto, gli porta cibo e provviste. È l'unica a rompere la solitudine del vecchio, consapevole che stare isolati troppo a lungo può essere pericoloso; del resto egli ricorda bene che su quelle colline si nasconde Maciucia, la strega che seduce gli uomini soli. E mentre il passato si riaffaccia, il vecchio realizza la sua opera a piccole e faticosissime fasi. Ferruccio Parazzoli trasforma queste pagine limpide e intense in una favola moderna che ci racconta il tempo e i suoi inganni.
Il Golgota non è certo la meta ideale dove distrarsi per uno storico romano di passaggio a Gerusalemme. Ma Valerio Massimo a quel colle brullo e stranamente animato arriva per caso, e proprio quando un condannato sta per essere crocifisso. Chi è e cos'avrà mai fatto quell'uomo esile, dall'aria mite, per essere punito con una morte tanto crudele? E cosa significa quella scritta, INRI, apposta sulla sua croce? Da quando lo vede, Valerio Massimo, allevato nella salda concezione della realtà e della cultura di Roma, uomo cinico e razionale, non è più lo stesso e inizia a interrogarsi senza sosta su quella condanna. E mentre a tutti appare assurdo l'interesse di un cittadino romano per un galileo inchiodato a due assi di legno, la sua indagine lo condurrà sulle orme di Yehoshua, lungo strade impolverate e infide, alla ricerca di chi lo ha conosciuto, di chi ha ascoltato, senza capirle, le sue parole e lo ha visto compiere prodigi già dimenticati. Mettendo in pericolo la sua stessa vita concluderà che si è trattato della morte di un innocente, colpevole solo di non aver compreso davvero il mondo con le sue piccolezze e false leggi, tradito e abbandonato persino dai suoi discepoli. Un fallito, non un vincitore, eppure agli occhi di Valerio Massimo un uomo più potente, nella sua debolezza, dei potenti che lo hanno condannato.
Dal marciapiede, all'angolo tra corso Buenos Aires e piazzale Loreto, due senzatetto osservano l'affannata umanità che passa loro davanti. Moses, il più vecchio, è un ex bibliotecario; Camerata, il suo compagno, un tempo è stato uno scrittore di grande fama. Entrambi hanno un conto in sospeso con il passato e fantasmi più o meno morti: seminaristi plagiati, vecchi solitari, ragazzine smarrite, kebabbari e prostitute, un universo di dimenticati che ogni giorno si riunisce al bar Number One per il rito dell'Ora Felice. Ma quando il loro barista di fiducia si impicca nel retrobottega la routine si spezza: l'uomo è l'ennesima vittima della misteriosa epidemia di suicidi che sta contaminando Milano e l'Italia intera. L'unico modo per fare luce sulla faccenda è immergersi nel sottosuolo metropolitano che Moses e Camerata conoscono bene, fatto di miracoli e allucinazioni, dove tra culti pagani e fumi del peyote è possibile scorgere lo spettro di Mussolini e seguire Dostoevskij per le strade di Pietroburgo. Che forse non è Pietroburgo, ma solo piazzale Loreto, il luogo in cui tutte le storie si incontrano alla ricerca di un senso.
Sono passati dieci anni dall'ultima volta che il teologo Tommaso Vegas ha incontrato Myriam, quando lei era la sua assistente e una ragazza inquieta e instabile con cui ha trascorso giorni e notti gomito a gomito, impegnati negli stessi studi. Si erano scambiati un lieve bacio sotto i carrubi, a Gerusalemme. Poi più niente. Eppure, Tommaso ha continuato a sognarla e a immaginarla. Molte cose sono cambiate da allora: Vegas è un uomo disilluso, ha smesso di interessarsi alle cose divine, così come anche Myriam, che lavora in un ospedale pediatrico. Altrettante ancora però li uniscono, primo tra tutti Marco, compagno di Myriam e amico di Tommaso, che lo invita a Vienna per un convegno sul Nuovo Testamento. Nel fittizio caldo tropicale del Pyramide Hotel, i tre riprendono da dove si erano lasciati. Partono quindi insieme per Alessandria, poi Il Cairo e ancora Gerusalemme, in esplorazione di quei luoghi che sono stati testimoni dell'esistenza terrena di Gesù. In un viaggio sospeso tra il passato e il presente, tra la materia e il divino, Vegas scoprirà nella donna che l'ha ossessionato per anni una persona vitale e irresistibile, ma anche pragmatica e intransigente, capace di abbandonare l'astrazione degli studi teologici per portare aiuto concreto ai suoi pazienti.

