
Ci sono scrittori così affascinanti, ha notato Manganelli, che riescono a cambiarti l'umore: scrittori come Singer, capace di creare personaggi simili a «figure da affresco, pantografie, immagini proiettate sulle nubi». È la grandezza che qui sprigiona il seducente e contradditorio Hertz Grein, tormentato da un'insaziabile sete carnale - si divide infatti fra la virtuosa moglie Leah, la minacciosa amante Esther e Anna, il nuovo amore - e insieme dal richiamo di un'osservanza religiosa al cui rigore non sa sottomettersi, pur riconoscendo che si tratta di «una macchina da guerra per sconfiggere Satana». Hertz sa bene che un ebreo, per quanto creda di essersi allontanato da Dio, non potrà mai sfuggirgli: sta soltanto girando in tondo, «come una carovana persa nel deserto». Intorno a lui e ai suoi dissennati grovigli amorosi - in una New York che sul finire degli anni Quaranta, per chi giunge da Varsavia o Berlino, ha le irresistibili attrattive di un gigantesco arazzo visionario -, una folla di personaggi in vario modo straziati dalla vergogna di essere vivi: come Boris Makaver, il padre di Anna, occupato durante il giorno dai suoi lucrosi affari ma sopraffatto la notte da una sofferenza terribile quanto «un dolore fisico»; o come il professor Shrage, matematico convertitosi alla parapsicologia, che vive nella speranza di ritrovare la moglie Edzhe, trucidata dai nazisti. Tutti turbati dal silenzio di Dio o - per usare ancora le parole di Manganelli - investiti «della grandezza del sacro, e della sua sproporzione».
Alle soglie del 1666 si diffuse in Polonia la notizia che per gli ebrei la fine dell'Esilio era imminente: un uomo chiamato Shabbatay Tzevi si era rivelato come il Messia, e presto una «nuvola sarebbe apparsa e li avrebbe portati tutti in Terra Santa». I segni non erano mancati: nel decennio precedente i cosacchi dell'atamano ucraino Chmel'nitskij avevano massacrato quasi centomila ebrei, «scorticando vivi gli uomini, sgozzando i bambini, violando le donne per poi squarciarne i ventri e cucirvi dentro gatti vivi». Ma quegli orrori non erano altro se non «le doglie che annunciavano la nascita del Messia». Per accelerare la liberazione - così dicevano gli emissari di Shabbatay Tzevi - bisognava immergersi nell'oscurità del peccato: solo la discesa agli inferi avrebbe consentito l'ascesa delle anime, e la perfetta redenzione. Anche gli abitanti di Goraj, «la città nascosta tra le colline in capo al mondo», si abbandonano dunque all'idolatria e alla licenza, infrangendo ogni legge. Ma la sciagura si abbatte su di loro: dopo aver giaciuto, benché sposata, con il capo dei sabbatiani, Rechele la profetessa viene posseduta da un dybbuk, e finisce per essere ingravidata da Satana, mentre la disperazione stringe in una morsa la città, stremata dalla carestia. Perché a Goraj «vi sia contentezza» bisognerà che le forze demoniache vengano scacciate, e il nome dell'Onnipotente sia di nuovo santificato. «Che meraviglioso, meraviglioso mondo,» ha scritto Henry Miller «un mondo bello e terribile, quello di Isaac Bashevis Singer, benedetto sia il suo nome!».
Un giorno, a una domanda sull'importanza che aveva avuto l'amore nella sua vita, Isaac Bashevis Singer rispose: «Grandissima, perché l'amore è amore della vita. Quando ami una donna ami la vita che è in lei». Ma che genere di amore è quello che lega Herman, il protagonista di Nemici, a Yadwiga, la contadina polacca che lo ha salvato dalla deportazione nascondendolo per tre anni in un fienile, nutrendolo e curandolo, e che lui ha portato con sé a New York e ha sposato? E che genere di amore lo lega a Masha, la donna, scampata ai lager, del cui corpo non riesce a fare a meno, ma che percepisce come una minaccia – perché quel desiderio, più che alla vita, si apparenta alla morte? Ed è ancora amore il sentimento che lo lega alla moglie Tamara, che credeva morta e che gli riappare davanti all'improvviso? Di fronte a simili domande Herman è paralizzato, incapace di trovare una via d'uscita. A rendere tutto molto, molto più complicato è la fatica quotidiana del vivere, in quella New York che è sembrata un miraggio di felicità, ma che si rivela ogni giorno più inospitale e più aspra. Il lettore segue Herman nei suoi affannosi, sconclusionati andirivieni dal Bronx a Coney Island e da Coney Island a Manhattan, chiedendosi se e come riuscirà a tirarsi fuori da quella specie di guerra che le sue tre donne gli hanno dichiarato, e soprattutto dal groviglio di un'esistenza fatta di continue menzogne, sotterfugi, goffaggini e fughe – o se, come il Bunem di Keyla la Rossa, finirà per cedere alla tentazione di disperare di Dio.
Formidabile personaggio Yasha Mazur, soprannominato il Mago di Lublino: illusionista, saltimbanco, ipnotizzatore, capace di liberarsi da qualunque corda e di aprire qualunque serratura - ma anche minacciato dalla noia, malato di irrequietezza, sempre affamato di «nuovi trucchi e nuovi amori». E, come altre figure magistralmente tratteggiate da Singer, combattuto fra insaziabili appetiti carnali e nostalgia degli antichi riti della sua religione. Di donne, oltre alla moglie che lo aspetta pazientemente nella casa di Lublino, Yasha ne ha almeno tre o quattro, e di una di loro, una vedova cattolica, è innamorato al punto di volersi convertire per sposarla (ma gli piace parecchio anche la figlia: certo, ha solo quattordici anni, ma basta che cresca un po'...). Con lei vorrebbe partire per l'Italia, che in questo scorcio del diciannovesimo secolo sembra potergli offrire tutte le opportunità che non avrà mai nel suo paese. E tuttavia non sa decidersi, i dubbi lo tormentano «come uno sciame di locuste». Finché un giorno non accadrà qualcosa - qualcosa di terribile - che indurrà il Mago di Lublino a intraprendere un cammino che non avrebbe mai immaginato di percorrere.
Chi era il nonno dei robot? Il golem è forse uno dei più antichi esseri artificiali leggendari: un gigante di argilla creato, su ispirazione divina, da un rabbino, in aiuto degli Ebrei di Praga; un enorme fantoccio che si anima solo quando in fronte gli viene inciso il completo nome di Dio. In un primo tempo il golem ubbidirà agli ordini, ma poi comincerà ad avere vita propria, a essere invaso dalla malinconia, a sentirsi solo e diverso. E tra mito, filosofia e fantascienza, la sua storia avrà un finale fiabesco, che lo accomuna a quello commovente e immortale della "Bella e la Bestia". Età di lettura: da 12 anni.
I racconti più belli del grande scrittore yiddish raccolti a cura di Claudio Magris
«La sua poesia era un miracolo che egli non controllava, e fluiva inattesa dalla sua mano che scriveva e dalla sua persona che viveva.»
Claudio Magris
Introducendo alla lettura di questi 23 racconti tra i più belli di Singer, Claudio Magris scrive: «Il Narratore che regge le file delle novelle di Singer si dissimula nelle voci più varie dell’esperienza collettiva: parla per bocca dei demoni della tradizione, dipana le vicende dai proverbi popolari e dai detti sapienziali, afferra al volo le confidenze dei vagabondi sul ciglio della strada e dei vecchi ricoverati all’ospizio, raccoglie le chiacchiere mormorate nel tempio e nella bottega. Per questo Narratore, le storie e la vita non finiscono mai; è grazie alla sua voce che a Singer riesce l’imperturbabile rappresentazione della totalità: egli ritrae il caos e l’ordine, la tenerezza e la perversione, la luminosa presenza del senso e l’acre putredine del nulla».
Il primo romanzo pubblicato dal premio Nobel per la letteratura nel 1935. Polonia, metà del XVII secolo. Nel villaggio ebraico di Goray, presso Lublino, i pochi sopravvissuti a un massacro ascoltano la predicazione del falso Messia Sabbatai Zevi. Un venditore ambulante annuncia la redenzione e il ritorno degli ebrei a Gerusalemme. Il messaggio è raccolto, fra gli altri, dallo zoppo Mordechai Joseph. Il rabbino Rabbi Benish è certo del carattere malefico degli eventi annunciati, e ripara a Lublino. Il venditore ambulante sposa Rachele, ma, vittima dei digiuni e della depressione, si rivela impotente, fra lo scherno del villaggio...
E' con il suo diario da ragazzo, non ancora scrittore che Singer scopre la sua vocazione a narrare, a reinventarsi la favola della vita nella miseria e nell'angustia del ghetto di Varsavia. Singer, emigrato negli Stati Uniti nel 1935, quando in Europa cominciava a soffiare la tempesta hitleriana, rivive con dolcezza, arguzia e forza una lontana stagione della sua vita.
A Keyla la Rossa nessuno resiste: né Yarme - un seducente avanzo di galera -, né il giovane e fervido Bunem - che pure era destinato a diventare rabbino come suo padre -, né l'ambiguo Max. Se questo magnifico libro è rimasto praticamente inedito fino a oggi, è forse perché Singer esitava a mettere sotto gli occhi dei lettori goy il «lato oscuro» di quella via Krochmalna da lui resa un luogo letterariamente mitico. In Keyla la Rossa si parla infatti in modo esplicito di due argomenti tabù: la tratta, a opera di malavitosi ebrei, di ragazze giovanissime, che dagli shtetl dell'Europa orientale venivano mandate a prostituirsi in Sudamerica, e l'ignominia di un ebreo che va a letto sia con donne che con uomini. Alle turbinose vicende dei quattro protagonisti (e dei numerosi, pittoreschi comprimari) fa da sfondo, all'inizio, la vita brulicante, ardente, odorante e maleodorante del ghetto in cui era confinata, in condizioni di estrema miseria, la comunità ebraica di Varsavia, e poi quella, non meno miserabile e caotica, delle strade di New York in cui si ammassavano gli emigrati nei primi decenni del secolo scorso: affreschi possenti, che non a caso molti hanno accostato a quelli ottocenteschi di Dickens e Dostoevskij.
Joseph Shapiro è un baal tshuvah, un penitente, e ha una strana storia da raccontare. Una storia di fuga e di esilio. scappato dalla Polonia nel 1939 e poi dalla Russia staliniana nel 1945, ripara finalmente negli Stati Uniti. Qui si arricchisce. Ma con la ricchezza scopre anche la noia, il peccato, i rapporti viziosi con le donne, il consumismo, la volgarità. Disgustato, Joseph abbandona tutto e fugge in Israele per ritrovare i valori della sua religione. Ma qui scopre che quel mondo, il mondo tradizionale dell'ebraismo, forse è perduto per sempre.
A sconvolgere la tranquilla esistenza di Aaron Greidinger, giornalista di successo, arriva un "fantasma" dal suo passato: Max Aberdam, un vecchio amico che aveva creduto morto nell'Olocausto. Max, seppur settantenne, non accetta di rinunciare alla vita e alla passione, passione che assume le forme della giovane Miriam. E fra i tre si innesca un perverso gioco di seduzione, in cui Max arriva a spingere Aaron tra le braccia di Miriam. Dal passato della donna affiora però un segreto terribile: ad Aaron la scelta se amarla o giudicarla.
In questo libro Singer ha creato il più memorabile dei suoi personaggi: se stesso. Se stesso bambino in cerca di Dio, nella corte del padre rabbino chassidico, nelle viuzze ebraiche di Varsavia, nei minuscoli "shtetl" della campagna polacca. Se stesso giovane e poverissimo aspirante scrittore nel fervido clima intellettuale della Varsavia del primo dopoguerra. Se stesso famelico di vita e soprattutto di amore. Se stesso, infine, in fuga davanti al terrore nazista ed emigrato in America, terra estranea e ignota, che gli propone la sfida drammatica ed esaltante di un futuro totalmente incerto, senza legami con il passato, senza tradizioni, senza lingua.