
Dopo gli studi universitari a Padova, Tommaseo si fa luce come intellettuale che alla formazione umanistica unisce una viva sensibilità romantica. Nelle sue peregrinazioni dovute a motivi politici e a un'inquieta ansia vitale, matura l'idea di una nuova arte che unisca il sublime di Dante e Omero alla letteratura del popolo. Escono cosi nel 1841-42 i "Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci", accompagnati da queste "Scintille", libro creativo e critico, ricco di prose d'arte e di riflessione, di poesie dello stesso Tommaseo e dei suoi corrispondenti. L'opera è plurilingue: italiano, francese, greco, latino, slavo si alternano alle traduzioni dell'autore. Nelle "Scintille" si individua dunque un'idea plurale di nazioni e culture, un discorso rivolto a individui e collettività dell'Italia e della Franda, del mondo slavo del Sud e della Grecia. In questo progetto la letteratura ha un suo ruolo: è espressione di un io che esce dal proprio chiuso, narcisistico isolamento, per trasmettere un messaggio di amore.
Nella primavera del 1944, in una Trieste occupata dall'esercito tedesco e lacerata dall'odio tra italiani e sloveni, due pacifici sposi vengono barbaramente trucidati. Trent'anni dopo uno scrittore, dopo aver ritrovato uno strano gruppo di lettere, prova a ricostruire la misteriosa vicenda.
Franziska è venuta alla luce il 1 gennaio 1990 e l'imperatore Francesco Giuseppe le ha concesso, come a tutti i sudditi nati nelle prime sei ore del secolo ventesimo, un dono di mille corone e il proprio personale padrinato. Così la figlia del falegname Skripac sarà figlioccia dell'imperatore. Fulvio Tomizza racconta la sua storia: la vita, i sogni, gli amori, le delusioni di una slovena del Carso a Trieste. Una vita come tante, ma ricostruita sulla base di lettere autentiche venute in possesso dell'autore.
La raccolta degli scritti autobiografici di Fulvio Tomizza, che ora si pubblica, è l'ultima costruita dall'autore scegliendo tra le molte pagine d'occasione che era venuto accumulando negli anni mentre tornava insistentemente a riflettere sui grandi nodi che avevano segnato la sua esperienza di uomo, di cittadino e di scrittore, alla ricerca di un'interiore coerenza che ogni volta sembrava sfuggirgli e di nuovo inseguiva caparbio. Tomizza è rimasto fedele a se stesso, alla sua origine contadina e terragna, in sintonia con la quale ha ricostruito le drammatiche vicende del cambiamento rivoluzionario all'indomani della guerra e al tempo stesso dell'esodo di massa in Italia, lasciando case e cose, se non addirittura la vita. Dieci anni fa, il 21 maggio 1999, Tomizza se n'è andato: per un verso sembra ieri e nei pensieri è facile riprendere il colloquio con l'uomo che cercava e donava amicizia e solidarietà per poi improvvisamente chiudersi in una cupa solitudine e in un disperato pessimismo; per l'altro è passato un secolo e si è voltato pagina, cosicché certe sue ansie ideali e morali appaiono terribilmente distanti, quasi più non ci appartenessero. Rileggere le sue pagine, quelle più definitive e solenni e queste più divaganti e quotidiane, serve a capire cos'è accaduto, a riflettere su quanto il mondo è diverso oramai. (Introduzione di Cesare De Michelis)
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-1957) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo le otto parti del Gattopardo, ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo di recente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, è stato possibile ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del 1955, che come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione "ci schiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del suo capolavoro". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo. Ma il racconto più celebre della raccolta è "La sirena" (precedentemente con il titolo "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, spicca il vecchio professor La Ciura, che da giovane conobbe l'amore della Sirena e non potè più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", dei tre racconti il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene fosse nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo del quale ha mantenuto il titolo.
Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini sente inevitabile il declino e la rovina della sua classe. Approva il matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia, che porta con sé una ricca dote, di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-1957) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo le otto parti del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo di recente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, è stato possibile ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del 1955, che come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione "ci schiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del suo capolavoro". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è "La sirena" (precedentemente con il titolo "Lighea", imposto dalla vedova dell'autore), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, spicca un personaggio formidabile: il vecchio professor La Ciura, che da giovane conobbe l'amore della Sirena e non potè più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", dei tre racconti il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene fosse nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo del quale ha mantenuto il titolo.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
Don Fabrizio, principe di Salina, all'arrivo dei Garibaldini sente inevitabile il declino e la rovina della sua classe. Approva il matrimonio del nipote Tancredi, senza più risorse economiche, con la figlia di Calogero Sedara, un astuto borghese. Don Fabrizio rifiuta però il seggio al Senato che gli viene offerto, ormai disincantato e pessimista sulla possibile sopravvivenza di una civiltà in decadenza e propone al suo posto proprio il borghese Calogero Sedara.
Nei due estremi e intensissimi anni della sua vita (1955-57) Giuseppe Tomasi di Lampedusa mise insieme non solo gli otto capitoli del "Gattopardo", ma anche tre racconti e uno scritto di carattere autobiografico. Solo recentemente, però, in seguito al ritrovamento di alcuni manoscritti originali, è stato possibile sottoporre i testi brevi a una rigorosa verifica filologica e, in particolare, ricostruire nella loro interezza i "Ricordi d'infanzia", che ora acquistano una maggiore corposità. Il presente volume si apre appunto con i "Ricordi d'infanzia", scritti nell'estate del '55, che, come spiega Gioacchino Lanza Tomasi nella prefazione, "ci dischiudono il laboratorio dello scrittore al tempo del 'Gattopardo'". Segue "La gioia e la legge", un breve apologo, perfetto di tono e di misura. Ma il racconto più celebre della raccolta è senza dubbio "La Sirena" (precedentemente con il titolo imposto dalla vedova dell'autore, "Lighea"), scritto dopo una gita lungo la costa meridionale della Sicilia. Al centro della favola, al limite tra il reale e il surreale, si accampa un personaggio formidabile: il vecchio professor La Cura, il quale, da giovane, conobbe l'amore della Sirena, e non poté più gustarne altro. Chiude il libro "I gattini ciechi", che, dei tre racconti, è il più vicino come materia al "Gattopardo", sebbene sia nato come capitolo iniziale di un nuovo romanzo, del quale ha mantenuto il titolo. Introduzione di Gioacchino Lanza Tomasi.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.