
Una domenica di giugno, a Sarajevo, avvenne il fatto che divide in due la storia del XX secolo: l’at­tentato in cui fu ucciso l’arciduca Francesco Ferdinando. Prima di quel giorno, esisteva un mondo che presto sem­brò remoto. Dopo quel giorno, è già il nostro presente. Se le guardiamo da vicino, quelle ore traversate da un invisibile con­fine appaiono gremite, come tutte le altre, di piccoli fatti, incidenti, fuggevoli sensazioni, incontri fortuiti. Gilberto Forti ha avvicinato ad esse la lente della poe­sia e ne ha estratto undici «storie in versi» che si presentano con quella felice sobrietà narrativa di cui l’autore aveva già dato prova nel Piccolo almanacco di Radetzky. A parlare sono, ogni volta, personaggi immaginari che raccontano la real­tà. E subito ci vengono incontro voci e figure, dal­l’Im­pe­ratore Francesco Giuseppe, che «si dà pensiero per i funerali / come se tutto il resto non contasse», all’ufficiale Max von Lenbach, che si sottrae ai creditori fuggendo a Montecarlo con una nobildonna, dai dignitari di Corte all’attentatore, da una vecchia duchessa a un ingegnere ungherese. E gesti, episodi, parole si dispongono tutti intorno a un centro: l’uniforme troppo stretta di Francesco Ferdinando che ancora oggi possiamo vedere, con le macchie di sangue, al Museo di storia militare a Vienna. Im­ponente è la catena dei casi, delle inconsce volontà, dei consapevoli disegni che portarono a quei colpi di pistola, come se gli eventi fossero calamitati. E quasi come se la vittima li avesse cercati. Francesco Ferdinando qui non parla, ma altri parlano di lui. E, dal sovrapporsi delle voci, Forti è riuscito a evocare con magistrale nettezza la sua fisionomia: sterminatore di animali (più di trecentomila furono da lui uccisi cacciando), appassionato di fio­ri (stupendi i suoi roseti a Konopischt), erede senza poteri, costretto dall’etichetta a un matrimonio morganatico, finirà dissanguato sotto i colpi di Gavrilo Princip anche perché nessuno saprà aprirgli subito l’uni­forme, che gli era stata cucita addosso a filo doppio per celare l’in­ci­piente obesità.
Firenze, aprile 1478. Sono giorni terribili, quelli che seguono il fallimento della congiura ordita dalla famiglia Pazzi contro i Medici. Firenze è assetata di sangue, decisa a punire con la tortura o con la morte chiunque abbia partecipato alla cospirazione. Al sicuro nel suo palazzo, Lorenzo il Magnifico viene a sapere dei cadaveri gettati in Arno, delle decapitazioni, dei linciaggi. È la città intera che vendica l'assassinio di suo fratello Giuliano e che si consegna nelle sue mani, rendendolo potente come non mai. Però Lorenzo non sa che i fili di quella congiura sono stati tirati da personaggi molto più influenti della famiglia Pazzi. E ignora di essere lui stesso un burattino nelle mani della Storia... Firenze, oggi. Sono in pochi a conoscere Pierpaolo Masoni, pittore rinascimentale dallo stile e dall'animo tormentati. E Ana Sotomayor, dottoranda in Storia dell'arte, è arrivata a Firenze proprio per capire qualcosa di più su questo oscuro personaggio, che esercita su di lei un fascino singolare. Le sue appassionate ricerche si appuntano su uno dei quadri più controversi di Masoni, in restauro nei laboratori degli Uffizi, e su una serie di quaderni in cui il pittore racconta nei dettagli la propria esistenza e gli eventi che hanno segnato la storia di Firenze alla fine del XV secolo, tra cui la congiura dei Pazzi. D'un tratto, però, Ana diventa oggetto di minacce e ricatti e si ritrova a temere per la propria vita e per quella delle persone a lei care.
Lois Castro è sconcertato. Lavora in polizia da molti, troppi anni, eppure non si è mai trovato di fronte a una scena simile: una ragazza giovanissima, nemmeno ventenne, barbaramente uccisa nella cattedrale di Santiago de Compostela. La vittima viene subito identificata come Patricia Palmer, studentessa di archeologia nonché appassionata attivista per la difesa dell'ambiente. In particolare, Patricia aveva partecipato a una manifestazione contro una grossa fabbrica della zona e la cosa le aveva procurato non pochi nemici. Ma perché assassinarla? E perché farlo in uno dei luoghi più sacri del mondo? Laura Màrquez è al colmo della gioia. Il direttore del giornale per cui collabora l'ha finalmente incaricata di occuparsi di un caso vero: la sparizione di un manoscritto dalla biblioteca dell'università di Santiago. Messi da parte i bollettini del traffico e i necrologi, Laura si getta a capofitto nel suo primo lavoro sul campo, anche perché ha la netta sensazione che, dietro quel furto, si nasconda una storia ben più interessante: quella stessa mattina, infatti, l'arcivescovo ha diramato un appello per esortare il ladro a restituire l'antichissimo testo. E, poco dopo, i sospetti di Laura trovano una drammatica conferma: l'ultima persona ad aver consultato quelle carte è stata Patricia Palmer, la ragazza uccisa nella cattedrale...
Lois Castro è sconcertato. Lavora in polizia da molti, troppi anni, eppure non si è mai trovato di fronte a una scena simile: una ragazza giovanissima, nemmeno ventenne, barbaramente uccisa nella cattedrale di Santiago de Compostela. La vittima viene subito identificata come Patricia Palmer, studentessa di archeologia nonché appassionata attivista per la difesa dell'ambiente. In particolare, Patricia aveva partecipato a una manifestazione contro una grossa fabbrica della zona e la cosa le aveva procurato non pochi nemici. Ma perché assassinarla? E perché farlo in uno dei luoghi più sacri del mondo? Laura Màrquez è al colmo della gioia. Il direttore del giornale per cui collabora l'ha finalmente incaricata di occuparsi di un caso vero: la sparizione di un manoscritto dalla biblioteca dell'università di Santiago. Messi da parte i bollettini del traffico e i necrologi, Laura si getta a capofitto nel suo primo lavoro sul campo, anche perché ha la netta sensazione che, dietro quel furto, si nasconda una storia ben più interessante: quella stessa mattina, infatti, l'arcivescovo ha diramato un appello per esortare il ladro a restituire l'antichissimo testo. E, poco dopo, i sospetti di Laura trovano una drammatica conferma: l'ultima persona ad aver consultato quelle carte è stata Patricia Palmer, la ragazza uccisa nella cattedrale...
Uno sparo squarcia il silenzio nella villa dei Radjik a Tirana. Cosa è accaduto? Chi ha sparato? Nella casa vivono Zanum, ex esponente di spicco del regime comunista albanese e i suoi due figli: Viktor, entrato nel partito al posto del padre e Ismail il giovane sognatore, frequentatore degli incontri semiclandestini al caffè Fidelio. I due ragazzi sono cresciuti condividendo sempre tutto, uniti dal dolore per la perdita della madre misteriosamente morta quando Ismail aveva cinque anni. La vita dei Radjik era sempre stata serena fino al matrimonio di Viktor con Helena, di cui Ismail si innamora perdutamente. Un giorno però uno sconosciuto gli mostra il cadavere riesumato della madre e comincia a indagare fino a scoprire una sconvolgente verità...
In una terra selvaggia e primordiale, ammantata di storia e superstizione, un vomere traccia il solco di una città: nessuno immagina che è appena nata Roma, la Città Eterna. La storia dietro quell'attimo fatale è però molto diversa dalla leggenda che tutti conosciamo, perché avviene in un tempo di fame, freddo e carestie, dove la sopravvivenza è spesso sinonimo di sopraffazione. E la lupa non è affatto quella che i miti ci hanno tramandato. Perché la fondazione di Roma è un'avventura cruda e disperata, un'epopea di resilienza, un solco di sangue tracciato nel nostro passato che racconta la sfida primordiale fra due gemelli consacrati dagli dèi, e il suo doloroso esito, che ne ha proclamato il vincitore: Romolo, il bambino sopravvissuto alla morte, il ragazzo che ha combattuto nel fango e nel dolore, l'uomo che per realizzare il suo sogno ha piegato un mondo ostile, brutale e dominato dalla violenza, dando così inizio alla più gloriosa potenza antica che la storia ricordi. Romolo, il primo re.
Anno Domini 1553. Il Ducato di Milano è dominato dagli Asburgo di Spagna. Ludovico di Valois, arrogante e feroce, comandante della guarnigione della città, è l’uomo dal pugno di ferro. Ed è anche l’avversario contro il quale Fulvio Alciati, coraggioso guerriero errante, è fatalmente destinato a scontrarsi: nella gerarchia, nell’etica e forse fi no all’acciaio. Tra loro, Mariangela Comencini, donna dallo spirito indomabile sulla quale pesa un’accusa di stregoneria, impegnata in una fuga senza fi ne dalla persecuzione ossessiva di padre Guaraldo Giussani, un inquisitore con fi n troppi lividi sull’anima. Narrato con l’effi cacia di un thriller ma sostenuto da una rigorosa ricostruzione storica, I bastioni del coraggio è l’affresco crudo ma anche epico, a tratti addirittura poetico, di un’epoca in cui il potere è assoluto, la crudeltà è norma e la compassione è sempre troppo lontana.
Milano, anno del Signore 1576. Sono giorni oscuri quelli che sommergono la capitale del Ducato. La peste bubbonica è al suo culmine, il Lazzaretto Maggiore rigurgita di ammalati, i monatti stentano a raccogliere i morti. L'aria è un miasma opaco per il fumo dei roghi accesi ovunque. In questo scenario spettrale il notaio criminale Niccolò Taverna viene convocato dal capitano di Giustizia per risolvere un difficile caso di omicidio. La vittima è Bernardino da Savona, commissario della Santa Inquisizione che aveva il compito di far valere le decisioni della Corona di Spagna sul suolo del Ducato di Milano. Bernardino aveva ricevuto l'incarico di occuparsi degli ordini ecclesiastici in odore di eresia, come quello misterioso degli Umiliati, messi al bando dall'arcivescovo Carlo Borromeo e desiderosi di vendetta. Contemporaneamente, Niccolò Taverna deve riuscire a individuare il responsabile del furto del Candelabro del Cellini trafugato dal Duomo di Milano. Ma ben presto si accorge che sta seguendo una pista sbagliata perché un altro oggetto, ben più prezioso, è stato sottratto... Nella Milano piagata dalla peste e su cui grava l'incubo della Santa Inquisizione, Taverna deve fare appello a tutte le sue sorprendenti capacità investigative per venire a capo di questi casi che rischiano di compromettere la sua carriera e la sua stessa incolumità, ma che conducono anche sul suo cammino la giovane e intrigante Isabella, nei cui occhi Niccolò ha l'impressione di annegare.
Ha appena cinque anni, Gaio Giulio Cesare, quando il padre decide di portarlo con sé per una campagna militare nelle terre da cui ha preso il suo nome: la Germania. Perché suo padre è Germanico, il più potente e acclamato generale di Roma. L'uomo che molti vorrebbero incoronare imperatore, al posto dell'odiato e temuto Tiberio. Il comandante che non ha paura di nulla, tranne che di un essere umano: la moglie, Agrippina, nipote di Augusto, la madre dei suoi figli. Tra loro c'è Gaio, che non ama il suo nome e preferisce il soprannome che gli hanno dato i suoi amici legionari, cui procura schiave e divertimenti, ottenendo in cambio di essere accolto nel loro gruppo e ricevere i loro duri insegnamenti. Quel soprannome che prende origine dalle calzature militari troppo larghe che ha sempre ai piedi, le "caligae". Quel soprannome che porterà con sé per tutta la vita: Caligola. È quando suo padre Germanico viene avvelenato ad Antiochia, la terza città più grande del mondo, il piccolo Caligola giura che avrà la sua vendetta. E in quel momento che capisce che essere amato non basta, che essere un grande guerriero non è sufficiente, che il vero potere risiede nelle informazioni. Per questo impara ad attraversare non visto i corridoi dei palazzi imperiali, dove viene a conoscenza di trame, intrighi e congiure, ordite da uomini assetati di potere e da donne crudeli e disinibite. Sotto il sorriso maligno del vecchio Tiberio, che pare avere stretto un patto con gli dèi, tanto si mantiene lucido, energico e spietato...
Perché, poco prima delle Idi di marzo, il giorno fatidico in cui venne ucciso, Giulio Cesare rinunciò a essere accompagnato dalla scorta? E perché proprio Bruto e Decimo, gli uomini più vicini al dittatore, avrebbero dovuto desiderarne e organizzarne la fine? Perché, mentre si recava alla Curia, il dittatore di Roma ignorò tutti coloro che lo avvertivano che sarebbe stato vittima di un complotto? E infine perché, quando venne portato via dopo essere stato accoltellato a morte, un lembo della tonaca gli copriva il viso? Secondo Cicerone il dittatore avrebbe provato vergogna per le smorfie di dolore che gli contraevano il volto nel momento della morte, e si sarebbe coperto per nasconderle. Ma se la ragione fosse un'altra? Furono gli schiavi dello stesso Cesare a portare via il corpo del padrone, con il viso nascosto dalla toga. E solo dopo un certo tempo il medico Antistione dichiarò che Cesare era stato colpito da diciotto coltellate, di cui una mortale. Ai tanti enigmi che si affollano intorno alla più famosa congiura della storia, Franco Forte dà un'incredibile risposta nelle pagine di questo romanzo: e se Giulio Cesare non fosse affatto morto alle Idi di marzo? Forse la congiura non aveva la finalità di ucciderlo, ma di sottrarlo allo scomodo e gravoso incarico di padre-padrone di Roma. Offrendogli così la possibilità di tornare a dedicarsi a ciò che nella vita aveva sempre amato: essere alla testa di una legione, la Legio Caesaris, e combattere per la gloria personale e dell'Urbe.
Ha appena cinque anni, Gaio Giulio Cesare, quando il padre decide di portarlo con sé per una campagna militare nelle terre da cui ha preso il suo nome: la Germania. Perché suo padre è Germanico, il più potente e acclamato generale di Roma. L'uomo che molti vorrebbero incoronare imperatore, al posto dell'odiato e temuto Tiberio. Il comandante che non ha paura di nulla, tranne che di un essere umano: la moglie, Agrippina, nipote di Augusto, la madre dei suoi figli. Tra loro c'è Gaio, che non ama il suo nome e preferisce il soprannome che gli hanno dato i suoi amici legionari, cui procura schiave e divertimenti, ottenendo in cambio di essere accolto nel loro gruppo e ricevere i loro duri insegnamenti. Quel soprannome che prende origine dalle calzature militari troppo larghe che ha sempre ai piedi, le "caligae". Quel soprannome che porterà con sé per tutta la vita: Caligola. E quando suo padre Germanico viene avvelenato ad Antiochia, la terza città più grande del mondo, il piccolo Caligola giura che avrà la sua vendetta. È in quel momento che capisce che essere amato non basta, che essere un grande guerriero non è sufficiente, che il vero potere risiede nelle informazioni. Per questo impara ad attraversare non visto i corridoi dei palazzi imperiali, dove viene a conoscenza di trame, intrighi e congiure, ordite da uomini assetati di potere e da donne crudeli e disinibite. Sotto il sorriso maligno del vecchio Tiberio, che pare avere stretto un patto con gli dèi, tanto si mantiene lucido, energico e spietato...