
"Cosa fa della vita che abbiamo un'avventura felice?" si chiede Tiziano Terzani in questa opera, che racconta con la consueta potenza riflessiva l'esistenza di un uomo che non ha mai smesso di dialogare con il mondo e con la coscienza di ciascuno di noi. In un continuo e appassionato procedere dalla Storia alla storia personale, viene finalmente alla luce in questi diari il Terzani uomo, padre, marito. Scopriamo così che l'espulsione dalla Cina per "crimini controrivoluzionari", l'esperienza deludente della società giapponese, i viaggi in Thailandia, URSS, Indocina, Asia centrale, India, Pakistan non furono soltanto all'origine delle grandi opere che tutti ricordiamo. Furono anche anni fatti di dubbi, di nostalgie, di una perseverante ricerca della gioia, anni in cui dovette talvolta domare "la belva oscura" della depressione. E proprio attraverso questo continuo interrogarsi, Terzani maturava una nuova consapevolezza di sé, affidata a pagine più intime, meditazioni, lettere alla moglie e ai figli, appunti, tutti accuratamente raccolti e ordinati dall'autore stesso, fino al suo ultimo commovente scritto: il discorso letto in occasione del matrimonio della figlia Saskia, intriso di nostalgia per la bambina che non c'è più e di amore per la vita, quella vita che inesorabilmente cambia e ci trasforma.
Il racconto di un viaggio unico: 4000 chilometri nel cuore della Grecia, a bordo di pullman, treni, traghetti... e camminando. Da Atene fino al monte Athos. Questo libro mostra la Grecia che i giornali e la tv non raccontano. Un paese distante anni luce dalle architetture finanziarie di Bruxelles e dai diktat dell'Europa. Personaggi e storie incredibili. Dai commercianti di Volos che usano il Tem, nuova moneta locale al posto dell'euro, fino alla culla della spiritualità ortodossa, il monte Athos, attraversando la Tracia orientale, verso Orestiada e Edirne, sul fiume Evros, estrema periferia d'Occidente al confine con Bulgaria e Turchia. I racconti degli eremiti, l'equilibrio perfetto tra fede e campagna, un modo nuovo di resistere alla crisi, la generosità di sconosciuti muftì, l'inganno della frontiera. Un viaggio per conoscere l'Europa dei popoli, non quella delle banche centrali.
Iliade e Odissea raccontati come una grande avventura.
«Versi capaci di svelarci l'enigma del domani e di chi, ancora, non siamo diventati» – Andrea Marcolongo
L'Iliade e l'Odissea sono, non per caso, i più antichi longseller della storia: la loro voce continua a parlarci di un'umanità che sentiamo infinitamente più vicina dei duemilacinquecento anni che ci separano da quando sono stati composti. Come possono rimanere così impassibili allo scorrere del tempo? Come può l'avvicendarsi delle epoche lasciare da sempre intatta la loro attualità? Per scoprirlo, Sylvain Tesson si è ritirato per qualche mese in un isolotto delle Cicladi, immerso nella luce che riverbera sull'intonaco bianco delle case e nel vento, primo sostegno ai naviganti che solcano il mare, con la sola compagnia dell'aedo e delle sue Muse. Il risultato è al contempo romanzo, studio e viaggio, animato da eroi che sono prima di tutto uomini, divinità che scendono al fianco dei loro protetti e poi gli altri grandi protagonisti: la hybris, la volontà di superare i limiti umani; il fato, la bellezza, la forza, il lutto, la guerra, l'amore. Tematiche universali che ci mostrano come in realtà l'uomo sia da sempre uguale a se stesso e che i sentimenti che agitano gli eroi in battaglia non sono diversi da quelli che sperimentiamo anche noi, tutti i giorni.
Un'elegante vetrina nella casa londinese di Edmund de Waal contiene 264 sculture giapponesi di avorio, o legno, non più grandi di una scatola di fiammiferi, raffiguranti divinità, personaggi di ogni tipo, animali, piante. La vetrina è aperta, e i piccoli figli di de Waal possono estrarre i netsuke così si chiamano i minuscoli oggetti - e giocarci. Come facevano, ha scoperto l'autore, i piccoli figli di Viktor e Emmy von Ephrussi, suoi bisnonni, nel boudoir della madre, in un fastoso palazzo viennese della Ringstrasse, un secolo fa. Prima che Hitler entrasse in trionfo a Vienna e avessero inizio le persecuzioni e i saccheggi nelle case degli ebrei. Ebrei di Odessa erano appunto gli Ephrussi, commercianti di cereali e poi banchieri ricchi e famosi quanto i Rothschild, con ville e palazzi sparsi in tutta Europa. Quello di Vienna, dove i netsuke arrivano nel 1899 da Parigi - dono di nozze ai cugini di Charles Ephrussi, famoso collezionista, mecenate, storico dell'arte, amico di Renoir, Degas, Proust - conteneva tante e tali opere d'arte che i minuscoli oggetti sfuggirono all'attenzione dei razziatori nazisti. Affascinato dall'eleganza, dalla precisione, dalle straordinarie qualità tattili delle sculture, l'autore decide di ricostruire la storia dei loro passaggi da una città all'altra, da un palazzo all'altro, da una mano all'altra. Ricostruisce così anche la storia romanzesca della sua famiglia.
Trentasette testi - in massima parte mai raccolti prima d'ora - che restituiscono, lungo più di mezzo secolo, gli itinerari di una tra le più belle voci del Novecento italiano. Realizzato con mezzi che sembrano poverissimi, ogni racconto di Natalia Ginzburg è una rivelazione, una vicenda che scorre su più nastri, che imperturbabile va addizionando gesti, oggetti e battute di dialogo, che si toccano per vie segrete e non si dimenticano. Il mezzo capace di fare accadere tutto questo è la voce, ruvida, duttile, scontrosamente intonata, di una narratrice che si è rivelata infallibile nel descrivere la realtà. E "Un'assenza" è la storia di questa voce nel suo lungo percorso. I lettori vi scopriranno ben undici racconti finora ignoti, una suite autobiografica in cui la Ginzburg racconta di sé senza trarsi in disparte, e sorprendenti cronache dalle fabbriche di Torino o dalla desolazione di Matera. S'imbatteranno in "Memoria", una poesia scritta per il marito Leone Ginzburg, e nel "Discorso sulle donne": due testi da rileggere, da ripensare, da custodire.
Vilnius Lancastre, novello Amleto a Barcellona, ha una spiccata somiglianza con Bob Dylan, l'ambizioso progetto di redigere un archivio generale del fallimento, nonché quello di fondare una società di emuli di Oblomov che facciano dell'indolenza totale una forma d'arte che consenta loro di generare non più di una sola idea al giorno. Per contro, il narratore è un prolifico scrittore che, dopo essersi dedicato tutta la vita alla produttività letteraria, si pente e si prepara a tacere definitivamente, anche nella vita reale. Ma non può non cedere all'invito di Vilnius e della fidanzata Deborah che gli affidano la stesura delle memorie apocrife del famoso scrittore Lancastre, morto in circostanze sospette. Ancora una volta quindi la vita reale si confonde con quella letteraria e i due giovani mettono in scena una trappola per topi di shakespeariana memoria senza mai cedere tuttavia all'impegno di perseguire la quintessenza della levità, quella dimensione infra sottile postulata da Duchamp. Sullo sfondo la filigrana della Hollywood degli anni d'oro e Scott Fitzgerald. Un romanzo intriso di grande ironia, con padri dai figli reali e scrittori coi loro figli metaforici, in competizione o complici, donne dal fascino delle dive di celluloide, in una Barcellona contemporanea e scanzonata, pronta a ospitare questa compagine di personaggi stravaganti.
Odalie... Quella mattina del 1924, quando si è seduta alla scrivania accanto alla mia, avrei dovuto capire che avrebbe sconvolto la mia vita. Già da due anni lavoravo come dattilografa alla centrale di polizia di Manhattan e conducevo una vita tranquilla, ordinaria. Ero una ragazza all'antica: sebbene intorno a me il mondo stesse cambiando, non avevo mai nemmeno pensato di tagliarmi i capelli o d'iniziare a fumare. Poi è arrivata Odalie. Il suo caschetto nero, i suoi vestiti eleganti, la disinvoltura con cui teneva la sigaretta... Odalie era così spregiudicata, così sicura, così moderna. In quei giorni, mi sono resa conto che volevo essere come lei e che avrei fatto qualsiasi cosa per riuscirci. Per questo ho accettato di trasferirmi nel suo lussuoso appartamento e l'ho accompagnata alle feste dove si beveva champagne e si ballava fino all'alba al ritmo della musica jazz. E per questo non ho detto nulla quando mi sono accorta che aveva falsificato alcuni rapporti di polizia. Volevo proteggerla. Non potevo immaginare che mi stesse semplicemente usando. Che mi stesse mentendo. Come avrei potuto? Odalie era più di un'amica per me. Era il mio ideale di donna. E invece lei stava architettando la mia rovina...
Se le chiedessero di indicare il punto preciso in cui è cominciata la loro amicizia, Elisa non saprebbe rispondere. È stata la notte in cui Beatrice è comparsa sulla spiaggia - improvvisa, come una stella cadente - con gli occhi verde smeraldo che scintillavano nel buio? O è stato dopo, quando hanno rubato un paio di jeans in una boutique elegante e sono scappate sfrecciando sui motorini? La fine, quella è certa: sono passati tredici anni, ma il ricordo le fa ancora male. Perché adesso tutti credono di conoscerla, Beatrice: sanno cosa indossa, cosa mangia, dove va in vacanza. La ammirano, la invidiano, la odiano, la adorano. Ma nessuno indovina il segreto che si nasconde dietro il suo sorriso sempre uguale, nessuno immagina un tempo in cui "la Rossetti" era soltanto Bea - la sua migliore amica.
Questa è la storia di Aldo, figlio di Palmiro Togliatti, il Migliore. Una storia di solitudine, timidezza e gentile follia. La storia di un uomo che non ha lasciato memoria in un mondo pieno di memoria. Lo chiamano Aldino, anche quando è un uomo adulto. Dal 1926 al 1944 ha vissuto in Russia e ha frequentato la scuola di Ivanovo (destinata ai figli dei dirigenti di tutti i partiti comunisti del mondo). Dopo i funerali del padre, Aldo scompare. Sappiamo che ha già avuto problemi di salute mentale e che vive con la madre, a Torino. Tra lui e la madre, Rita Montagnana, immaginiamo una stretta vicinanza, come in tante vicende di vite che non riescono a distendersi e si aggrovigliano intorno a un genitore. Una volta lo trovano a Civitavecchia, sul molo. Sembra un barbone, vuole salire su una nave, partire. Più tardi succede ancora, a Le Havre. Aldo sembra spiare, in fondo all'orizzonte, un'altra parte del mondo. Per la seconda volta viene riportato a casa. Più tardi lo ritroviamo in una casa di cura privata, villa Igea, a Modena, dove resta per 31 anni, fino alla morte nel 2011 a 86 anni. In clinica, per via di quel cognome pesante, è menzionato solo come "il signor Aldo". È un paziente mite: legge romanzi in francese e in russo, compila la "Settimana Enigmistica" che gli porta un militante del Pci, Onelio Pini, insieme alle sigarette Stop. Nell'89 è quest'ultimo a dovergli dire che l'Unione Sovietica non c'è più. E Aldo dice: "Non ci credo".
Gli ultimi anni della sua vita Pearl Buck li trascorre in una condizione economica disastrosa, praticamente in bancarotta a causa di pessime conoscenze e furbi consiglieri che la allontanano dalla famiglia, dagli amici, perfino dai suoi editori. Nessuno dei sette figli adottati riesce ad aiutarla, poiché non hanno accesso alla piccola fortuna che la madre ha accumulato con la sfolgorante attività di scrittrice. La situazione è drammatica e tutti ne approfittano: spariscono documenti personali, lettere, manoscritti. Il romanzo cui l'autrice lavora negli ultimi anni di vita viene misteriosamente trafugato. Per quarant'anni nessuno ne sospetta l'esistenza. Nel dicembre 2012 una donna acquista un deposito a Fort Worth, Texas. L'affitto di quei pochi metri da anni non viene pagato e così la nuova acquirente diventa proprietaria di tutto il contenuto e lo mette all'asta. Tra cianfrusaglie e ammennicoli di poca importanza c'è un reperto prezioso: un manoscritto autografo che porta la firma di Pearl Buck e una copia dattiloscritta di oltre trecento pagine. La donna intende venderli al miglior offerente, ma la notizia giunge agli eredi che, dopo una lunga e complicata trattativa, riescono a impossessarsene. Non si sa chi fu a trafugare il manoscritto dalla casa nel Vermont né come o quando finì in un deposito nel Texas. Si sa solo che il romanzo è autentico, uno dei figli lo conferma immediatamente grazie ai dettagli, quei piccoli accenni alla vita privata che solo un familiare saprebbe riconoscere.
Una fattoria nella campagna irlandese, una bambina silenziosa, un padre e una madre non suoi. Claire Keegan tratteggia un lessico sentimentale dell'accoglienza e dell'amore genitoriale, in un racconto di sommessa e struggente bellezza. «Può bastare anche solo un'estate per imparare a essere amati. Ce lo racconta con ineffabile grazia la piccola protagonista di questo racconto perfetto» (Viola Ardone). «Per raccontare un mondo nuovo, un'esperienza mai vissuta, servono parole nuove, quelle che Claire Keegan trova dentro un vocabolario di cose, reali come l'amore» (Maria Grazia Calandrone). «L'estate non è mai un tempo qualsiasi. Ma c'è un'estate che può essere più preziosa delle altre, che può portare in sé l'abbacinante luce della crescita. La luce con cui è scritto questo romanzo» (Valeria Parrella). «Poi attraversiamo il tepore della cucina e lei mi dice di sedermi, di fare come se fossi a casa mia. Sotto il profumo di qualcosa che cuoce nel forno c'è una punta di disinfettante, candeggina forse. Toglie dal forno una crostata di rabarbaro e la mette a raffreddare sul piano della cucina: sciroppo bollente sul punto di traboccare, foglie sottili di pastafrolla saldate alla crosta. Dalla porta entra una corrente fresca ma qui è caldo, immobile, pulito».
Questa è una ricognizione autobiografica ed è il racconto della città che l'ha ispirata. Si entra nella storia dagli anni Cinquanta: l'infanzia nei nuovi quartieri periferici, con le paterne "lezioni di cultura operaia", le materne divagazioni sulla magia del lavoro sartoriale, la famiglia comunista e quella cattolica, le ascendenze lombarde e quelle leccesi, le gite in tram, le gite in moto, la morte di John F. Kennedy e quella di papa Giovanni, Rocco e i suoi fratelli, l'oratorio, il cinema, i giochi, le amicizie adolescenziali e i primi amori fra scali merci e recinti incustoditi. E si procede con lo scatto della giovinezza, accanto l'amico maestro di vita e di visioni, sullo sfondo le grandi lotte operaie, la vitalità dei gruppi extraparlamentari, il sognante melting pot sociale di una generazione che voleva "occhi diversi". A questa formazione si mescola la percezione dell'oggi, il prosciugamento della città industriale, i progetti urbanistici per una Grande Milano, le trasformazioni dello skyline, il trionfo della capitale della moda e degli archistar.