
Nell'Ottocento e nel primo Novecento in Italia la produzione letteraria femminile ha conosciuto una grande vivacità, confrontandosi con la totalità dei generi: la narrativa, le scritture personali (lettere e diari), la saggistica, la poesia, le narrazioni di viaggio, il teatro, le biografie, il giornalismo. Questa raccolta propone, per la prima volta nell'editoria italiana, testi di quasi cento autrici, alcune più note, altre sconosciute. Ci sono le donne del Risorgimento, come Cristina Trivulzio di Belgiojoso, che hanno colto le opportunità offerte da una vita di trasferimenti e sradicamenti come ispirazione per la loro scrittura e quelle della generazione successiva, dell'Italia unita, pronte a dare un respiro universale a realtà locali (la Napoli di Matilde Serao, la Sardegna di Grazia Deledda...) descritte con uno sguardo che abbina indagine esistenziale e interpretazione sociale e storica. Le scrittrici del primo Novecento, poi, vivono spesso il peso di forti condizionamenti in una società in mutamento: Sibilla Aleramo ce ne offre un esempio nella dimensione asfissiante del piccolo paese che mortifica l'esistenza della protagonista di Una donna. La prima parte del volume ospita due saggi: il primo, di Silvia Tatti, affronta le costanti, le specificità e le sfasature della scrittura delle donne nel lungo arco cronologico preso in considerazione; il secondo, di Chiara Licameli, ricostruisce il lavoro d'archivio e documentazione necessario per restituire la memoria dell'importante produzione del periodo. La ricca raccolta di brani presenta, per ognuno, una breve presentazione biografica dell'autrice e un'analisi critica del testo, per consentire al lettore di coglierne gli aspetti più significativi.
Un po' pellegrinaggio e un po' seduta spiritica, questo libro porta dalla Sardegna di Grazia Deledda all'America di Marguerite Yourcenar, dalla Francia di Colette all'Oriente di Alexandra David-Néel, dall'Africa alla Danimarca di Karen Blixen, all'Inghilterra di Virginia Woolf. Un lungo viaggio in case-museo che, attraverso mobili e suppellettili, stanze e giardini raccontano la storia sentimentale delle più significative scrittrici del Novecento. Da Parigi alla Provenza, dal Kenya al Maine, da Copenhagen al Tibet, Sandra Petrignani le cerca nei loro oggetti, interroga i loro diari, la poltrona in cui si sedevano, il portafortuna da cui non si separavano, ma anche le persone che ancora conservano un ricordo vivo di loro. Così il viaggio, concretissimo, diventa favoloso, un giro del mondo dove a ogni tappa è come se le protagoniste in persona aprissero la porta e svelassero sottovoce i segreti della loro vita. Le mele nel tinello della Yourcenar e il suo cane ancora vivo, il tempio tibetano ricreato a Digne dalla David-Néel o la stanza chiusa che fu sua nel monastero del Sikkim dove si ritirò in meditazione, la Barbagia della Deledda con le fate e i folletti che influenzarono la sua fantasia, il grammofono della Blixen portato con sé dalla sua Africa in ricordo dell'uomo che aveva amato e perduto per sempre: Sandra Petrignani ascolta "la voce delle cose" e la traduce nelle affascinanti storie di questo libro.
Le geografie conosciute e frequentate subiscono una continua modificazione nel corso del tempo: nel Settecento, ad esempio, Sud significa solo la stretta striscia d'Africa che si affaccia sul Mediterraneo, mentre in epoca colonialista tutto il Continente Nero è passato al setaccio, prima delle avventure antartiche in voga nel Novecento; così si dilatano anche le altre parti del pianeta visitate dagli italiani (l'America si riempie poco a poco, l'Australia è conosciuta per ultima). Cambia la concezione del viaggio, dall'esplorazione solitaria, alla missione scientifica organizzata, fino al viaggio borghese dominato dalla voga della "passeggiata". Cambiano i mezzi di trasporto: se Andreani sale in cielo su un areostato, nel Settecento c'è la carrozza, e nell'Ottocento compaiono la bicicletta e il treno, "orribile mostro" cantato da Carducci. Una sezione dell'antologia è dedicata all'Italia: non è affatto vero che gli italiani non conoscono il proprio paese, né che sono stati viaggiatori pigri. L'antologia (che conta una sessantina di autori) presenta testi non solo letterari, perché a scrivere di viaggio sono stati certo grandi scrittori, ma anche scienziati, religiosi, diplomatici, politici, militari, avventurieri e spie, giornalisti, e persino personaggi semplici, autori di ricordi sorprendenti nella loro ingenuità. Il cappello introduttivo dei brani ne presenta l'autore, inserendo il testo nella tradizione specifica e fornendo indicazioni su altre opere e su altri viaggiatori.
"Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre 'Andiamo', e non sanno perché. (...) Che nobili storie, viaggiatori incredibili, nei vostri occhi profondi come il mare! Su, dei vostri ricordi mostrateci gli scrigni, gli splendidi gioielli fatti d'etere e d'astri! Senza vele o vapore vogliamo navigare! Per alleviare il tedio delle nostre prigioni, sui nostri spiriti, tesi come tele, esponete gli squarci d'orizzonte della vostra memoria! Che avete visto, diteci?" (Charles Baudelaire). "Uomo occidentale, la tua paura dell'Oriente è paura di dormire o di svegliarti?" (Antonio Machado)
«Il mio intento in questo libro non è la critica letteraria né la biografia ... Voglio soltanto, e in maniera del tutto personale, passare in rassegna i tipi di scrittura che mi hanno influenzato nel corso del mio lavoro. Ho detto scrittura, ma intendo più precisamente visione, modo di guardare e di sentire». Con questo intento Naipaul ci fa da guida in un viaggio illuminante, il suo viaggio: dalla natia Trinidad («un puntino sul mappamondo») agli ambienti letterari della Londra anni Cinquanta, dall'India (ancestrale «terra del mito» e desolante paradigma di modernità incompiuta) alla Cartagine di Polibio e di Flaubert, e alla Roma di Cicerone e di Virgilio. In questo modo la scrittura, che è sempre «prodotto di una specifica visione storica e culturale », permette di esplorare il tempo oltre che lo spazio - e di affiancare Derek Walcott a un materassaio analfabeta, Nirad Chaudhuri e Anthony Powell a un politicante con velleità letterarie (« lo Stalin di Trinidad»), Gandhi a Giulio Cesare. E durante il viaggio ogni incontro si rivela decisivo: per una inesausta ricerca di precisione, per il nitore dell'espressione, e soprattutto per una percezione originale del mondo.
L'antologia curata da Isabella Camera D'Afflitto tenta di fornire una esaustiva panoramica sulla letteratura in lingua araba e sui suoi autori più significativi: originari del Nord Africa, dell'Africa nera e del Vicino Oriente, esponenti della cultura laica, islamica o cristiana.
Gli scrittori che Giovanni Macchia allinea in questa galleria di ritratti, sono colti anziché nello splendore della giovinezza, in momenti di crisi, quando, prossimi alla vecchiaia o attaccati da malattie, si avviano verso la fine. Perché ogni scrittore ha un proprio tramonto. Ma non sempre la vecchiaia è una condanna alla rinuncia e al silenzio. Montaigne acquistò verso la fine della vita un'energia e un coraggio che non aveva mai posseduto, quasi non vedesse più il passato come un ammasso di rovine e osservasse il volto dei tempi nuovi con un misto di terrore e di speranza.
All'età di ventitré anni, con quattro racconti pubblicati e una piccola recensione sulla "Saturday Review", Nathan Zuckerman va a bussare alla porta del suo padre spirituale, lo scrittore Lonoff. L'uomo vive in quasi totale reclusione sulle colline del New England con la moglie Hope e una misteriosa ragazza, Amy Bellette, una sopravvissuta all'Olocausto. Zuckerman vuole da lui un'approvazione, anzi qualcosa che somiglia ad una assoluzione. Vuole sedersi ai suoi piedi e bere la sapienza di un vero letterato. Di chi ha votato all'arte ogni frammento della vita. Lonoff è un grande scrittore o, come egli stesso sostiene, è famoso per puro caso?
In questi scritti e interviste il grande scrittore messicano si sofferma sul carattere dirompente della letteratura che definisce "l'atto culturale più sovversivo che esista e l'unico spazio che sta ancora producendo pensiero utopico". Paco Ignacio Taibo II parla anche dei suoi personaggi, delle sue letture, del suo romanzo impossibile e interminabile. "Credo nella letteratura, scrive, e in sua madre il romanzo, col fervore di un fondamentalista eretico, un super tifoso del calcio, un gruppettaro del rock. Credo che non esistano i classici, le letture obbligatorie o alla moda. Credo che il Parnaso non esista e che se esistesse sarebbe una taverna messicana i cui portieri non sarebbero Octavio Paz o i membri del comitato svedese del Nobel".