
Pochi sanno delle Alpi segrete. Eppure lassù si nascondono itinerari e storie che non si faranno dimenticare. "Le Alpi segrete sono isole meno note del grande arcipelago alpino. Isole dove sopravvive la convinzione che esistano tipi fisici speciali, o dove si trovano i segreti di vecchi alpinisti, o dove ricompare l'orso, o dove si riscoprono antiche chiese affrescate. Le Alpi segrete sono spazi sfuggiti a quel turismo che mira alla definizione di rassicuranti stereotipi. Sono invisibili perché programmaticamente ignorate dalla nostra cultura." Quando si dice Alpi, i più pensano subito alle solite (poche) cime famose: il Cervino, il Monte Bianco, il Gran Paradiso, le Dolomiti. Oppure alle località più alla moda. In realtà questi luoghi dell'industria del turismo non sono che spazi circoscritti. Oltre alle montagne da cartolina, si apre, infatti, il vasto 'mare alpino', un mondo appartato, in gran parte sconosciuto. Marco Albino Ferrari, che nel corso degli ultimi vent'anni ha percorso quelle vallate e quelle cime, racconta le loro storie e ci accompagna fra meraviglie ormai destinate a sparire nell'oblio, fra i ricordi dell'antica società montanara e l'epica della scoperta delle alte quote.
Dalla leggendaria lotta di Guglielmo Tell, un filo sottile lega le terre alte alla tentazione della ribellione. In oltre settecento anni di storia, le 'Alpi libere' hanno avuto seguaci autorevoli e interpreti esemplari. Dagli artigiani eretici che si sacrificarono con Fra Dolcino ai piedi del Monte Rosa, ai partigiani che fermarono i nazifascisti sulle montagne di Cuneo e Belluno, fino ai movimenti contemporanei contro il treno ad alta velocità in Valle di Susa. Questo libro raccoglie le storie dei montanari e degli alpinisti che seppero disubbidire agli ordini, costruendo sulle montagne rifugi di resistenza, avamposti di autonomia e laboratori di innovazione sociale. Come una risorgiva carsica che emerge dalle profondità del tempo, la montagna si ricorda di essere diversa e fa sentire la sua voce fuori dal coro. Una vecchia idea, forse un'utopia, che non ha ceduto al consumismo delle pianure e rinasce di tanto in tanto in forme nuove e dirompenti. In mezzo al conformismo della maggioranza valligiana, si alza il grido di chi rivendica una diversità geografica e culturale, compiacendosi dell'antico vizio montanaro di sentirsi speciali e ospitare i diversi, i ribelli, i resistenti, gli eretici.
Nei secoli le Alpi sono state rifugio e megafono delle anime libere, contrarie e resistenti. Questo libro racconta la loro storia. *
La ribellione può declinarsi sotto forma di passione civile, di attacco a una parete inviolata, di movimento religioso, di giustizia sociale, e mira sempre alla conquista di una forma di libertà. Ciò che accomuna persone e movimenti in apparenza distanti come Fra Dolcino o Tina Merlin, per ricordare solo due delle figure disegnate con passione da Camanni, sta nella capacità di sfruttare le Alpi come luogo di riflessione in un percorso di rivolta costruttiva verso un ordine costituito. Fabio Minocchio, “L’Indice”
Camanni intreccia vari temi che hanno visto la montagna protagonista, ieri e oggi. Lo fa raccontando di montanari e di alpinisti che nei secoli hanno costruito sulle montagne rifugi di resistenza, avamposti di autonomia e laboratori di innovazione sociale. “Touring”
Alonso è un piccolo puma dell'Arizona. I "visionari" sono gli esseri che, via via, hanno la ventura di incontrarlo: un illustre professore italiano, ispiratore di terroristi e di altri "uomini del lutto"; i suoi figli, uno dei quali votato a una leggendaria clandestinità; un professore americano, che ha la terribile debolezza di voler capire e compatire. Tutti accomunati, nella loro funesta lucidità, da una sorta di pazzia che è come un "buco nell'azzurro, dal quale entrano il freddo e la cecità degli spazi stellari".
Alonso è un piccolo puma dell’Arizona. I «visionari» sono gli esseri che, via via, hanno la ventura di incontrarlo: un illustre professore italiano, ispiratore di terroristi e di altri «uomini del lutto»; i suoi figli, uno dei quali votato a una leggendaria clandestinità; un professore americano, che ha la terribile debolezza di voler capire e compatire. Tutti accomunati, nella loro funesta lucidità, da una sorta di pazzia che è come un «buco nella intelligenza, nell’azzurro, dal quale entrano il freddo e la cecità degli spazi stellari». La storia che li lega è un groviglio sconcertante – una «vera storia italiana», osserva sobriamente la narratrice e testimone. Ma il suo fondo è fatto «di silenzio e prodigio»: là dove vediamo apparire e scomparire le tracce del puma, oggetto di un odio irragionevole e di una persecuzione «da una petraia all’altra» o di un amore inerme. La vicenda procede scandita da rivelazioni che ogni volta sembrano elidere le precedenti e introdurre nuove spiegazioni, fra poliziesche e metafisiche, finché sempre più appare chiaro che in questa «tremenda storia di assassini, di visionari e di complici» il delitto da chiarire non è quello di una certa notte in una casa vicino a Prato, ma quell’incessante e incombente «sgarbo agli dèi» da cui ogni altro delitto discende, quel «peccato molto comune agli uomini, ma il più grave di tutti i peccati: il disconoscimento dello Spirito del mondo».
Nessuno vuole ammetterlo, ma a Bologna c'è un assassino seriale: è l'Iguana, che assume di volta in volta l'identità delle sue vittime, per sfuggire alle "campane dell'inferno" che gli risuonano nelle orecchie. Tocca a Grazia cercare di prenderlo, e più delle sofisticate tecnologie che usa, le servirà l'intuito e la capacità di ascolto di Simone, cieco dalla nascita. Mentre cacciatore e preda si scambiano continuamente i ruoli, vediamo la scena ora con gli occhi attenti e ansiosi di Grazia, ora con lo sguardo febbricitante e doloroso dell'Iguana, o la percepiamo come un concerto di suoni e di voci, un complicato e fantastico arabesco mentale, quando la soggettiva è di Simone. E la città che così prende forma sotto i nostri occhi, fitto reticolo di trame e di ossessioni, è insieme la sorprendente megalopoli italiana che si stende su tutta l'Emilia, e anche il teatro magico dove tutte le storie possono accadere. Un thriller nervoso e impeccabile, una storia d'amore e solitudine, una scrittura che sa dosare tensione emotiva e colpi di scena.
Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a metter d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze - assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri - può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole. "Almeno il cappello" racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell'impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s'inventa un'altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori.
Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a metter d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze - assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri - può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole. "Almeno il cappello" racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell'impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s'inventa un'altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori.
Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a mettere d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze – assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri – può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole.
Almeno il cappello racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell'impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s'inventa un'altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori. E la scrive con la passione per l'intrigo, il brio e il buonumore, la verità e la semplicità che servono per farci capire la ricchezza e gli imprevisti che punteggiano tutte le nostre vite.
Nel 2009 Almeno il cappello ha vinto il premio Casanova, il premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante, il premio Campiello sezione giuria dei letterati, ed è stato finalista al premio Strega.
Massimo non è uno sfigato: ce lo hanno fatto diventare. La colpa al novanta percento è di Vito. È lui ad avergli affibbiato il nomignolo di Minimo, e se ti danno quel soprannome negli spogliatoi della piscina, è difficile che gli altri pensino che il tuo è un problema di altezza o di torace stretto. Vito però ha un segreto, un segreto fatto di lividi e serate trascorse trincerato in camera sua, e Massimo, suo malgrado, sta per scoprirlo. Poi c’è Celeste, divisa tra l’essere se stessa o trasformarsi in come mamma e papà la vorrebbero; Stefania, che desidera soltanto dimagrire; Margò, alle prese con un’estate da gigante prima di tornare hobbit a settembre. Intorno a loro, un’intera galassia di amici, parenti e adulti alle prese con una tempesta di incontri e scontri che nel corso di una manciata di giorni li cambierà per sempre.
Esiste un'isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull'acqua, ed è lì che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant'anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l'altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze». Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d'amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare. «Vederli andare via è la cosa più difficile, perché: dove andranno. Sono ancora così piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui».
"Almanacco Sellerio" raccoglie scritti inediti o irreperibili di autori della casa editrice. Diversi per argomento, e per occasione ispiratrice, li accomuna inevitabilmente una sensibilità letteraria condivisa che è poi quella che costituisce l'identità della casa editrice. In questo senso, prima di tutto l'almanacco risponde al desiderio di presentare questa identità. Gli autori si impegnano prevalentemente a narrare. E ogni brano è in realtà un racconto anche quando tratta di guerra (l'anno prima dello scoppio della prima guerra mondiale; il rumore della catastrofe nella musica di Mahler e di Berg; un pianoforte in mezzo alle trincee; il destino di un soldato tedesco in quel di Caltagirone), di viaggi (sulle tracce della napoleonica ritirata di Russia; l'esperienza spirituale di un pendolare), quando ricorda (un altro terremoto dell'Aquila; un'infanzia a cavallo della frontiera Mexico-Usa; le gare di "oratoria agonistica" a scuola; i cani amici di una vita), quando tramanda (un valoroso medico del ghetto; Marguerite Yourcenar che legge Tomasi di Lampedusa e viceversa; un grande artista di acqueforti; un pittore ottocentesco perduto in Paraguay), o quando infine gli scrittori giocano con la loro stessa scrittura (le favole in versi per i bambini cattivi, le recensioni surreali dell'arte del paracarro; un maestro di umorismo vernacolare).

