
"Non capivo fino in fondo quello che sta accadendo mentre salivo sull'aereo che avrebbe portato me, mia sorella e mia madre fuori dall'Iran, forse per sempre. Era il 1979 e io avevo nove anni. Ero disperata e arrabbiata perché nei preparativi della partenza i miei si erano sbarazzati di ogni cosa, compreso il mio amato agnello Baboo. Ma mia madre sapeva tutto, scappavamo per salvarci la vita e a ogni passo che la portava via provava un dolore mai provato prima. Avevamo detto addio alle persone a cui volevamo bene e con cui ero cresciuta, alla cucina di casa profumata di zafferano ed erbe e di frutta dolce. Mi sembrava solo ieri che la mia vita scorreva felice tra libri e cioccolata, tra la scuola e i giochi e in breve tutto era diventato cupo. La paura faceva parlare i grandi a mezza voce, li faceva arrabbiare per niente, tenere le finestre chiuse e mettere il velo alle donne. Qualcuno spariva, e presto sarebbe toccato anche a noi. A Londra arrivammo da rifugiate, mio padre sarebbe arrivato dopo. L'Inghilterra ci accolse e io abbandonai le mie radici. Poi un giorno la voce dei ricordi mi ha chiamato e ho trovato la strada di casa."
"Non capivo fino in fondo quello che sta accadendo mentre salivo sull'aereo che avrebbe portato me, mia sorella e mia madre fuori dall'Iran, forse per sempre. Era il 1979 e io avevo nove anni. Ero disperata e arrabbiata perché nei preparativi della partenza i miei si erano sbarazzati di ogni cosa, compreso il mio amato agnello Baboo. Ma mia madre sapeva tutto, scappavamo per salvarci la vita e a ogni passo che la portava via provava un dolore mai provato prima. Avevamo detto addio alle persone a cui volevamo bene e con cui ero cresciuta, alla cucina di casa profumata di zafferano ed erbe e di frutta dolce. Mi sembrava solo ieri che la mia vita scorreva felice tra libri e cioccolata, tra la scuola e i giochi e in breve tutto era diventato cupo. La paura faceva parlare i grandi a mezza voce, li faceva arrabbiare per niente, tenere le finestre chiuse e mettere il velo alle donne. Qualcuno spariva, e presto sarebbe toccato anche a noi. A Londra arrivammo da rifugiate, mio padre sarebbe arrivato dopo. L'Inghilterra ci accolse e io abbandonai le mie radici. Poi un giorno la voce dei ricordi mi ha chiamato e ho trovato la strada di casa."
"Le mille e una notte" è forse la più straordinaria raccolta di storie di tutta la letteratura. Il pretesto che dà luogo alla narrazione e che è all'origine del titolo è ben noto: il sultano Shahriyàr, per vendicarsi dell'infedeltà della prima moglie, fa uccidere al mattino le spose con le quali ha trascorso una sola notte. Shahrazàd, la saggia e colta figlia del visir, giovane di grande bellezza, decide di porre fine alla strage; perciò si offre come sposa al sultano, e riesce a scampare alla morte, e a salvare la vita di chissà quante altre donne, grazie alla sua intelligenza e al suo fascino: racconta a Shahriyàr una serie interminabile di bellissime storie, incastonate l'una nell'altra in un sapientissimo gioco di scatole cinesi. Per mille e una notte il crudele sultano ascolta rapito le avventure di dolci principesse, potentissimi re, geni dagli straordinari poteri, personaggi il cui nome è ormai divenuto celebre, come Aladino, Sindibàd il marinaio o Ali Babà. Al termine della narrazione Shahriyàr, ormai innamorato di Shahrazàd, rinuncia alla sua legge disumana e... "da tutti i paesi dell'impero salirono mille lodi e mille benedizioni al sultano e alla deliziosa Shahrazàd, sua sposa".
Da un codice del XIII secolo Rene Khawam ha recuperato un gioiello della letteratura araba. È il testo che gli studiosi giudicano "il più antico e il migliore", lo stesso che leggevano i califfi, i visir, i mercanti e le donne dei grandi secoli della civiltà araba. Libero da aggiunte arbitrarie, contaminazioni, interventi e censure, nella sua forma autentica "Le mille e una notte" riacquista il suo fascino originario. A tessere questa sterminata e labirintica trama di storie è Shahrazâd, eroina del racconto che fa da cornice alla raccolta, e affascinante odalisca penetrata da secoli nell'immaginario occidentale. Per scampare alla condanna dello spieiato re Shahriyâr, che intende vendicare sulle vergini del suo regno il tradimento subito, Shahrazâd sfrutta le doti dell'affabulazione offrendogli notte dopo notte racconti straordinari, rinchiusi l'uno nell'altro come in un sistema di scatole cinesi. Rapito dalla magia della narrazione, e dal fascino della cantastorie, il sovrano dimentica le ragioni dell'odio e annulla la condanna. Le parole di Giorgio Manganelli presentano e interpretano in modo il lavoro dei traduttori.
"Le mille e una notte" è uno dei classici più celebri. Gran merito va alla ricchezza dell'antico testo, comprendente veri e propri cicli epici, cavallereschi o avventurosi disseminati all'interno di una foresta di arguta novellistica.
Il mondo labirintico di Kabul sotto la dittatura filosovietica, un ragazzo ricercato dalla polizia, una donna coraggiosa che lo aiuta a nascondersi. La storia di una tragica iniziazione alla vita, raccontata con il ritmo ipnotico di un libro di preghiere. Dopo "Terra e cenere", che raccontava l'Afghanistan dei contadini e dei minatori schiacciati dal dominio russo, Atiq Rahimi ritorna con un romanzo insieme intimo e politico. In diretta dal cuore di una famiglia distrutta dal terrore. Atiq Rahimi è nato a Kabul nel 1962. Nel 2002 è uscito il suo primo romanzo "Terra e cenere".
Yiyun Li aveva sedici anni quando, nella primavera del 1989, migliaia di studenti scesero in piazza Tian An Men a manifestare. Dopo aver represso la protesta, il governo cinese obbligò tutti i giovani che volevano iscriversi all'università di Pechino a un anno di ferma nell'esercito. Proprio durante una lezione di dottrina di Partito, Yiyun Li fu trovata a leggere Hemingway di nascosto. Un ufficiale le requisì il libro e lo strappò sotto i suoi occhi. Sembra quasi uno dei racconti che quella stessa ragazza scriverà molti anni dopo, una volta in America e imparata una lingua che finalmente potesse dare forma alla sofferenza, al desiderio, al senso di abbandono, alla speranza che provava allora: anche i personaggi di queste storie vivono sulla loro pelle la lacerante contraddizione tra un'umana volontà di realizzazione individuale e il destino collettivo che il potere, la famiglia, la tradizione, l'economia di volta in volta impongono loro. Un uomo e una donna innamorati di un bellissimo attore dell'Opera di Pechino; un bambino dai lineamenti troppo simili a quelli di Mao; un militare amante delle speculazioni capitaliste; una ragazza tradita che imparerà quanto può essere angoscioso mantenere le promesse: ambientati in una Cina allo stesso tempo quotidiana e mitica, i racconti di Yiyun Li non solo offrono un ritratto spiazzante di un paese e di un popoio travolti dai cambiamenti, ma anche riflessioni sull'universale aspirazione alla felicità e sul dolore attraverso cui questa ricerca inevitabilmente passa.
Madre Oryù è una levatrice di cento, "o forse mille anni". Racconta la storia di sei giovani, belli e selvaggi, posseduti da una colpa che ignorano, vittime di una tara annidata nel "sangue dei Nakamoto". Tutti e sei, nati e cresciuti in epoche diverse nei Vicoli, hanno il gusto per l'erotismo più sfrenato, compiono furti, omicidi; tutti vivono sul filo di un pericoloso crinale, in bilico tra innocenza e crudeltà, legalità e trasgressione, amore per la vita e attrazione per la morte. La levatrice è testimone del tragico destino dei sei protagonisti; è la memoria storica della sottocasta dei non-uomini burakumin, tuttora discriminata e a cui lo stesso Nakagami apparteneva. Sei racconti legati in un unico sogno atemporale, che scandagliano la verità affascinante di un Giappone sublime e selvaggio.
"Sospesa nell'incantesimo di un parlare inconsueto e di un paesaggio remoto, questa struggente novella, che a prima vista potremmo scambiare per la narrazione di una infanzia drammatica, ci appare, chiusa l'ultima pagina e appreso il fragile e potente segreto che teneva incatenato il piccolo Miguilim, metafora di un qualcosa che non sappiamo bene decifrare. Come per tutti gli altri libri di Guimarães Rosa, anche per quest'operetta dal timbro mozartiano, eseguita dal flauto magico di un narratore non comune, potremmo dire, usando le parole dello stesso Rosa, che 'alle volte, quasi sempre, un libro è più grande di noi'. Ascoltato nella coralità di Corpo di ballo, maestosa sinfonia in sette parti di cui era forse la sonata più toccante, Miguilim contribuiva con la sua mascherina di bambino atemporale alla grandezza di una pantomima che eleggeva il Sertao di Minas Gerais a metafora del mondo. Letta da sola, al di fuori di quel grandioso contesto, nel suo favoleggiare e nella sua orditura narrativa perfetta, questa perla della letteratura universale deve il suo potere di soggiogamento, il suo essere un libro 'più grande di noi', agli interrogativi sui significati che aprono le sue specifiche metafore: gli occhi di un fanciullo, un paio di occhiali, il reale visibile." (Antonio Tabucchi)
Don Miguel Mañara, ricco nobile spagnolo, ha tutte le donne che vuole, ma è insoddisfatto. Nell’incontro con una giovane donna scopre che cosa il suo cuore desidera davvero, la sposa e inizia per lui una nuova vita. Ma poco dopo lei, Girolama, muore, e l’esperienza del dolore costringe Miguel ad andare fino in fondo al suo desiderio. Diventerà frate, e morirà in odore di santità. Come tutte le opere di Franco Nembrini, anche la lettura del Miguel Mañara di Milosz nasce da una lunga frequentazione, che inizia quasi quarant’anni fa, quando Franco usa questo testo per le sue lezioni di religione, e prosegue fino a oggi. Come tutte le sue letture, non è un’analisi estetica o accademica, ma un’introduzione appassionata, tesa a mostrare come le vicende di don Miguel mettano in scena il dramma umano di ciascuno. La presente pubblicazione nasce da un ciclo di incontri svoltisi nella primavera del 2014 presso il centro culturale Rosetum di Milano.