
Il libro è il secondo volume della saga familiare contemporanea di Mimmi Cassola.
Il 10 settembre 1649, da un porto olandese, un viaggiatore straordinario si imbarca per Stoccolma. Chi invita in Svezia René Descartes è la regina Cristina. A Stoccolma, che vive uno dei suoi autunni più gelidi e cupi, Descartes incontra amici fidati (l'ambasciatore di Francia Chanut e sua moglie Emilie), molta gente singolare (il pittore Machado, inetto nella pittura ma poeta esperto) e moltissima malfida. Rintanato in casa, isolato da tutti, in attesa della chiamata della regina, si rende conto che solo la vanità lo ha indotto al durissimo viaggio. A sostenere Descartes è la corrispondenza che tiene con mezza Europa, in particolare con la principessa Elisabetta, oggetto di una straordinaria passione intellettuale: a lei dà consigli filosofici, medici e politici e confida la sua speranza di ritorno. Nel contempo però commette imperdonabili errori, come dedicare alla regina il trattato "Le passioni dell'anima" che ha scritto per Elisabetta. Ma in un'alba di ghiaccio, mentre aspetta di esser ricevuto dalla regina, Descartes ha il malore che lo conduce a morte. Nella narrazione delle sue ultime ore, fatta a più voci, in un'insostenibile concitazione si affacciano tutte le interpretazioni, anche le più perturbanti. "Le passioni dell'anima" racconta tutto questo con un'impercettibile tessitura di testi autentici, interpolazioni e apocrifi, doppiando così nella scrittura una storia in cui il vero e il falso, il detto e il non detto s'intrecciano senza posa.
«Una volta, in Cina, una studentessa dell’università di Xi’an mi ha chiesto cosa si perde scrivendo. Ardua domanda kafkiana. E leggendo? Una volta Borges ha detto che lasciava ad altri di gloriarsi dei libri che avevano scritto e che la sua gloria erano invece i libri che aveva letto.»
Alfabeti è un viaggio tra i libri e nella letteratura – o meglio, uno dei mille possibili viaggi alla scoperta dei libri, dei loro autori e di noi stessi. Il percorso inizia dalle letture d’infanzia e d’adolescenza, da quei libri fondanti che contagiano il piacere della lettura, dando il sapore del racconto e dell’avventura, aprendo alla scoperta del mondo.
In Alfabeti ci sono i libri che ci hanno formato, che ci hanno ferito e insieme hanno saputo curare la ferita. I libri che permettono di conoscere e ordinare il mondo e quelli che ne svelano il caos travolgente e distruttore, l’incanto e insieme l’orrore. I libri che fanno balenare la salvezza e quelli che si affacciano sul nulla. Soprattutto quelli che allargano i confini della letteratura e rimandano aldilà di essa.
Al cuore di questo volume è la crisi che dal Novecento getta le sue ombre e le sue illuminazioni fino a noi. Magris ne scava le radici nel Romanticismo – risalendo peraltro all’antichità e immergendosi nelle letterature anche più lontane e periferiche – e la insegue nelle tragedie che hanno segnato e segnano la nostra storia recente.
Alfabeti parla soprattutto di libri che s’intrecciano e si scontrano con la vita e con la Storia per tornare poi alla vita, plasmando gli sguardi, le idee, i sogni e le esistenze quotidiane dei loro lettori. Libri che trascendono anche la propria perfezione estetica per dire il dolore come la bellezza, l’amore come l’abiezione.
Il libro coglie soprattutto le contraddizioni talora tragiche della letteratura e dei suoi autori, capaci di far capire a tutti cosa sia l’umanità ma anche di violarla colpevolmente. Anche per questo il percorso si conclude con un’appassionata e lucida riflessione sul rapporto della letteratura con l’etica e con la politica, riflessione che mette in luce contemporaneamente la necessità dell’impegno e l’altrettanto necessaria irresponsabilità della poesia.
Tutto ha inizio durante l'Età dei Metalli. Una tribù di sacerdoti devoti a una divinità preistorica adora una Pietra sacra che, secondo la leggenda, Dio ha scagliato sulla Terra all'origine dei tempi. La Pietra è dotata di un terribile potere: quello di uccidere chiunque le si trovi nelle immediate vicinanze. Attorno al possesso di quella pietra si accenderanno le brame di tanti personaggi in luoghi ed epoche differenti: un giovane nobile occitano in Linguadoca, un sottufficiale tedesco delle SS nella valle dell'Ariege, un giornalista di un settimanale d'inchiesta in Brasile. Sarà una bella ricercatrice italiana, Sara Terracini, a portare avanti l'indagine, ingaggiata per effettuare alcune rilevazioni nella zona della Linguadoca da un facoltoso appassionato di archeologia. Le sue scoperte la porteranno a un passo della soluzione che tutti, nei millenni, hanno sempre rincorso. Ma, dice l'antica leggenda, chiunque si avvicini a quel segreto verrà investito da un soffio di morte che spira da sempre attorno alla Pietra sacra.
Mongolia, 1227. Qutula, scrivano di Gengis Khan, solo per caso riesce a scampare alla morte... E ora deve fuggire. Solo cambiando vita potrà nascondersi, pur rimanendo sotto gli occhi di tutti. Perché la bellissima Arqai – questo diventa il suo nome – è a conoscenza di un segreto: sa dove si trova la tomba dell’imperatore. E il suo favoloso tesoro.
Aprile 1919, sul piroscafo Zeppelin. L’incontro ha il sapore della storia, ma i due ancora non lo sanno. Double Skinner ha solcato ogni mare sospinto dai venti oceanici, prima di combattere la Grande guerra al solo scopo di saldare il conto con i demoni che gli hanno divorato l’esistenza. Rimpatriando a bordo del piroscafo Zeppelin, incontra Harry Truman, futuro presidente degli Stati Uniti d’America. Tra i due nasce un’amicizia profonda, tanto che Skinner affida proprio a Truman non solo l’appassionante storia della sua vita, ma anche la custodia di un potente segreto, causa di morte e corruzione. Un segreto che risale a molti secoli prima, in Mongolia...
Italia, 2008. Oswald Breil se ne innamora subito, non appena lo vede in disarmo nel porto della Spezia. Lo yacht Williamsburg un tempo era definito «Casa Bianca galleggiante», perché dimora prediletta del trentatreesimo presidente americano: Harry Truman. Breil l’acquista, procurandosi così l’ostilità di un avversario spietato, pronto a tutto pur di impossessarsi del segreto che, forse, è nascosto fra le paratie della nave. Un segreto dalle origini lontane, perse nel soffio impetuoso del vento che spira sul deserto...
Apparso nel 1924 dopo una lunga gestazione e ristampato nel 1928 col titolo "Al vento dell'Adriatico", "Il porto dell'amore" è il primo libro in prosa pubblicato da Giovanni Comisso. Eugenio Montale fu tra i primi ad accorgersi della sua esistenza e consistenza: "Libretto carnale e febbrile che avvampa e trascolora è appena un libro ed è ancora una malattia. Arte legata alle primavere del sangue, al corso delle stagioni e delle temperie: poco più di un rabesco, il diagramma di una vita rovesciata sulle cose..." "Il porto dell'amore" non è un contributo storico all'impresa di Fiume (cui Comisso prese parte unendosi ai volontari accorsi alla chiamata di D'Annunzio). Né una raccolta di testimonianze e nemmeno un libro di ricordi; bensì il prolungamento della sensibilità (della sensualità) di Comisso nei volti dei giovani, negli aspetti del paesaggio, in una serie di vibranti apparizioni che si rimandano l'una all'altra in una sequenza senza principio e senza fine, come un campione di esistenza prelevata allo stato puro; segni gracili e sensitivi ma dalle profonde vibrazioni interne. Prefazione di Nico Naldini.
Fiorenzo vive a Muglione, profonda provincia toscana fatta di disoccupazione e fossi stagnanti, e non lo si può considerare un ragazzo fortunato: oltre al nome che gli hanno affibbiato, dei due genitori gli resta solo il padre, lunatico proprietario del negozio Magic Pesca ma soprattutto allenatore dell'Unione Ciclistica Muglionese, nel cui vivaio si ostina a cercare un grande campione del futuro. Ma soprattutto, a quattordici anni Fiorenzo ha perso la mano destra per colpa di un petardo, e nonostante abbia saputo reagire con intraprendenza e fantasia, dedicandosi alla musica heavy metal con il forsennato entusiasmo dell'adolescenza, ha dovuto scoprire presto che nella vita "quello che manca conta molto di più di quel che c'è". Tiziana invece ha trent'anni, e in comune con Fiorenzo ha solo di essere nata a Muglione. Da dove è scappata dopo il liceo, per laurearsi e frequentare un master all'estero che le ha aperto sfolgoranti possibilità di lavoro. Ma Tiziana ha preso una decisione improvvisa e coraggiosa: tornare a casa, mettere le proprie competenze al servizio della comunità. Il paese di Muglione, in segno di gratitudine, le affida la gestione del locale Informagiovani, che però diventa subito il ritrovo di un gruppo di anziani giocatori di carte, costringendo Tiziana a fare i conti con il proprio senso di inadeguatezza, mentre un amore complicato e dolcissimo arriva a stravolgerle la vita.
E poi c'è Mirko, il Campioncino, il ragazzino prodigio che il padre di Fiorenzo ha scovato per caso in Molise e si è portato a casa perché il suo assoluto talento ciclistico lascia sperare grandi cose. Mirko è un mistero totale, una contraddizione vivente: intelligentissimo ma ingenuo, potenza imbattibile in sella a una bici ma goffo e inerme nel quotidiano, idolo degli appassionati di ciclismo e insieme bersaglio perfetto dei crudeli compagni di scuola. Fiorenzo, Tiziana e il Campioncino, tre mondi lontanissimi che si incontrano per caso in un luogo desolato e improbabile, tre anime che intrecciando i loro destini danno vita a un corto circuito struggente e divertentissimo, amaro e poetico.
Lo struggente racconto di un nonno ai nipotini è l'occasione per ripercorrere i giorni drammatici delle persecuzioni contro gli ebrei veneziani, in una testimonianza in cui il ricordo personale si alterna ai documenti e agli avvenimenti pubblici dell'epoca, e che restituisce non solo la storia di quegli anni, ma anche il senso di straniamento e incredulità delle vittime della Shoah. Proprio come le foglie al vento, anche le donne e gli uomini evocati nel racconto sono travolti da una forza superiore, violenta, incomprensibile, e da un orrore inimmaginabile. Molte cose, infatti, fino alla fine della Seconda guerra mondiale, non si sono sapute, e anche quello che si sapeva era troppo terribile per essere creduto, e chi ha vissuto in quegli anni ha preso coscienza di quella tragica realtà a poco a poco, tra incertezze e contraddizioni. Riccardo Calimani, uno dei massimi studiosi ed esperti di Venezia e della storia degli ebrei italiani, fonde in questo libro la dimensione privata con quella storica, e dà vita così a una memoria famigliare e nello stesso tempo a una ricostruzione rigorosa e densa degli anni più terribili del Ventesimo secolo.
Quando il treno ad alta velocità Milano-Roma entra alla stazione Termini la polizia ferroviaria ha una terribile sorpresa: i passeggeri della carrozza Top, il vagone più esclusivo e costoso, sono tutti morti. La prima a entrare nella carrozza è Colomba Caselli, vicequestore dai muscoli d'acciaio e l'anima fragile. I primi indizi portano verso il terrorismo islamico, arriva anche un video in cui due uomini rivendicano l'attentato in nome dell'Isis. Ma Colomba capisce che qualcosa non va. E si rende conto che l'unica cosa che può fare è chiedere l'aiuto della sola persona che riesce a vedere attraverso la nebbia di bugie e depistaggi: Dante Torre. Colomba e Dante non si parlano da mesi, da quando lui, dopo la morte del suo aguzzino, l'uomo che si faceva chiamare "Il Padre", si è perso dietro ai suoi fantasmi. Convinto che ci sia un complotto ai suoi danni, è ossessionato dalla ricerca dei mandanti del Padre e del fantomatico individuo che gli ha telefonato dicendo di essere suo fratello. Un individuo alla cui esistenza crede soltanto lui. Basta incontrarsi, a Dante e Colomba, per superare le incomprensioni. E la sensazione di lei era giusta: l'Isis non c'entra e l'attentato è solo l'ultimo episodio di una lunga serie di carneficine. Dietro la scia di morti c'è una misteriosa figura femminile, che non lascia tracce se non un nome: Giltiné, l'angelo lituano dei defunti, bellissima e letale. Dante e Colomba intraprendono così un'indagine che dalla stazione Termini li porterà a Berlino e a Venezia, per la resa dei conti.

