
Otto monologhi al femminile. Una suora assatanata, una donna ansiosa e una donna in carriera, una vecchia bisbetica e una vecchia sognante, una giovane irrequieta, un'adolescente crudele e una donna-lupo. Un continuum di irose contumelie, invettive, spasmi amorosi, bamboleggiamenti, sproloqui, pomposo sentenziare, ammiccanti confidenze, vaneggiamenti sessuali, sussurri sognanti, impettite deliberazioni. Uno "spartito" di voci, un'opera unica, fra teatro e racconto. Una folgorazione. Tra un monologo e l'altro, sei poesie e due canzoni.
"Ho preso dalla provincia lombarda cinque anziani signori - due coppie e un vedovo, tutti afflitti da malanni più o meno disastrosi - e li ho portati in vacanza a Nizza. In Jaguar. In un hotel a quattro stelle, con in mano un elenco di ristoranti lussuosi e in tasca un'American Express a credito illimitato. Tra i giardini del Cimiez e una clinica privata diretta dal sosia di Daniel Auteuil, con l'aiuto di un romanzo inedito di Frederic Prokosch e di una magica sfera di hashish, Cesare, che racconta la storia, si metterà sulle tracce di Leo Meyer. Lo scrittore che negli anni ottanta ha fatto esordire e ha sostenuto come direttore letterario di una nota casa editrice. Leo, il suo amico della vita. Che dopo anni di misteriosa latitanza riappare lì, a Nizza, gli occhi incavati nel volto malato, sul sedile posteriore di un taxi in corsa. Lo so che alla fine ne è uscito un romanzo struggente, con questi cinque anziani a ricapitolare le loro vite in smobilitazione, mentre provano caparbiamente a riallacciare i fili degli affetti. Ma Cesare è fermamente deciso a non cedere di un'unghia alla malinconia e al rimpianto. Come me, che mentre scrivevo tiravo giù dagli scaffali Wodehouse, Carlo Manzoni, Marcello Marchesi, e facevo esorcismi in forma di battute. Intanto che nel romanzo, questa volta felicemente, il mistero cresceva e la trama si infittiva." (Piersandro Pallavicini)
Agosto 1938. Un momento tragico della storia d'Europa, sullo sfondo del salazarismo portoghese, del fascismo italiano e della guerra civile spagnola, nel racconto di Pereira, un testimone preciso che rievoca il mese cruciale della sua vita. Chi raccoglie la testimonianza di Pereira, redatta con la logica stringente dei capitoli del romanzo, impeccabilmente aperti e chiusi dalla formula da verbale che ne costituisce il titolo: Sostiene Pereira? Questo non è detto, ma Pereira, un vecchio giornalista responsabile della pagina culturale del "Lisboa" (mediocre giornale del pomeriggio) affascina il lettore per le sue contraddizioni e per il suo modo di "non" essere un eroe.
Si tratta di un monologo che mette in scena l'appassionata esistenza di Frida Kahlo "detta" dalla protagonista dal vertice estremo dei suoi giorni. Mentre corre verso la morte, Frida torna ai patimenti della sua reclusione forzata (ripetutamente ingessata e condannata all'immobilità), ai suoi lucidi deliri artistici di pittrice affamata di colore, alla sua relazione con Diego Rivera. In poche pagine c'è il Messico, c'è il risveglio dell'immaginazione, c'è la storia di una donna, c'è la rincorsa di una passione mai spenta per un uomo. La sintesi infuocata di un'esistenza.
Luigi Martinotti lavora in un fast food. Frigge patatine, ma in realtà la sua vocazione, vivissima malgrado l'interruzione degli studi universitari, è quella dello storico. Su un tavolo della Biblioteca comunale consuma tutte le ore di libertà, ricostruendo e interpretando eventi del passato. Ci sono momenti in cui riesce addirittura a distinguere, quasi fosse una visione, l'incontro fra Attila e papa Leone. È riuscito anche a elaborare una teoria storica, secondo la quale i mutamenti della società sono il prodotto di una terribile "insofferenza dell'insicurezza", che spinge gli uomini, cambiando continuamente, a inchiodare il mondo in un presente immobile e rassicurante. Anche la quiete apparente di Luigi Martinetti obbedisce a questa legge. La sua sensibilità, sospesa tra aspirazioni intellettuali e esposizione al fallimento, si lascia contaminare dall'imprevedibilità dei rapporti umani, ivi comprese l'intensa relazione sessuale con Antonella, cameriera del fast food, e l'inspiegabile tenerezza per il figlio di lei. Solo l'amico Giuseppe estroso insegnante affetto da una malattia genetica che lo getta in ricorrenti crisi depressive - riesce a tenere accesa la sua vocazione e a comunicargli una sorta di profonda serenità. Quando il fallimento come storico è definitivo, la sua mente vacilla.
Fin dall'infanzia, il protagonista di questo romanzo rivela un'estrosa inventiva nella ricerca della felicità: e se alle volte, come in occasione della memorabile vincita al casinò di Campione, la fortuna favorisce le sue intuizioni, altre volte è lui a forzarle la mano, per esempio con il ricatto innocente grazie al quale entra in possesso dela prima bicicletta a dodici anni. Il romanzo narra le vicende di un talento sempre in lotta con la fortuna, di un personaggio ora candido e sensibile, ora sventato e disonesto sullo sfondo dell'Italia degli ultimi quarant'anni.
La Gilda del Mac Mahon è una raccolta di racconti successiva al Ponte della Ghisolfa, spesso rappresentata a teatro, proprio per lo straordinario calore umano delle vicende. Nella Gilda Testori descrive gli effetti che nell'immaginario della bellona di via Mac Mahon e dei ragazzotti di periferia hanno i miti della cultura di massa: le dive sexy, le super prestazioni, le soubrette. Al centro di questi racconti pone una straordinaria figura femminile: la Gilda del Mac Mahon, così chiamata per l'assonanza con il personaggio esuberante di Rita Hayworth, una Maria Addolorata dei bassifondi che, per amore del suo uomo in galera per ricettazione, si prostituisce lungo un viale della periferia milanese. E che, sempre per amore, prima seduce e poi tradisce un cliente invaghitosi di lei. Sono racconti pervasi di notevole fisicità e sensualità, talora di ironia, che risaltano quasi fossero simboli, cataloghi di sogni, quadri esistenziali o addirittura pagine di fotoromanzo, ambientati - come di consueto in Testori - tra società ciclistiche, palestre di boxe, immensi caseggiati. Ma qui trova spazio anche il mondo dorato della rivista e della commedia musicale, con i nomi mitici di Macario, Wanda Osiris, Carletto Dapporto, e sopra tutti Lauretta Masiero, di cui Testori fu sempre grande ammiratore.
Il libro, che propone la sceneggiatura dell'omonimo film, racconta la storia di un giovane di Cinisi, un piccolo paese nei pressi di Palermo. Si chiama Giuseppe Impastato. Forte della sua formazione comunista rompe i rapporti con un padre troppo ossequioso verso il boss locale e comincia la sua battaglia contro il silenzio e le diffuse connivenze mafiose. Dalla protesta in piazza ai giornali volanti, alle manifestazioni improvvisate, Peppino arriva infine all'uso politico di una radio libera. Fa nomi e cognomi, denuncia gli interessi che ruotano intorno all'ampliamento dell'aereoporto di Punta Raisi, mette spalle al muro il boss Tano Badalamenti. Peppino Impastato viene ucciso il 9 maggio 1978 e la notizia sepolta sotto il clamore del delitto Moro.
È il primo agosto del 1985 quando Michele Serra parte da Ventimiglia su una Panda con destinazione Trieste. A piccole tappe, giorno per giorno, raggiungerà la meta finale un mese dopo, il 31 agosto. Ogni sera si ferma e detta un articolo al suo giornale, "l'Unità", descrivendo luoghi, persone, abitudini, mediocrità e sfaceli dell'Italia balneare. Ne esce un diario intimo che proprio in virtù della sua arbitrarietà e soggettività coglie nel segno. Il libro è illustrato con le vignette di Sergio Staino.
È sera e Cesare è nella sua baita, quando si accorge che manca l'acqua. Va a controllare. Ma al torrente lo attende una macabra sorpresa: riverso, a tappare la condotta, giace il corpo del suo amico Fausto. La notizia si diffonde in un battibaleno ma la gente si cuce la bocca. Tutti, polizia compresa, ritengono che il delitto sia legato al traffico di clandestini. Quindi, sicuramente un regolamento di conti. Alla ricerca della verità si muove anche il commissario, una donna bella ed estranea al mondo della valle, convinta che Cesare sia stato una figura chiave di quel traffico. Ma la verità alla fine emergerà proprio grazie a Cesare che, indagando da solo sulla morte dell'amico, capirà che la ragione è da ricercarsi in tutt'altra direzione.
Siamo all'inizio del secolo scorso. La promessa sposa è giovane, arriva da lontano, e la famiglia la accoglie, quasi distrattamente, nella elegante residenza fuori città. Il figlio non c'è, è lontano, a curare gli affari della prospera azienda tessile. Manda doni ingombranti. E la sposa lo attende dentro le intatte e rituali abitudini della casa, soprattutto le ricche colazioni senza fine. C'è in queste ore diurne un'eccitazione, una gioia, un brio direttamente proporzionale all'ansia, allo spasimo delle ore notturne, che, così vuole la leggenda, sono quelle in cui, nel corso di più generazioni, uomini e donne della famiglia hanno continuato a morire. Il maggiordomo Modesto si aggira, esatto, a garantire i ritmi della comunità. Lo zio agisce e delibera dietro il velo di un sonno che non lo abbandona neppure durante le partite di tennis. Il padre, mite e fermo, scende in città tutti i giovedì. La figlia combatte contro l'incubo della notte. La madre vive nell'aura della sua bellezza mitologica. Tutto sembra convergere intorno all'attesa del figlio. E in quell'attesa tutti i personaggi cercano di salvarsi.
Continua il dialogo tra Miriàm e Iosèf. Continua con il loro esilio in Egitto, il bambino carico di doni e di pericoli. Oro, incenso, mirra e scannatori di Erode, il Nilo e il Giordano, la falegnameria e la croce: la famiglia più raffigurata del mondo affronta lo sbaraglio prestabilito. In ogni nuova creatura si cercano somiglianze per vedere in lei un precedente conosciuto. Invece è meravigliosamente nuova e sconosciuta. Ogni nuova creatura ha la faccia delle nuvole.