
Il tema del nuovo libro di Sebastiano Vassalli è un condensato della sua poetica: undici storie paradigmatiche del carattere degli italiani, colto nella debolezza, nella meschinità, nell'infantilismo, nella vigliaccheria. L'ultimo doge di Venezia, Ludovico Manin, svillaneggiato come traditore della patria, lascia tutti i suoi averi ai matti perché sono forse le persone meno stolte che ci siano. Saverio Polito è "Il trasformista": ex funzionario dell'Ovra, generale di Badoglio, cerca di approfittare della moglie del duce. Viene denunciato da donna Rachele e arrestato; dopo la liberazione, forte del fatto di essere stato incarcerato da Mussolini, fa carriera e diventa questore di Roma. Togliatti durante una conferenza alla Normale di Pisa è attaccato da un giovane studente, perde la pazienza e sbotta: "Provaci tu, a fare la rivoluzione". "Ci proverò stia tranquillo", risponde il giovane Adriano Sofri.
L'autobiografismo è un aspetto peculiare dell'identità ebraica, che accomuna gli scritti della tradizione biblica alla letteratura contemporanea. Elena Loewenthal percorre questo filo, riflettendo sulla consapevolezza di sé del mondo ebraico e muovendosi tra Ezechiele e Philip Roth, Umberto Saba e Amos Oz, Arthur Miller e Saul Bellow. La prospettiva che cerca è quella della fuoriuscita dal compiacimento addolorato della storia ebraica; i temi che incontra sono quelli dell'ebraismo politico e culturale contemporaneo. Il tono è, nonostante l'importanza e complessità del tema, anche ironico e leggero, nel tentativo di muoversi "à la Chagall" sopra la volatile identità ebraica.
La letteratura di oggi, nel nostro Paese, parla di lavoro molto poco, spesso solo tangenzialmente rispetto a temi sentiti più stringenti, più umanamente necessari, più raccontabili forse. Quel "Vergogna!", che risuona nelle strade italiane a ogni nuovo morto sul lavoro, a ogni sciopero, a ogni manifestazione di protesta contro discriminazioni e ingiustizie salariali e contrattuali, continua ad additare un male non risanato, un problema - sempre diverso eppure sempre presente - che non conosce soluzioni definitive. Questi racconti nascono dal bisogno di uscire dall'emergenza di fenomeni generali che di volta in volta si chiamano lavoro nero, disoccupazione, precarietà, morti bianche, per avvicinare l'orecchio a storie di vita ed esperienze professionali di donne e uomini che hanno lavorato, lavorano o vorrebbero farlo, che hanno da raccontare vicende minime di ordinario sopruso o, se si preferisce, di quotidiana fatica spesa a difendere diritti che con grande facilità finiscono calpestati. Questi undici racconti prendono spunto da storie individuali che altrettanti autori ci propongono tenendo viva una vocazione sociale nell'interpretare il mestiere di scrittore.
Il libro di rime più presente alla nostra tradizione poetica, il registro tormentato di una lunga fedeltà al nome amato di una donna, e insieme alla poesia. Il Canzoniere di Petrarca, "libro dei frammenti", costruito in quarantanni di meditazioni e memorie, è un grande studio poetico della coscienza umana, uno specchio della conoscenza di sé che si acquisisce col tempo, negli anni, fra dolore e speranza. Accompagnando un testo che si offre in forma ammodernata, con traduzione della fonetica antica in grafia moderna, questo nuovo commento mira a evidenziarne gli snodi argomentativi, l'articolazione dei pensieri, nonché la formazione di un immaginario largamente debitore al medioevo spirituale. Osservazioni originali suggeriscono soluzioni a problemi irrisolti, e offrono prospettive nuove di lettura del Canzoniere, il volume offre anche due saggi importanti sul Petrarca di Giosuè Carducci e Gianfranco Contini. Introduzione di Paolo Cherchi.
"L'arte della gioia" è un libro postumo: giaceva da vent'anni abbandonato in una cassapanca e, dopo essere stato rifiutato da molti editori, venne stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998. Ma soltanto quando uscì in Francia ricevette il giusto riconoscimento. Nel romanzo tutto ruota intorno alla figura di Modesta: una donna vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune. Una donna siciliana in cui si fondono carnalità e intelletto. Modesta nasce in una casa povera ma fin dall'inizio è consapevole di essere destinata a una vita che va oltre i confini del suo villaggio. Ancora ragazzina è mandata in un convento e successivamente in una casa di nobili dove, grazie al suo talento e alla sua intelligenza, riesce a convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale: Modesta è una donna capace di scombinare ogni regola del gioco pur di godere del vero piacere, sfidando la cultura patriarcale, fascista, mafiosa e oppressiva in cui vive. "L'arte della gioia" è l'opera scandalo di una scrittrice. È un'autobiografia immaginaria. È un romanzo d'avventura. È un romanzo di formazione. Ed è anche un romanzo erotico, e politico, e psicologico. Insomma, è un romanzo indefinibile.
«I racconti hanno le spine, come le rose. I letterati ne annusano il profumo, ma l'editoria teme di pungersi. Storici e critici si dannano a lodare i racconti di Oechov e di Maupassant, mentre gli editori - quando un autore propone un libro di racconti - avvizziscono come mele avvelenate. E l'autore può essere chiunque. Dan Brown va dal suo editore e gli dice: "Ehi, sai cosa, avrei una bella raccolta di short stories per te", e l'editore sente la ceramica del suo cuore incrinarsi. Ma il pubblico? Li compra o no?
Io sono pubblico. Sono una componente della conclamata maggioranza dei lettori: le donne. E sono una donna di fantasia, che in cucina brucia i piselli immaginando storie. Insomma, sono un'accanita e felice lettrice di romanzi... Però poi rifletto: gli autori contemporanei che preferisco sono quasi tutti gente che scrive racconti, e nella top ten dei libri che mi hanno cambiato la vita ci stanno i Nove racconti di Sapete Chi.
E allora perché? Perché a fronte di tanti successi, tanto amore, tanta eccellenza, davanti ai racconti gli editori fremono come bisce? Credo di saperlo. Perché i libri di racconti non vanno al primo posto in classifica. Come il simpatico meccanico in pensione che gioca un euro al SuperEnalotto, anche l'editore spera nel jackpot e sa - con ragionevole certezza - che il jackpot non si nasconde nel libro di racconti.
Anche l'autore, naturalmente, sa che con i suoi racconti non si comprerà la sospirata casa al mare. Quando scrive un racconto, l'autore lo fa in maniera del tutto disinteressata.
E in maniera del tutto disinteressata io ho scritto queste storie. Nella speranza che facciano risuonare un'armonia, una vibrazione, un disagio, una piccola felicità o una punta di dolore. Un libro di racconti è il sacco di Natale, e l'autore dà a ciascun lettore il suo personale pacchetto, con il nastro e il bigliettino. Ecco, questo è per te, da parte mia, con rispettoso amore».
Stefania Bertola
Un ventenne figlio della periferia ma esportato a piazza Fiume, la Roma bene da cui si è sempre sentito rifiutato, entra definitivamente in crisi quando termina la sua storia d'amore con Alba, ragazza di Cinecittà che vedeva in lui un'emancipazione e che per emanciparsi ha trovato un altro amore. Guardando per la prima volta in faccia la propria estraneità al mondo che abita, decide di cambiare vita. Affitta una stanza nella Roma di Quaresima, l'estrema periferia. Il coinquilino nonché proprietario dell'appartamento occupato, Andrea, si tira le sopracciglia nello specchio dell'ascensore e si prostituisce con le tardone borghesi, ma il mercato è in recessione perché gli zingari fanno prezzi stracciati. Nella Quaresima il protagonista si mescola con gente che sta in fissa con la palestra, festeggia il Sabato del Fuoco, dove davanti al quartiere riunito i neodiciottenni fanno un falò delle cose che desideravano da minorenni, va in pellegrinaggio al Circo Massimo per commemorare l'"eroe e martire" Luciano Liboni detto Lupo, e si innamora dell'aspirante coatta Marianna, una che "quando si scopa non si ride". Ma se è proprio quella la Roma che suo padre gli ha inscritto nel DNA, e da cui voleva affrancarlo col suo impiego da portinaio in centro, d'altro canto non è detto che osservare la città da questa nuova angolazione ribalti la prospettiva. E salvi dal fallimento.
"To snuff" in italiano significa "spegnere" e, in termini più crudi, "tirare le cuoia", "morire". E gli snuff movies sono film che, fuori da ogni fiction, documentano la morte: inflitta però fra i tormenti, lentamente, a un essere umano. Questo romanzo s'intitola "Snuff" perché racconta la morte: la racconta senza eufemismi ma con assoluto rispetto, adombrando la necessità di Dio. È quindi, a modo suo, un libro religioso. Piero, vecchio professore d'anatomia in pensione, ritiene che ormai si viva troppo e che troppi siano in ogni caso gli anni della sua vita. Dice quasi scherzando che la sua storia, gremita di lutti e di dolori, assomiglia sempre più a una tragedia elisabettiana, come forse la storia di ogni vecchio. In realtà, minacciato dalle malattie, carico di memorie che non sopporta più, si sente attratto dall'idea del suicidio. Tuttavia, forse per il suo credo cristiano, o forse per qualcos'altro di più vago e tenace, non riesce a decidersi. Il suo antico allievo Toni, detto Beau, ha dissipato i non pochi talenti di cui era dotato e adesso, alle soglie della vecchiaia, sta girando uno snuff movie anomalo, con immagini di morte non provocata da lui. Al centro del film vuole mettere il suicidio del suo maestro e amico Piero. Dunque lo sollecita: più o meno diplomaticamente, lo costituisce in mora. Il romanzo vive di questa tensione, prolungata fino alle ultime pagine. E vive dei ricordi che perseguitano Piero: la scomparsa della figlia durante un viaggio in India...
Maria Salviati ha settantadue anni, un figlio, e un marito sparito nel nulla da più di trent'anni. "La professoressa", cosi ancora la salutano i ragazzi che la incontrano per strada. Ma oggi Maria è una donna anziana, sola, e ossessionata dalla paura di dimenticare. E allora non le resta che ripetere la sua vita a voce alta con le parole che resistono, come "una piccola poesia imparata a memoria", anche se ogni giorno se ne va una strofa, una rima. Finché una mattina qualcuno bussa alla sua porta. Gabriele è un agente immobiliare, con un sorriso timido e un ciuffo ribelle sulla fronte. Spunta dal nulla, per comunicarle che la vecchia casa in campagna a un'ora scarsa da Roma ha trovato dei potenziali acquirenti. Senza pensarci troppo Maria prende la sua borsetta e lo segue. Ma le visite sono poche, e mai quelle giuste. Maria e Gabriele trascorrono intere giornate in attesa, su una panchina, e insieme ripercorrono la storia di quella vecchia casa in mattoni. E cosi Maria, finalmente, può smettere di parlare da sola e recitare a qualcuno la piccola poesia della sua breve esistenza, dall'infanzia fino agli anni più intensi di vita, quelli trascorsi con il marito Augusto, il giocoso e inconcludente mago Vapore, e l'amato figlio Pietro, sognatore e comunista. Maria avrebbe voluto proteggerli dalle loro piccole e grandi bugie, tenerli stretti dentro la lucidità del suo sguardo. Ma neanche l'amore può tanto.
Madre e figlio siedono allo stesso tavolo, una di fronte all'altro. Scrivono. Cercano una storia smarrita. Trovano un luogo che non c'era, il piacere del tempo perso. Si incontrano in una lingua comune, nel gioco del racconto.
Il Natale è appena trascorso e la città si prepara al Capodanno quando, sul palcoscenico di un teatro di varietà, il grande attore Michelangelo Gelmi spara con la pistola contro la moglie, Fedora Marra. Nulla di strano, succede tutte le sere, ogni volta che i due recitano nella canzone sceneggiata: solo che dentro il caricatore, quel 28 dicembre, tra i proiettili a salve ce n'è uno vero. Gelmi giura di non aver mai avuto intenzione di uccidere Fedora, ma in pochi gli credono. Il caso sembrerebbe già risolto, eppure Ricciardi non è convinto. Così, mentre il fedele Maione aiuta il dottor Modo in una questione privata, il commissario - la cui vita sentimentale pare giunta a una svolta decisiva - si dedica con pazienza a ricostruire la vicenda. Un mistero reso ancora più oscuro da una strana nebbia calata all'improvviso e che riserverà un ultimo, drammatico colpo di coda.
Damiano ha dieci anni e vede suo padre una volta alla settimana: una partita a tennis, una camminata lungo il Tevere. Ma un giorno si sporge per osservare le anatre e cade nel fiume, ed è uno sconosciuto - e non suo padre - a tuffarsi nell'acqua e riportarlo in superficie. Tu sei mio padre e hai avuto paura, ecco quello che Damiano non dice ma Alessandro sente. Morivo e tu guardavi come si guarda un tramonto, un film, un minuto che passa e scompare. Solo ritrovando quello sconosciuto potranno, forse, ritrovare un appiglio per il pensiero che annaspa nel vuoto. Comincia così un peregrinare trasognato nella notte, con il figlio che si addormenta sul sedile della macchina e il padre che attraversa la città da un punto all'altro, sulla scia degli indizi che gli vengono forniti da una galleria di personaggi stralunati: medici clandestini, diseredati, e un piccolo circo che porta in scena uno spettacolo immaginario per un bambino cieco. L'identità della persona che Alessandro sta cercando cambierà ogni volta, come spesso accade quando inseguiamo qualcosa o qualcuno. Perché non si può restare immobili e in disparte a osservare la vita mentre scorre via da noi. Perché la vita è tutta qui, tra la pena e l'amore.